Congo 11 – Mobutu

La Prima Repubblica fu un immenso pasticcio: litigi fra governanti, guerra, disordini, disoccupazione, povertà, con politici che giravano in limousine mandando a studiare i figli in Europa. La gente desiderava ordine e per questo Mobutu fu ben accolto. Il 12 dicembre 1965 parlò a Kinshasa in uno stadio strapieno, dove snocciolò le disastrose cifre economiche, esortando i congolesi a rimboccarsi le maniche. Promise cinque anni affinché il Paese diventasse ricco e benestante, trasmettendo fiducia e determinazione in un discorso appassionato che non si sentiva dai tempi di Lumumba. Il decennio 1965-1975 viene tutt’ora ricordato da diversi congolesi come l’era d’oro del Congo indipendente. Nella capitale iniziò un vero fermento chiamandola Kin-la-Belle, dove le notti sembravano infinite e vi scorreva la birra a fiumi.

Mobutu volle togliere dalle menti il giogo precedente con ogni sorta di cambiamento, compreso i nomi: le grosse città divennero Kinshasa (Léopoldville) Lubumbashi (Elisabethville) Kisangani (Stanleyville) e anche tutte le altre assunsero un nome indigeno. Spezzò l’orgoglio locale cambiando il nome del Katanga in Shaba e le 21 provincettes divennero 9, governate da suoi fedelissimi. Proibì il nome di battesimo, imponendo di adottare nomi ancestrali eliminando quelli cattolici. Il prénom scomparve sostituito da un postnom, come lui stesso da Joseph-Désiré Mobutu divenne Mobutu Sese Seko. I ministri diventarono commissari di stato, i governatori commissari di regione e i parlamentari commissari del popolo.

Il Paese si sarebbe chiamato Zaire, più autentico dell’indicazione coloniale Congo, basandosi su un’antica mappa portoghese dove sul fiume c’era scritto Zaire. E poco importò quando si scoprì che zaire era solo lo spelling sbilenco della parola nzadi, che in lingua kikongo significava fiume. (Quando i portoghesi chiesero come si chiamava quella massa d’acqua gli fu risposto nzadi, fiume, e capirono zaire. Così il Congo si chiamò Zaire a causa della fonetica approssimativa di un cartografo di quattro secoli prima). Zaire venne chiamato il Paese e quindi anche il fiume, la moneta, la compagnia aerea, le sigarette, i preservativi e così via.

 

Mobutu mentre parla allo stadio di Kinshasa il 12 dicembre 1965

 

Kasavubu si ritirò nella sua regione natale, scrivendogli che non lo avrebbe ostacolato e quattro anni dopo morì di cancro, mentre Tshombe si rifugiò ancora in Spagna, preparando il suo ritorno. Considerandolo il più pericoloso perché godeva ancora di un largo consenso, l’anno successivo fu condannato a morte in contumacia per presunte attività sovversive. Nel 1967, al ritorno da Ibiza, un francese (poi rivelatosi dei servizi francesi) dirottò l’aereo su Algeri, dove venne arrestato. Boumedienne si rifiutò di estradarlo e morì due anni dopo in un carcere algerino, di infarto ufficialmente, assassinato secondo molti in Congo.

Ma la caccia agli oppositori cominciò da subito: sei mesi dopo il colpo di stato, un mattino i cittadini di Kinshasa videro erigere la forca, un’esecuzione pubblica non si vedeva dai tempi del colonialismo e attirò decine di migliaia di persone. Vennero giustiziati quattro ex ministri, accusati di aver architettato un piano per deporre Mobutu, con un processo farsa dove non si poterono neppure difendere. Da quel giorno molti cominciarono ad avere paura di lui.

Poi toccò a Lumumba, che a cinque anni dalla sua morte aveva ancora numerosi sostenitori. Qui agì d’astuzia, dando prova di un cinismo senza fondo. Mobutu, l’uomo che si era sporcato le mani con il suo sangue, proclamò Lumumba eroe nazionale, dedicandogli una delle pincipali arterie della capitale ed erigendo un monumento in suo onore, facendolo così salire sul carro del suo colpo di stato. La neutralizzazione divenne il pilastro della sua politica: preso il potere nominò come primo ministro il generale Mulamba, ma quando si accorse che riscuoteva più consensi di lui, lo depose inviandolo in Giappone come ambasciatore. E finiva sempre allo stesso modo: trasferimenti, promozioni, galloni, soldi, per zittire la gente.

 

Bandiera dello Zaire

 

Dopo aver vietato i partiti e allontanato Mulamba, mandò a casa i parlamentari, assumendo anche il potere legislativo, oltre quello esecutivo e militare, facendo diventare il Congo da una repubblica democratica e federale, una dittatura militare centralizzata. I servizi di sicurezza divennero molto potenti e la gente cominciò a diffidare. Essendo l’esercito la base del suo potere, ogni malcontento veniva stroncato con soldi e promozioni. A est la rivolta non era del tutto terminata, ma preferì rivolgersi ai mercenari ancora presenti, che inizialmente risolsero il problema, poi si ribellarono e non finì bene. Nel 1967 Soumialot e Gbenye fuggirono e tutto il Congo tornò sotto l’autorità di Kinshasa, salvo un piccolo, innoquo baluardo fra le montagne dell’estremo est, a capo del giovane Laurent-Desiré Kabila.

Con il Congo riappacificato, Pierre Mulele, l’eroe della rivolta contadina fuggito a Brazzaville, chiese di poter tornare e Mobutu gli concesse l’amnistia. Mulele attraversò il fiume accolto con calore e lo stesso ministro degli Esteri gli offrì ospitalità. Tre giorni dopo i militari andarono a prenderlo, lo portarono in un accampamento dove venne torturato e poi gettato dentro un sacco nel fiume.

Nel 1968 Mobutu cambiò la costituzione ponendo le basi della sua onnipotenza: “Il popolo congolese e io stesso, siamo una sola persona” disse. Resa innoqua ogni forma di opposizione (anche la Chiesa mantenne un basso profilo) ristabilì il potere civile e fondò il MPR, Mouvement Populaire de la Revolution, ufficialmente un partito popolare, in realtà il suo movimento personale, pubblicando il Manifeste de la Nsele editato come un libretto verde, in analogia al libro rosso di Mao. Venne diffuso in tutto il Paese facendolo diventare un nuovo catechismo, così il Congo divenne uno Stato a partito unico.

Il brusco passaggio da una struttura coloniale monolitica a un sistema democratico a più partiti, senza tappe intermedie, si era rivelato un fiasco e lo scopo dell’MPR voleva essere quello di riunire il popolo. “Più che la lotta di classe, è la lotta di tutti a garantire il progresso”, annunciava. Inizialmente composto da giovani mobutisti volontari, divenne il più alto ente del Paese, al punto da annullare il confine fra Stato e partito. Tutti i cittadini ne erano membri, compreso antenati ed embrioni.

 

Les fantômes de Lovanium – pittura a ricordo del massacro degli studenti, situata presso l’università di Kinshasa.

 

Solo una piccola opposizione rimase latente, fino a scoppiare. Gli universitari (a ragione) accusarono Mobutu di voler abolire la politica, tornando al periodo coloniale. Le cerchie studentesche sposarono con decisione la carta dell’antimperialismo, Lumumba divenne il loro eroe e Mobutu un nemico. Partirono i primi disordini nel 1968 continuando l’anno successivo.

Nel giugno 1969 durante una manifestazione, l’esercito aprì il fuoco. Ufficialmente ci furono sei morti e dodici feriti, secondo gli studenti cinquanta morti e ottocento arresti. Da quel giorno ogni campus ebbe una sezione giovanile dell’MPR e il Manifeste de la Nsele diventò materia obbligatoria nelle scuole. I leader della rivolta vennero condannati a pene fino a vent’anni. Così Mobutu soffocò l’ultima voce critica.

Impiccagioni, torture e massacri furono solo un lato della medaglia, molti anziani ricordano il periodo con nostalgia: c’era ordine, i militari erano tornati nelle caserme, le merci nuovamente disponibili, i prezzi si abbassarono e l’industria era in ascesa. Per la prima volta dopo l’indipendenza vennero costruiti grandi opere come la diga Grand Inga sul fiume Congo che generava 351 megawatt. A Kinshasa, nei nuovi quartieri arrivò l’acqua potabile, l’elettricità, le fognature e l’ospedale, con 1.500 posti letto, era visitato giornalmente da 4.000 pazienti.

Ogni persona doveva regalare qualche ora allo Stato strappando erbacce, spazzare immondizia, pulire strade. Mobutu incoraggiò a coltivare un pezzo di terra, compreso i generali. Dopo il disastro della Prima Repubblica voleva restituire al Congo prestigio e ambizioni. Quando gli americani sbarcarono sulla luna, invitò l’equipaggio dell’Apollo, portò a Kinshasa la finale di miss Europa e contribuì al concorso di miss Congo. Ma voleva soprattutto l’indipendenza economica: nel Katanga il 5% dei lavoratori stranieri portava a casa il 53% degli stipendi, così nazionalizzò l’Union Miniére. Tutto il ricavato entrò nelle casse dello stato e con la guerra in Vietnam i profitti incrementarono. Poi sostituì la moneta lanciando lo zaire che valeva 2 dollari e 100 franchi belgi, contro il vecchio franco congolese cambiato 0,10 franchi. In quel periodo di benessere nessuno pensò che la dittatura avrebbe portato alla rovina.

 

Modelle in Congo durante la finale dell’elezione di miss Europa.

 

Nel 1970 Mobutu si fece eleggere per un secondo mandato con 10.131.669 voti, contro 157 voti contrari che provenivano tutti dal quartiere studentesco. Singolare fu che prese più voti del numero degli aventi diritto. Nei successivi anni ’70 volle regalare un sogno al suo popolo: il nazionalismo zairese. L’architetto di quel sogno fu Sakombi Inongo, giovane, intelligente, più mobutista di Mobutu, commissario di stato per l’Informazione. Mobutu era stato sia militare che giornalista e sapeva bene che dopo l’appoggio dei militari, era arrivata l’ora della propaganda.

Per combattere il tribalismo mise nell’esercito, nell’amministrazione, nella squadra di calcio nazionale, nel concorso di miss Congo, dappertutto, persone di ogni tribù che provenivano da tutto il Paese. Ma fu Sakombi che portò il tribalismo al livello dello stato: lo zairese avrebbe sempre potuto amare la sua tribù a condizione che quella tribù si chiamasse Zaire e Mobutu divenne il capo della tribù nazionale, venerato come un dio.

Sakombi, che contava 1.400 collaboratori, con un budget secondo solo a quello della difesa, elaborò una politica culturale chiamata retour à l’authenticité, della quale il cambio dei nomi fu solo una parte. Agli uomini furono vietati abiti occidentali per vestire l’abacost (neologismo di à bas le costume) un’uniforme di ispirazione maoista. Proibite le minigonne, esclusivamente abiti tradizionali per le donne. Si mangiava solo piatti congolesi e furono rimosse le statue del colonialismo, sostituite con eroi locali. La musica occidentale venne proibita, imponendo quella congolese, mentre la televisione trasmetteva giornalmente le omelie del leader per sei o addirittura dodici ore, elogiando l’MPR. Neppure a letto ci si liberò della propaganda, che esortava a fare più figli. E funzionò, lo zairese cominciò a sentirsi zairese.

 

Mobutu con la moglie Marie-Antoinette, 1971

 

Il retour à l’authenticité poteva sembrare un bel pensiero, ma zeppo di rattoppi: non c’era nulla di zairese nell’abacost, un abito alla Mao confezionato a Bruxelles, né in quelli tradizionali femminili importati dall’Indonesia, con Mobutu che promuoveva la cucina locale, quando il suo piatto preferito era l’ossobuco alla romana. Una dissimulazione per nascondere una realtà più tragica. A Mobutu non interessava il popolo, perché troppo impegnato a mantenere il potere. Troppo preso dal distribuire automobili, soldi, incarichi, indennità che svuotarono le casse statali. La ripresa economica fu reale, ma dovuta solo alla congiuntura favorevole promossa dalla guerra in Vietnam. E non contribuì alla lotta contro la povertà, ma a mantenere intatta la sua struttura di governo, perché il suo potere si basò su una forma estrema di clientelismo, con migliaia di individui coinvolti che formarono una ricca borghesia di Stato.

La nazionalizzazione dell’Union Miniére portò cifre enormi a Mobutu, ma la clientela cresceva e per mantenere le redini dovette procurarsi sempre più soldi, tramite investimenti, accordi bilaterali, ma soprattutto prestiti internazionali. Più il Paese era bisognoso, più riusciva ad incassare. Anche la miseria diventò fonte di profitto.

Tornando da un viaggio in Cina, dove aveva visto l’economia di Stato, il 30 novembre 1973 prese una decisione drastica: con la “zairizzazione” espropriò tutte le attività in mano agli stranieri (ristoranti, negozi, coltivazioni, fabbriche, cinema…) e le concesse ai sui fedeli. Oltre che grottesche, le conseguenze si rivelarono disastrose, perché pochi possedevano competenze per gestirle e i più si arricchirono spolpandole. Personalmente si gratificò con quattordici piantagioni. (Mobutu controllava un terzo della produzione di cacao e di gomma, aveva venticinquemila dipendenti e grazie soprattutto alle miniere, diventò il settimo uomo più ricco del pianeta).

Rendendosi conto del disastro, passò alla “radicalizzazione”, dove le aziende in difficoltà vennero rilevate dallo Stato, che ovviamente non funzionò. Si inventò quindi la “retrocessione” cercando di restituire le aziende, ormai distrutte, ai legittimi proprietari, che rifiutarono.

Da un lato aumentò la disoccupazione, dall’altro, con la creazione di una classe di ricchi, i prezzi salirono e l’abitante medio vide flettere il potere d’acquisto. Nel 1974, con la fine della guerra in Vietnam e la crisi del petrolio, anche l’industria crollò. La promessa di una ripresa economica finì in catastrofe, cominciò a mancare il pane e la sua popolarità a vacillare.

 

The rumble in the jungle

 

Per incrementare la sua notorietà, organizzò a Kinshasa, il 30 ottobre 1974, the rumble in the jungle (la rissa nella giungla) lo storico incontro di pugilato fra l’allora campione dei pesi massimi George Foreman e Muhammad Ali, considerato fra i match più importanti nella storia della boxe, dove Ali riconquistò il titolo mondiale.

L’organizzatore dell’incontro chiedeva la cifra pazzesca di dieci milioni di dollari, che solo Mobutu accettò. Il ring venne eretto al centro dello stadio di Kinshasa che si riempì con 70.000 spettatori, provenienti anche dall’Angola e dal Camerun, mentre all’esterno si ammassò una folla gigantesca. L’incontro fu visto da tutto il mondo e quel giorno divenne memorabile per lo Zaire: chiusero le scuole e le fabbriche dovettero concedere un permesso retribuito, fu imposto ai bar di vendere la birra a metà prezzo e la farina venne distribuita gratis.

Come evento culturale, che precedette the rumble in the jungle, riunì i più grandi musicisti neri del mondo, come Celia Cruz, Bill Withers, BB King o James Brown, dell’Africa e dello Zaire, espressione dell’orgoglio nero. Una Woodstock africana chiamata Zaire 74, rimasta fra le manifestazioni musicali più grandi tenutesi in Africa. Ma Mobutu non partecipò agli eventi, sempre più lontano nella sua onnipotenza.

 

Fonti:

Congo” di David Van Reybrouck – Feltrinelli Editore

Storia del Congo” di Fortunato Taddei

“Wikipedia”