Anatomia di un genocidio 2 – La superiorità tutsi

Protettorato tedesco, das deutsch-ostafrikanishe Schutzgebiet, in seguito ad accordi fra Germania, Gran Bretagna e Leopoldo II, il Rwanda passò ai Belgi dopo la sconfitta della I Guerra. Inizialmente gestito come territorio occupato, dal 1924 divenne Mandato della Società delle Nazioni con il nome di Rwanda-Urundi (assieme al Burundi) nel 1946 diventò territorio sotto Tutela belga tramite l’amministrazione fiduciaria dell’ONU ed ebbe l’indipendenza nel 1962. La sua espansione avvenne fra il XVI e il XIX secolo a discapito dei regni vicini e i suoi confini andarono oltre quelli attuali. Le conquiste iniziarono quando acquisì una concezione monarchica complessa e venne costituita un’organizzazione militare.

 

 

Gli europei trovarono uno Stato sovrappopolato che arrivava a due milioni di abitanti, ma ben organizzato e governato da un sovrano (mwami). Diviso in Province gestite da un capo o un capo d’armata quelle di frontiera, dove sorgevano campi militari a difesa da invasioni. Oltre le Province i Distretti, i cui vertici erano nominati direttamente dal re, con due capi per ogni distretto: uno si occupava dell’agricoltura mentre l’altro dell’allevamento, che amministravano attraverso dei vicecapi. Ogni Distretto aveva una capitale gestita da una delle regine, mogli del mwami, alla quale i capi-distretto dovevano rendere conto, e da un servitore reale che forniva il cibo e sorvegliava. Le “sous-chefferie” dentro ogni capitale di Distretto erano considerate feudo reale con a capo un twa (pigmeo) poiché i twa avevano sia funzione di polizia del re, che funzioni di spionaggio rendendo conto direttamente al sovrano. Altre relazioni di controllo reciproco, organizzazione politica e burocratica, per le quali manca lo spazio, rendevano le istituzioni più articolate di quanto scritto.

Le strutture più antiche della società, in tutta la regione dei laghi, erano i clan (ubwoko) che si distinguevano dall’emblema di un animale, una pianta, una vacca e trascendevano le divisioni sociali. Dei diciotto presenti in Rwanda, i cinque più importanti (singa, sindi, zigaba, gesera e nyiginya) raggruppavano più della metà della popolazione e comprendevano circa l’80% di hutu, salvo nyiginya che riuniva 40% di tutsi. Anche i twa si trovavano in tutti i clan. Ubwoco venne tradotto in etnia o razza solo a partire dagli anni 1950 con la politicizzazione di tali realtà. Data l’assenza di schiavitù in Rwanda, questa veniva sostituita da una forte pressione fiscale, attraverso prestazioni in natura o in manodopera, come carne, viveri, lavori agricoli e costruzioni. Esisteva una pratica tradizionale di lavoro obbligatorio gratuito per i signori, chiamato buletwa (del quale in seguito hanno approfittato missionari e coloni).

 

Le tipiche vacche rwandesi dalle lunghe corna
Le tipiche vacche rwandesi dalle lunghe corna

 

Naturalmente tale complessità non poteva essersi formata senza un passato, infatti si ritiene che il primo nucleo del regno del Rwanda si sia formato verso la fine del XIV secolo, sotto la dinnastia Nyiginya, alla quale sono appartenuti tutti i mwami fino al 1961. Attualmente gli storici negano l’invasione etiope-nilotica (che probabilmente l’eurocentrismo dell’epoca aveva ipotizzato basandosi sulla storia europea, suffragato dall’ideologia hamita) piuttosto ipotizzano diverse ondate, prolungate nei secoli, di varie tribù straniere stabilitesi in loco per la fertilità dei luoghi e assimilatesi fra loro.

I termini tutsi e hutu erano usati da prima dell’arrivo degli europei, ma non definivano etnie, tantomeno razze, quanto condizioni sociali. Sembra che il nome tutsi fosse un etnonimo che originalmente si era dato un gruppo di pastori e sotto il regno del mwami Ndoli (1600-1624) designò i pastori che formavano l’élite politica. Quanto al nome hutu, erano i villani in genere, senza distinzioni. Sotto il mwami Rujugira (1744-1768), il termine tutsi venne applicato ai combattenti e hutu ai non combattenti, mentre umutware ai capi. All’interno dell’esercito quelli che combattevano venivano chiamati tutsi e quelli che portavano le armi hutu.

Naturalmente la maggior parte dei non combattenti coltivava i campi, fu per questo che il termine hutu finì per designare gli agricoltori, mentre tutsi vennero definiti gli allevatori. L’hutu che diventava proprietario di bestiame veniva chiamato ibyihuture=”colui che lascia la condizione di coltivatore passando nella categoria politica di allevatore”. Il ruolo delle donne era importante nel settore agricolo, quanto quello degli uomini nell’allevamento.

 

L’acconciatura tradizionale di Amasunzu è senza dubbio una delle più creative di sempre. Indossata ancora oggi, era ed è ancora un simbolo di orgoglio in Rwanda, dal 1920

 

La coesistenza e le relazioni fra agricoltori e allevatori in un’area così densamente popolata, colpì gli europei per l’allevamento intensivo di grossi animali, quali le vacche e la complessità delle colture per la pluralità dei raccolti, associazioni dei vegetali, rotazione stagionale e ricorso sistematico al letame animale. La specializzazione, benché relativa, di una parte di popolazione dedita all’allevamento, senza approfondire le problematiche sociali che scandivano la coesistenza delle due attività, portarono gli europei a una lettura dualistica alquanto superficiale. E la protezione coloniale, prima tedesca, poi belga, con la logica del “divide e impera“, non fece altro che accentuare tale divisione, con la complicità dei missionari (padri bianchi).

Il conte Von Götzen, primo esploratore a entrare in Rwanda nel 1894, fu ricevuto amichevolmente, al contrario dei miti che vedevano il Paese come chiuso e ostile, e fu il primo contatto fra la potenza coloniale e i futuri “protetti”. Seguirono altre spedizioni militari e nel 1897 il comandante Ramsay strinse un patto di amicizia con il mwami Yuhi V Musinga. Era iniziata l’era coloniale, anche se per i vent’anni successivi i tedeschi non interferirono con le faccende interne dello Stato rwandese, che nel frattempo aveva visto una feroce lotta di sucessione con violenze e intrighi di corte, come nei migliori drammi shakespeariani. Yuhi V Musinga era salito al trono dopo la morte di Kigeri IV Rwabugiri due anni prima, e la successiva incoronazione di Mibambwe IV Rutarindwa, il suo fratellastro, che l’anno precedente venne assassinato. Mwami Yuhi V Musinga regnò sul Rwanda dal 1896 al 1931, quando fu deposto dai belgi.

 

Mwami Yuhi V Musinga con i figli

 

Nel 1898 arrivò in Rwanda Richard Kandt, medico esploratore, ci rimase per undici anni come governatore locale. Appassionato di scienze naturali, scoprì le sorgenti del fiume Kagera che alimenta il lago Vittoria, dando una risposta definitiva riguardo le sorgenti del Nilo. Studiò flora e fauna locali e fu il primo a intraprendere la coltivazione del caffé, diventato oggi molto pregiato (il caffé di montagna). Esplorò il lago Kivu e interessato alla cultura locale, divenne l’unica voce fuori dal coro, assieme all’etnologo Jan Czekanowski (un polacco arrivato nel 1907) per le ricerche più approfondite di entrambi sulla complessità della società rwandese. Ma i loro lavori non riuscirono a scalfire il cliché etnico-razziale.

La vulgata razziale, comprendente tratti somatici e morali, ipotesi dell’invasione etiope e la classificazione hamita o semito-hamita, fu presa tal quale dall’amministrazione tedesca, come era stata divulgata dai primi esploratori e continuò successivamente con i belgi dopo il 1919. Anche i veterinari si riferirono alle vacche del Rwanda, come una razza proveniente dal Basso Egitto, se non addirittura dal Caucaso.

 

Villaggio Boma nel 1914, sede dell’amministrazione tedesca a Kigali e residenza di Richard Kandt. Ne rimase solo un frammento che è stato recentemente ristrutturato (con l’aiuto del Land Renania-Palatinato) e adibito a museo dell’epoca coloniale, il Kandt House Museum.

 

I missionari fecero la loro parte con le interpretazioni bibliche, aggiungendo i cushiti, da Cush figlio di Cam, capostipite della popolazione Kush, che fondò il regno omonimo fra l’attuale Sudan e la Nubia. Inoltre scrissero diversi saggi, che vennero ristampati fino a tempi relativamente recenti, riferendosi apertamente ai grandi “razziologi” del tempo. Padre Van der Burg ipotizzò in una pubblicazione del 1903, apprezzata per decenni, che gli hema (popolo che vive fra il Congo e l’Uganda) arrivarono dalla Mesopotamia dopo il crollo della torre di Babele, e fossero “degenerati” mescolandosi con i negri, ma rimasti sempre cusciti o hamiti, visti i crani caucasici, i profili greci, simili a semiti o israeliti.

Nel 1920 padre Julien Gorju, prossimo vicario apostolico del Burundi, sviluppò una considerazione simile sui tutsi, mettendo l’accento sull’influenza ebrea, mentre padre Alexandre Le Roy, vescovo della costa orientale, li considerò degli “ebrei africani”. Padre Léon Classe, vicario apostolico in Rwanda, considerò i tutsi moralmente superbi, ma fisicamente dai tratti regolari con qualcosa di ariano e semitico, mentre gli hutu, “molto meno dotati”. Infine padre Albert Pagés pubblicò un libro dal titolo significativo: “Un royaume hamite au centre de l’Afrique“. Tesi che influenzarono tutta la colonizzazione belga. Sul lato britannico-ugandese, le opere dell’esploratore Henry Johnston, sintetizzarono il libro “Races of Africa” di Charles Seligman, che dal 1930 fu instancabilmente rieditato fino al 1966.

 

 

Arrivati agli anni ’50, qualsiasi fosse il soggetto, gli scritti, tanto scientifici, quanto volgari, si riferivano in modo sistematico all’abc etnologico sulla “nobiltà” rwandese, come razza di gente fine, alta, intelligente, arrivata da nord-est alla fine del XV secolo, tanto che ne furono convinti tutti i tutsi ed entrò anche nelle scuole. Il programma d’insegnamento di René Bourgeois, professore alla scuola di Astrida (oggi Butare, nel sud del Rwanda) dove si formavano le classi dirigenti future, fu ripreso anni dopo in tre grandi volumi dall’Accademia reale delle scienze coloniali di Bruxelles, dove venne scritto su centinaia di pagine che gli hutu erano dei bantu, tozzi e brachicefali. Avevano tutti i capelli crespi e presentavano un prognatismo pronunciato, servi agricoltori assogettati dai tutsi. Questi ultimi, costituendo il 10% della popolzione, venivano descritti con gli arti allungati (i “veri” alti 1,80m,) il naso frequentemente “semitico se non armenoide”, ma nettamente “negrizzati”, evocando la Bibbia e l’etnografia mondiale sulle loro origini, dall’Asia meridionale, indiana, o indo-afghana, con altre amenità e una grande carta piena di frecce rappresentanti la loro migrazione.

Parallelamente il dualismo signori e servi ricordò un immaginario chiaramente feudale. Gli autori tedeschi scrivevano Herrenvolk (popolo di signori) tutsi e Knechtstschaft (servitù) hutu, attribuendo ai primi la proprietà del bestiame e delle terre, mentre gli hutu non avevano alcun titolo di Lehen (feudo). L’interpretazione feudale venne ripresa dai belgi in modo duraturo. Ancora nel 1957 la visione coloniale era quella di un sistema feudale simile a quello europeo del medioevo, dove i tutsi erano l’aristocrazia nobile e gli hutu i servi.

 

 

Lo schema dei missionari e dell’amministrazione coloniale fu ripreso dappertutto, senza alcuna voce critica, all’interno di un pensiero unico occidentale, che coinvolse anche i rapporti dell’ONU. La visione feudale non rimase sulla carta, entrò nella società rwandese come ricomposizione della tradizione, perché si integrò perfettamente con la politica coloniale nell’utilizzare le gerarchie locali per la gestione del Paese, dove la popolazione era numerosa con pochi agenti europei. La logica dell'”amministrazione indiretta”, già sperimentata dai tedeschi sul modello britannico in Uganda, diventò la politica ufficiale dei belgi dal 1920. Le autorità locali avrebbero dovuto essere selezionate e formate per diventare gli attori della modernizzazione e in Rwanda il progetto si espresse con l’instaurazione di una selezione “razziale” a vantaggio dei tutsi.

Allo stesso tempo si assistette a un’evoluzione dei padri bianchi, che inizialmente avevano preso le distanze dal mwami Musinga e dai “capi tutsi”, sposando la causa dei “paesani hutu”, descritti come lavoratori di buona moralità e sfruttati dai loro dirigenti. In questa fase i tutsi apparirono ai missionari essenzialmente come l’aristocrazia semita. (Anche se la realtà era ben diversa: nel primo gruppo di battezzati del 1900, c’erano 17 hutu e 9 tutsi, tutti provenienti da condizioni sociali povere). Le cose cambiarono verso il 1907, anno in cui fu creata la Residenza tedesca, venne fondata Kigali e padre Léon Classe divenne Vicario. Quest’ultimo, ossessionato dalla concorrenza protestante e dal pericolo bolscevico, per accellerare l’evangelizzazione, adottò il modello del gesuita Roberto de Nobili, quando nel XII secolo tentò di convertire gli Hindu partendo dalla casta superiore dei Brahmani.

Così i tutsi si videro investire del ruolo di condurre il loro Paese sia verso il progresso, che verso il cristianesimo. A loro vennero create dai missionari e dall’amministrazione coloniale, vie preferenziali nelle scuole, nelle professioni, nei quadri dirigenziali, a discapito degli hutu, in un esplicito spirito di discriminazione. La superiorità tutsi, come proclamata e messa in opera, diventò sotto la colonizzazione una verità ufficiale, sia per gli europei, ma anche nella testa degli stessi tutsi. Da questo si può capire quanto il mito hamita e l’ipotesi della migrazione proveniente dall’Etiopia, descritti da padre Pagés nel suo libro, sia stato un momento più decisivo nella storia sociale del Rwanda, che le origini leggendarie primordiali.

 


Fonti:
Jean-Pierre Chrétienne: L’Afrique des Grands Lacs – Deux mille ans d’histoire
Jean-Pierre Chrétienne et Marcel Kabanda: Rwanda – Racisme et génocide – L’idéologie Hamitique
Université Nationale du Rwanda: Histoire du Rwanda – Des origines a la fin du XX siecle
Jan Vansina: L’évolution du royaume Rwanda des origines à 1900-1962
Jan Vansina: Le Rwanda ancien – Le royaume nyiginya