Anatomia di un genocidio 1 – L’ideologia hamita

Un breve accenno al “razzismo scientifico”, che cominciò a trovare le sue prime teorie negli intellettuali settecenteschi, per poi diffondersi nel XIX secolo. Solo dopo la metà del secolo scorso la comunità scientifica ha cominciato a definire la scienza razziale come “pseudoscienza” e il termine “razzismo scientifico” essere usato come dispregiativo.

Tra i molti autori di farneticanti tesi, considerato uno degli ideologi del “razzismo scientifico”, ci fu Arthur de Gobineau, filosofo francese vissuto nel XIX secolo. Pubblicò l’Essai sur l’inégalité des races humaines (Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane) che trovò molta diffusione negli USA, soprattutto fra le comunità tedesche, dove sosteneva l’esistenza di tre razze (bianca, gialla e nera) e che le civiltà declinavano quando le razze si mescolavano fra loro. La razza Europide-Caucasica era superiore alle altre e all’interno di questa, quella ariana si distingueva come apice della civiltà. Stabilì che le grandi civiltà esistite fossero state dieci (tra le quali anche tre precolombiane, seguendo le teorie di Atlantide e degli Iperborei) e che tutte fossero diventate grandi per essere state guidate da capi di razza ariana. Adamo fu il capostipite della razza bianca e la suddivisione fra Jafetici, Semiti e Camiti, solo una divisione interna alla razza bianca, considerando la Bibbia come fonte attendibile.

Nel libro ipotizzò anche la discesa in Africa di un popolo evoluto bianco, avvenuta 5.000 anni prima, che fu l’origine di tutti i tratti di civilizzazione che venivano trovati. Ma questa discesa primordiale della razza superiore, si mescolò in seguito con i popoli neri e fece degenerare una civilizzazione grandiosa in una civilizzazione mostruosa. Chiamò questa migrazione civilizzatrice “hamita” (camita) ribaltando radicalmente l’uso del termine e cancellando di fatto l’origine dei popoli neri da Cam, il figlio di Noè ripudiato dal padre. Tesi suffragata dal fatto che gli autori della Genesi scrissero solo riguardo al mondo conosciuto di allora, ovvero il Medio Oriente. Gobineau divenne un precursore dell’ideologia razzista sia sull’orizzonte africano che su quello europeo. Per cui l’ideologia che contrappose hamiti e bantu, proviene dalla stessa epoca e ha la medesima ispirazione di quella che oppose indoeuropei (ariani) e semiti.

 

Danzatori di re Yuhi V Musinga a Nyanza – Rwanda, 1928. (National Museum of Denmark)

 

L’antropologia della poligenesi, iniziata dopo la scoperta del Nuovo Mondo e condannata dalla Chiesa, dichiarava, basandosi su una tradizione ebraica, che ognuna delle tre razze ebbe un suo diverso capostipite. Tutte queste ipotesi diedero fondamento alle teorie della razza, che espressero un dialogo molto concitato fra storici, etnologi, filosofi, archeologi e altri studiosi dell’epoca.

Gobineau venne ripreso per giustificare la grande civiltà egizia in Africa, con la teoria che gli egizi fossero una razza caucasica, anche se di pelle scura, discendenti da Cam, mentre i negri una razza a parte, come i nativi americani. Così gli egiziani vennero classificati come hamiti. “Sbiancando” gli egiziani, venne meno l’imbarazzo dei promotori della razza bianca davanti alla grande civiltà egizia del passato. Il vivace dibattito che mescolava pseudo-teorie scientifiche e pregiudizi razziali dentro un contesto biblico, portò in seguito ad allargare l’appartenenza hamita a berberi, nubiani, somali, agli abissini con la tribù dei galla e i masai, perché tutti questi non corrispondevano allo schema classico dei negri, conosciuti durante il traffico degli schiavi.

Quest’ultimi diedero vita a diverse teorie sulla loro origine rafforzando la tesi della poligenesi, dove qualcuno scrisse anche: “i negri sono una mostruosità intellettuale”. La deriva dell’epoca portò a considerare ogni loro diversità linguistica e culturale in “razze”, nel senso biologico del termine, per cui nella misura in cui veniva conosciuto il continente africano, iniziò anche una classificazione delle razze nere e in Africa la “razziologia” divenne un surrogato della Storia.

 

I monti Rwenzori (Monti della Luna) – Uganda

 

Il Rwanda era già “conosciuto” dagli europei ancor prima di essere esplorato: la prima ricerca delle sorgenti del Nilo risalì a Nerone, che fra il 62 e il 67 d.C. inviò i suoi centurioni, i quali attraverso l’Etiopia, dai riferimenti esaminati, si pensa siano arrivati fino al lago Alberto, in Uganda (della spedizione ci hanno lasciato testimonianza Seneca e Plinio il Vecchio). Nel II secolo, un mercante romano di nome Diogene, intraprese un viaggio all’interno dell’Etiopia fino a dei grandi laghi (lago Vittoria, lago Eyasi e lago Natron) dietro ai quali si ergevano alte montagne innevate (i monti Ruwenzori). Pensò alimentassero il Nilo e li chiamò “Monti della Luna”. Il viaggio di Diogene fu raccontato da Marino di Tiro e riportato nella Geographia di Tolomeo d’Alessandria, dove quest’ultimo attestò che al centro del continente africano, quei laghi dai quali usciva il Nilo, erano alimentati dalle Montagne della Luna, che in seguito diedero origine a miti e leggende.

Nel XIV secolo, videro la luce delle fantasiose carte che rappresentavano l’impero abissino di “Prete Gianni”, personaggio mitologico le cui terre dall’Etiopia arrivavano fino in Congo e sulle rive dello Zambesi. Successivamente, testi portoghesi della fine del medioevo, servirono a compilazioni cosmografiche dove, fino al XVII secolo, veniva evocata l’esistenza di un Paradiso terrestre nel centro dell’Africa, entro il quale vivevano uomini dalla pelle chiara. Miti simili si trovavano nel mondo islamico, nei racconti delle Mille e una Notte.

La lunga premessa è riportata per fornire un’immagine dell’ambiente socio-culturale, da cui provenivano i primi esploratori europei del XIX secolo, che penetrarono nell’Africa Centro-Orientale. Con la mente piena di miti e leggende, che si mescolavano alle ipotesi antropologiche ricche di pregiudizi razziali e credenze bibliche. In seguito dibattiti di questa natura coinvolsero anche i missionari (padri bianchi) nella regione dei Grandi Laghi per un lungo secolo e furono utilizzati dai colonizzatori europei.

 

L’impero mitologico di Padre Gianni

 

La regione dei Grandi laghi è una vasta zona nel cuore dell’Africa Centrale che si sviluppa attorno al Rift Albertino (ramo occidentale della Rift Valley) lungo i laghi Vittoria, Kyoga, Alberto, Eduardo, Kivu e Tanganica. Una grande oasi biologicamente diversa dalla foresta equatoriale del Congo a ovest e dalle torride savane della Tanzania a est. Pur estendendosi a cavallo dell’Equatore, la temperatura è mitigata dalle altezze di montagne caratteristiche, con apici dolci e arrotondati (le Verdi colline d’Africa di E. Hemingway) che si estendono su una media di 1.400m e vallate ad alta quota. Le piogge abbondanti e la fertilità delle sue terre, l’hanno resa da secoli una delle regioni più popolate, con densità simili a quelle asiatiche, che già nel diciannovesimo secolo raggiungevano i 100ab/km².

Fra il 1850 e il 1870 la Royal Geographical Society di Londra lanciò il progetto per l’esplorazione delle sorgenti del Nilo, inviando nel 1858 John Speke, Richard Burton e James Augustus Grant, ufficiali dell’esercito delle Indie (che successivamente scoprirono il lago Vittoria e il Tanganica) con istruzioni non solo idrografiche, ma anche di prendere contatti con gli indigeni delle alture “ritenuti accoglienti e industriosi, ma a volte turbolenti”. La griglia di lettura dei rwandesi era già pronta ancor prima di incontrarli e la sommarietà con la quale sarebbero stati classificati poteva solo essere razziale, secondo il metro dell’epoca.

 

La regione dei Grandi Laghi africani

 

All’arrivo dei primi esploratori, in quell’area africana erano insediate una quindicina di piccole entità politiche, organizzate in monarchie feudali, con a capo una corte reale. Nel 1800 avevano raggiunto l’apice della loro magnificenza, inziata quattro/cinque secoli prima. Buganda, Bunyoro, Rwanda e Burundi erano i regni più grandi e popolati, con il Rwanda il più potente e organizzato, mentre gli altri parevano dei piccoli principati. Strutturati in società complesse e per la maggior parte accomunate dal culto chwezi (lontanamente simile alla saga walhalla scandinava) con le sue potenti figure mitologiche che, secondo i racconti orali, avevano “un piede fra gli dei e un piede nel mondo degli umani”.

La dinnastia chwezi anticamente dominava l’area sotto un unico grande regno, l’impero Kitara, che gli europei dell’epoca considerarono realtà storica, ma riportato nel mondo mitologico dai recenti storici. I racconti popolari che narravano le gesta dei chwezi, parlavano della loro misteriosa scomparsa (dentro un vulcano, nel lago Vittoria o lasciarono la terra) ma spesso tornavano attraverso riti di possessione per mezzo di medium (bishegu). Prima di partire lasciarono la discendenza reale alla dinnastia dei Babito, la cui esistenza è stata storicamente accertata.

 

L’antico Rwanda e le sue conquiste nei secoli

 

Quando Speke arrivò alla corte di re Rumanyka, nel Karakwe (un piccolo regno nell’attuale Uganda) si trovò di fronte, secondo le sue descrizioni, un uomo bello, alto, con bei lineamenti, un naso sottile, la pelle più chiara degli africani e dal portamento reale, come un bianco dalla pelle scura. Pure le donne di corte erano molto belle, con tratti più simili agli europei che ai bantu. Speke fece un lungo rapporto dove concluse che esisteva una razza superiore, senza alcun dubbio di origine hamita, discesa dall’Abissinia (lui ipotizzò dai galla, una etnia che conosceva) e aveva assogettato le tribù negroidi locali.

Le tesi di quel rapporto, basato esclusivamente su tratti somatici, estetici e limitato alla corte reale, senza approfondire la storia, la complessità e gli equilibri su cui si fondavano quei regni, vennero confermate dagli esploratori successivi. Anche Stanley, al cospetto del re del Buganda lo paragonò a una statua egizia, e in Burundi lodò la bellezza delle donne tutsi, tanto da dire che ne avrebbe volentieri sposata una. Parlò di questa razza hamita che viveva nel cuore dell’Africa anche alla Conferenza di Berlino e successivamente all’interno del contesto razziale, usci anche l’ipotesi di una razza bianca dalla pelle scura.

 

I regni dei Grandi Laghi all’inizio del XVIII secolo

 

Burton, Grant e Speke non entrarono in Rwanda, ma dal Buganda lo aggirarono raggiungendo il Burundi e il lago Tanganica. In seguito Stanley cercò di penetrarvi, ma venne ricevuto da una pioggia di frecce e si tenne alla larga. In effetti il Rwanda era un regno isolato che, a differenza degli altri, si era aperto ai commerci con gli arabi e i swahili solo sporadicamente, per cui godeva di un’alea di mistero da un lato e di avversione dall’altro.

Il primo a penetrarvi fu Gustav Adolf von Götzen, un ufficiale tedesco che vi giunse nel 1894, incontrando il mwami (re) Kigeri IV Rwabugiri. Da buon tedesco lodò il Paese trovandolo ben organizzato, ripartito in province e distretti e i suoi scritti andarono oltre quelli di Speke: descrisse il Rwanda suddiviso in base a una classificazione etnico-razziale, dove la minoranza tutsi (per lui 1%) casta nobile hamita o semita portatrice di civiltà, popolo di intelligenza superiore, dedito all’allevamento di vacche dalle lunghe corna e arrivato dagli altopiani etiopi, dominava su una maggioranza hutu, bantu negroidi occupati nell’agricoltura, che li servivano umilmente, mettendo i twa (pigmei) sullo stesso piano delle scimmie.

La ripartizione etnica andò di pari passo a quella economica per cui tutti gli hutu erano la massa povera, mentre i tutsi la minoranza ricca e potente, e tutto ciò che di bello o di ingegnoso si trovava nel Paese, doveva per forza aver avuto un’origine a nord, in Egitto o in Etiopia, anche la metallurgia, nonostante questa fosse conosciuta nell’Africa Sub-Sahariana da circa tremila anni. Allo stesso tempo si indignò, soprattutto i successivi missionari, della enorme disparità fra i tutsi “privilegiati” e la massa estremamente povera degli hutu. La cultura razziale del tempo non lo portò mai a pensare che tale diversità potesse essere di natura sociale, non etnico-razziale, in quanto esistevano molti tutsi poveri.

Tesi simili si diffusero anche nel regno di Nkore con gli hema e i lendu, le cui conseguenze si sono viste fino a un secolo più tardi, durante gli interminabili conflitti del Congo.

 

Vista panoramica del lago Kivu

 

Con il tempo queste teorie si radicalizzarono e con l’afflusso di nuovi europei, i vecchi residenti, fornendo informazioni ai nuovi arrivati, le ripeterono e le tramandarono come verità scientifiche sia ai bianchi che alle élites rwandesi. Affermazioni distorte, piene di contraddizioni, stereotipi e pregiudizi che non tennero conto della complessità sociale, dove non tutti i tutsi nascevano per occupare posti di potere, dato che la dinnastia politica era riservata solo ai membri di alcune famiglie. Non c’era alcun presupposto per parlare di etnie (o razze) differenti, quando tutsi e hutu erano assimilati con tradizioni, riti e costumi collettivi. Parlavano la stessa lingua, il kinyarwanda, appartenente al gruppo bantu, attraverso la quale si tramandavano storie e leggende, oltre ai riti religiosi che rappresentavano momenti di convivialità fra i diversi clan (ubwoko).

Ma la suddivisione hamita-bantu restò un pregiudizio e un cliché che influenzò il pensiero di etnografi, storici e di conseguenza missionari e colonizzatori europei che seguirono. Entrò nella mente della società locale, cristallizzandosi talmente che rimase un assunto, diventando parte del pensiero comune, ma soprattutto diventò elemento divisivo della politica locale, istituzionalizzando il razzismo. Per tutto il XX secolo, l’equazione tutsi/hamita e hutu/bantu restò indenne anche dopo la contrapposizione razziale ariani-semiti, che ha sconvolto il mondo nella II guerra mondiale. Il razzismo riguardante i neri, parve avere una legittimazione, come se l’Africa fosse su un altro pianeta.

 


Fonti:
Jean-Pierre Chrétien: L’Afrique des Grands Lacs – Deux mille ans d’histoire
Jean-Pierre Chrétien et Marcel Kabanda: Rwanda – Racisme et génocide – L’idéologie Hamitique
Université Nationale du Rwanda: Histoire du Rwanda – Des origines a la fin du XX siecle
Jan Vansina: L’évolution du royaume Rwanda des origines à 1900-1962
Jan Vansina: Le Rwanda ancien – Le royaume nyiginya
The Journal of African History: The cwezi cult, by David William Cohen (Abstract)

P.S. Il link dell’Università del Rwanda è un file pdf di 46 MB con 770 pagine e ci vuole il suo tempo per caricarsi.