Congo 16 – Joseph Kabila

A Kinshasa il 16 gennaio 2001, mentre Kabila era nel suo ufficio, entrò un kadogo, uno dei bambini soldato che formavano la sua guardia del corpo, sparandogli tre volte mortalmente. La causa fu imputata al malumore dei kadogo, dopo che Kabila aveva fatto uccidere Masasu, co-fondatore dell’AFDL loro beniamino, ma non vennero esclusi mandanti esterni e ad oggi esistono solo teorie e congetture. Furono condannate 135 persone, di cui 25 a morte e venne subito nominato presidente il giovane figlio Joseph, appena tornato da un corso militare in Cina e con lui gli eventi della guerra ebbero una svolta. Due mesi dopo incontrò a New York il suo nemico Paul Kagame (presidente del Ruanda). Parlò di pace e unità nazionale. Seguirono diversi negoziati che terminarono nell”accordo “globale e inclusivo” di Pretoria, il 17 dicembre 2002, reso effettivo nel 2003. (L’accordo fu talmente “inclusivo” che alcuni criminali di guerra non vennero giudicati, ma nominati vicepresidenti). Ruanda e Uganda si ritirarono.

Secondo l’accordo, per un periodo di due anni, il presidente sarebbe stato affiancato da quattro vicepresidenti, di cui due erano capi ribelli (Bemba del MLC e Ruberwa del RCD-G). Le varie milizie sarebbero confluite in un unico esercito, e preparate elezioni democratiche. Nel frattempo fu nominato un parlamento e un governo di transizione. Le truppe del MONUC vennero incrementate fino a 8.700 caschi blu, per raggiungere i 16.700 gli anni successivi, con un budget di un miliardo di dollari l’anno, che la fece diventare la missione di pacekeeping più importante e più costosa della Storia, sotto la guida di William Swing. (“Ça va Swing!” divenne subito la canzone più popolare).

Il nuovo potere fu guidato dal CIAT (Comité International d’Accompagnement à la Transiton) composto dai cinque Stati membri permanenti delle Nazioni Unite più Canada, Belgio, Angola, Gabon, Zambia, Sudafrica, rappresentanti dell’Unione Africana, dell’Unione Europea e della MONUC. Il CIAT non fu solo un organo consultivo, ma un’istituzione formale, che ebbe subito attriti con la presidenza, quando divenne critico su determinate scelte. I congolesi parlarono di sovranità controllata, ma il CIAT e la MONUC furono dei salvagente per il nuovo Congo.

 

I presidenti Joseph Kabila (RDC) e Paul Kagame (Ruanda)

 

Appena installato, il governo ignorò riforme cruciali come quella dell’esercito o la legge elettorale, mentre una delle prime disposizioni votate dal parlamento riguardò il loro aumento di stipendio, che raddoppiò da 600 a 1.200 dollari al mese, mentre un docente universitario ne prendeva 30. I senatori, in quanto anziani, se lo portarono a 1.500. Ogni parlamentare (620) si concesse un suv da 22.000 dollari, causa le condizioni pietose delle strade di Kinshasa, e non gli venne in mente che con la stessa cifra, avrebbero potuto ripararle. Il mandato politico continuò a essere considerato una scorciatoia di arricchimento, piuttosto che una ricostruzione sociale e la corruzione rimase un modo per procurarsi lodi e amici.

I ministri si assegnarono una villa e un’automobile di lusso, mentre i vicepresidenti ci aggiunsero anche due macchine di scorta. La speranza iniziale che presidente e vicepresidenti si controllassero a vicenda, si dimostrò subito ingenua. Questi si lasciarono in pace, con l’unico scopo di allungare la transizione. Nel 2004 superarono il budget annuale del 100% e il bilancio 2005 attribuì al presidente una somma otto volte superiore a quella destinata all’assistenza sanitaria di tutto il Congo e 16 volte il bilancio dell’agricoltura. La società pubblica che gestiva le miniere (Gécamines) stipulò una serie di contratti con imprese straniere estremamente vaghi, dove lo Stato congolese vide ricevere molto poco, mentre girarono bustarelle assai cospique. E il clientelismo prosperò ancora.

Nell’esercito avrebbero dovuto confluire tutte le milizie formando un reggimento di 120.000 uomini. Moltissimi ex ribelli ricevettero una divisa e molti dei loro comandanti furono promossi di grado. Ma la mescolanza voluta non ebbe effetto, non fu facile mettere assieme uomini che si erano sparati a vicenda, così nel 2006, solo tre brigate delle 18 previste erano miste. Inoltre dopo le promozioni degli ex ribelli, ufficiali e sottufficiali divennero il doppio dei soldati. I vertici si appropriarono sistematicamente delle paghe dei soldati e cominciarono a gonfiare gli effettivi per guadagnare di più. I soldati, non addestrati, senza paga e demotivati si comportarono di conseguenza, tramite furti e razzie. La MONUC era l’unica che svolgeva il suo compito, ma 17.000 uomini non potevano controllare un territorio vasto come mezza Europa. In questo clima non meraviglia che la guerra fosse continuata e l’est del Congo, anche dopo l’accordo, rimase una terra agitata.

 

Qui peut sauver le Congo? di Tambwe – Pop 89 x 122 cm, acrylic colors on canvas, 2005.

 

Nell’Ituri gli scontri etnici erano ripresi già dal 2001, ma s’infiammarono proprio in seguito all’accordo di pace. Quando nel maggio 2003 l’esercito ugandese si ritirò, le milizie lendu attaccarono la capitale Bunia e massacrarono molti hema. Qualche giorno dopo gli hema si avventarono sui lendu uccidendone a decine. Il conflitto fra le due etnie, dove anche le donne presero le armi, assunse un aspetto sanguinoso, caotico e inestricabile, nel quale la sovrappopolazione, con la mancanza di terra in un’economia di guerra, giocò un ruolo non marginale. Furono attive una dozzina di milizie, caratterizzate da bambini in ciabatte con kalasnikov, guidati da loschi giovani signori della guerra in alleanze mutevoli. Con fusioni, divisioni, joint venture, e OPA, la guerra sembrò più al mondo degli affari. Le milizie avevano in comune il fatto che tutte ricevevano armi e addestramento dall’Uganda, non per una politica di divide et impera, ma era una forma di rivalità dentro l’esercito ugandese, dove ogni generale aveva il suo personale esercito in Congo e anche il Ruanda ne gestiva alcune.

Negli uffici della MONUC, gli organigrammi delle varie milizie variavano continuamente. Ogni giorno alcune scomparivano, mentre altre nascevano con nuove sigle. E gli ufficiali delle Nazioni Unite scoraggiati, aggiornavano schemi, abbreviazioni e fotografie di criminali. L’Onu impotente chiese aiuto e, per la prima volta nella Storia, venne organizzata una missione militare sotto la bandiera dell’Unione Europea chiamata Operazione Artémis, dove parteciparono 15 Stati della UE, a cui si unirono Canada, Brasile e Sudafrica. Dopo aver pacificato Bunia, nel settembre 2003 restituirono il comando alla MONUC. Vennero spiccati mandati di cattura internazionali nei confronti dei più importanti signori della guerra e tre di loro messi in carcere preventivo all’Aja.

Ma gli scontri dei miliziani contro la MONUC e l’esercito congolese, durarono fino al cessate il fuoco del 2006. Nel 2008 ricominciarono fino alla resa del 2014. L’anno successivo ripresero e milizie ribelli scorazzano ancora nella zona, tanto che dal 2018, con l’epidemia di ebola fra l’Ituru e i Kivu, le organizzazioni sanitarie hanno affrontato non pochi problemi, a causa delle bande armate.

 

Bambini soldato in Congo

 

Non tutti i bambini soldato vennero arruolati in modo coatto, molti presero le armi volontariamente, dopo aver visto massacrare genitori, parenti e interi villaggi. In un Paese dove l’insegnamento non esisteva più e l’aspettativa media di vita era scesa a 42 anni, oltre che guadagni, la guerra dava senso alle cose e quei ragazzi senza futuro ci trovarono un ideale e un’identità. Human Rights Watch ha documentato il coinvolgimento di grandi compagnie minerarie straniere nell’Ituri e vennero trovati proiettili statunitensi, russi, cinesi, sudafricani e greci, nonostante l’embargo sulle armi.

Nel maggio 2004, scoppiarono violenze nel Kivu e anche qui svolse un ruolo la sovrappopolazione, soprattutto quella del Ruanda. Il fulcro dei disordini fu ancora la diatriba fra hutu e tutsi. A dieci anni dal genocidio gli hutu non potevano ancora tornare nel loro Paese sovraffollato, dove li attendeva un processo per genocidio e l’esilio continuava a suscitare tensioni. Vivevano in un limbo dove Kabila non li scacciava e Kagame non li voleva, mentre continuava a sostenere i tutsi congolesi contro di loro. In quel mese a Bukavu, gli uomini di Laurent Nkunda marciarono per le strade uccidendo e saccheggiando. Violentarono decine di donne, spesso in gruppo, compreso bambine.

 

“Non! Plus jamais ca les violences contres les femmes a l’est.” di Sam Ilus Acrylic colors on canvas, 120 x 150 cm, 2008.

 

Nkunda era un tutsi del Nord Kivu, aveva combattutto con Kagame dal 1990, si era unito all’AFDL nel 1996, poi nel RCD-G durante il 1998 e aveva terrorizzato i cittadini di Kisangani nel 2002. Non gli sembrò sicuro entrare nell’esercito governativo con l’accordo del 2003, a causa dei massacri che aveva perpetuato. Si impadronì di Bukavu e divenne l’uomo nuovo di Kigali. La sua violenza provocò, come ritorsione, il massacro di 159 rifugiati banyamulenge (tutsi congolesi) soprattutto donne e bambini, nel campo profughi di Gatumba in Burundi, da parte di milizie hutu e hinterahamwe. Il Ruanda inviò truppe in Congo per proteggere i tutsi congolesi e per un momento sembrò ricominciare tutto da capo, ma Le Nazioni Unite, il Sudafrica e il CIAT si impegnarono a non far degenerare la tensione. Un conflitto, quello del Kivu, che sembrava non voler finire e che cominciò nel 1994, quando i francesi fecero fuggire il regime génocidaire hutu, con soldi, armi e bagagli, nel Congo dell’est.

Poi Nkunda scomparve dalla scena, con i suoi studi di psicologia divenne pastore in una chiesa pentecostale. Ricomparve nel 2006, dopo le elezioni vinte da Kabila, fondando il CNDP (Congrés National pour la Défense du Peuple) che non era un Congrés, ma una milizia e il 25 novembre 2006 conquistò Sake, presso Goma, installandoci il suo quartier generale. Il CNDP ebbe da subito il sostegno del Ruanda. Il nemico principale furono sempre gli hutu, organizzati nelle FDLR (Forces Démocratiques de Libération du Rwanda). Parte degli hutu aveva sposato una congolese, coltivava campi o controllava piccole miniere assicurandosi, saccheggiando e violentando, redditi regolari, per cui non aveva interesse a combattere contro il potente Ruanda. Quindi la lotta divenne fra CNDP e FDLR a cui si affiancarono le FARDC, l’esercito regolare congolese e ripresero le armi anche i mai-mai. Le parti non superarono mai i diecimila effettivi, ma la brutalità di entrambi fu indescrivibile. Le sofferenze dei civili diventarono una prassi e la violenza sessuale un’arma di cui si servirono tutti, anche i civili, nell’impunità generale.

 

Laurent Nkumba

 

Nel tentativo di metter fine alle violenze, nel 2007 fu proposto a Nkunda di confluire le sue truppe nelle FARDC, ma invece di disperdere i suoi uomini tra caserme remote, vennero fuse in loco, con il risultato che fu il suo esercito ad inglobare le FARDC. Diventato generale dell’esercito governativo poté continuare con le violenze. Nel 2008 Ban Ki-moon, Segretario delle Nazioni Unite, chiese aiuto, ma Unione Africana, Unione Europea, Angola e Sudafrica non diedero la disponibilità. Sembrava che Nkunda potesse regnare ancora a lungo sul Kivu, ma nel gennaio 2009 successe l’imprevedibile. I due eserciti ruandese e congolese, nemici giurati, si coalizzarono per catturarlo e venne arrestato in Ruanda mentre scappava. Il suo arresto ebbe un eco internazionale, perfino i giornali italiani ne parlarono. Una mossa inattesa, ma Kagame non ebbe scelta, dopo il rapporto dell’ONU che dimostrava il suo appoggio al CNDP, mentre Kabila continuava ad essere oggetto di scherno per il suo miserabile esercito.

Il CNDP, rimasto orfano, cadde in mano al criminale di guerra Bosco Ntaganda, ricercato dall’Aja per crimini contro l’umanità. Successivamente, sempre all’interno dell’esercito congolese, il CNDP comandato da Ntaganda, partecipò, con l’appoggio della MONUC, a un’operazione contro il FDLR degli hutu, procurando ulteriori sofferenze alla popolazione. Il FDLR nel 2010 contava non più di seimila uomini, un’inezia rispetto al milione e mezzo di profughi del 1994.

Nell’aprile 2012, Ntaganda con il suo CNDP si ammutinò dalle truppe governative, formando il Mouvement du 23 mars (M23) e continuò a spadroneggiare con violenza nel Kivu del Nord. Venne sconfitto il 5 novembre 2013, dopo un offensiva con armi pesanti dall’esercito congolese affiancato da una brigata dell’ONU, arrendendosi alle autorità ugandesi.

 

Fonti:

Congo” di David Van Reybrouck – Feltrinelli Editore

Storia del Congo” di Fortunato Taddei

“Wikipedia