Congo 5 – Guerra e dopoguerra

Il Congo condivideva diverse decine di chilometri di frontiera con il Camerun tedesco e più di settecento con la Tanzania, il Ruanda e il Burundi pure tedeschi e Berlino aveva già da tempo dimostrato interesse nel Congo Belga, soprattutto per unificare le sue colonie orientali e occidentali, al fine di spezzare l’asse britannico from Cape to Cairo. Sia il Belgio che la sua colonia erano neutrali, ma il 14 agosto 1914, undici giorni dopo l’invasione tedesca del Belgio, sul versante congolese del lago Tanganica spuntò un battello a vapore che fece fuoco, affondando una decina di piroghe. Alcuni tedeschi sbarcarono e tranciarono i cavi telefonici. Così il Congo entrò in guerra.

Il conflitto in Africa fu completamente diverso da quello europeo. Non esistevano trincee e non si conquistavano territori, ma luoghi strategici e si controllavano strade con un dispiego di forze e di intensità bassi. Rimanendo praticamente isolato dopo che il Belgio fu invaso, il Congo combattè su tre fronti. Nel 1914 seicento soldati comandati da pochi bianchi furono impegnati nella battaglia del Camerun. L’anno successivo 283 congolesi con sette belgi si unirono alle truppe britanniche in Rhodesia. Ma il grosso delle forze fu dispiegato sul confine est, dove i tedeschi volevano penetrare dal Ruanda per impossessarsi delle miniere d’oro di Kilo-Moto. Non ci riuscirono, ma acquisirono il controllo del lago Kivu e del lago Tanganica.

 

Africa coloniale prima della Grande Guerra
Africa coloniale prima della Grande Guerra.

 

La battaglia per il lago Tanganica fu una delle battaglie navali fra le più incredibili della prima guerra. Mentre i tedeschi pattugliavano le coste congolesi con grosse navi, la Kingani, la Von Vissmann e la Graf von Götzen da mille tonnellate, i britannici portarono via ferrovia, via strada e via fiume dal Sudafrica i pezzi di due cannoniere veloci, Mimi e Tutu, rafforzate da quattro idrovolanti, arrivati smontati via nave a Matadi sull’Atlantico, poi in treno fino a Léopoldville. Da qui con un cargo merci raggiunsero Stanleyville e un mese dopo arrivarono a Kalemie sul Tanganica con cinquecento tonnellate di materiale, 53.000 litri di carburante e olio, quattro mitragliatrici e trentamila cartucce, che riuscirono a spezzare l’offensiva tedesca sul lago.

Nel frattempo anche la Force Publique, comandata dal generale Tobeur, forte di quindicimila uomini forniti di fucili e munizioni, sfondò il confine tedesco arrivando prima a Kigali, poi Tabora (centro amministrativo della colonia tedesca) 600 chilometri più a est, infine Mahenge ad altri 500 chilometri, controllando un terzo dell’Africa Orientale Tedesca. Fu un grande sforzo bellico, ma anche logistico perché per ogni soldato servivano sette portatori. In quattro anni di guerra si mossero 260.000 portatori su una popolazione di un milione di abitanti. Ne morirono venticinquemila assieme a duemila militari.

 

Uno degli idrovolanti portato a terra sul lago Tanganica
Uno degli idrovolanti trasportato sul lago Tanganica.

 

La Guerra non ebbe conseguenze solo per i soldati, i minatori risentirono fortemente dell’estrazione intensiva, quando la richiesta di rame balzò alle stelle. Le bombe americane e britanniche avevano il rivestimento in ottone con il 75% di rame del Katanga, parti dei cannoni erano di rame indurito, i proiettili dei fucili avevano bossoli di rame mentre i siluri e gli strumenti della marina erano realizzati in rame, bronzo e ottone, tanto che le esportazioni coloniali passarono da 52 milioni a 164 milioni di franchi durante il conflitto. Nelle campagne fu imposto il sistema di cultures obligatoires che evocava ricordi funesti. Venne coltivato il riso per il sostegno delle truppe e costretta quella del cotone per l’industria tessile.

A fine guerra il Belgio ottenne i piccoli Ruanda e Burundi, dove anche qui vennero applicate le regole antropologiche del Congo. Si divise in razze con carattere assoluto: tutsi o hutu o twa (pigmeo) successivamente impresso anche sui documenti d’identità, dimenticando quanto da secoli fossero ormai sottili le differenze. Superficialità che vide conseguenze disastrose in seguito.

Nonostante molti militari belgi avessero apprezzato lo sforzo fatto dagli africani in guerra, considerandoli dei commilitoni, l’esperienza bellica ebbe un impatto più morale che materiale sui congolesi: videro come i bianchi, che avevano insegnato loro a non ammazzarsi e non fare più guerre fra tribù, si fossero azzannati a vicenda con un arsenale bellico enorme, provocando più morti di tutte le loro guerre tribali. Da quel momento si sgretolò il rispetto che nutrivano per loro e comincò la lenta perdita di considerazione dei belgi da parte dei congolesi.

 

Campo di soldati durante l'inseguimento dei tedeschi verso Mahenge
Campo di soldati durante l’inseguimento dei tedeschi verso Mahenge.

 

Albert Kudjabo e Paul Panda furono fra i pochissimi congolesi, arruolati nell’esercito belga, a partecipare al conflitto in Europa, venendo fatti prigionieri dai tedeschi per quattro anni. Alla loro liberazione alcuni giornali belgi promossero una campagna per “farli rispedire nelle loro capanne in Africa”. Paul Panda (primo congolese diplomato) rispose a tono con un articolo, dove scrisse che se i congolesi non potevano rimanere in Belgio, neppure i belgi potevano stare in Congo. Quella risposta diretta fece clamore per l’epoca. Erano i primi segni di ribellione che sfociarono nello sciopero e nella diserzione dei marinai, quando non accettarono che i loro colleghi bianchi fuochisti, caldaisti, carbonai, avessero un salario più del doppio.

A Bruxelles, Panda fondò l’Union Congolaise (Société de secours mutuel et de développement moral de la race congolaise) con una forte valenza politica, per la quale partecipò a diversi congressi panafricani a Londra, Bruxelles e Parigi, rivendicando migliori condizioni di vita per la sua gente. La seduta di Parigi del 1919 fu organizzata da Blaise Diagne, un senegalese deputato nel Parlamento francese dal 1914, il che lo stupì: mentre loro venivano ancora trattati come bambini dai belgi, in Francia nel Parlamento sedeva un africano rappresentante del popolo. Paul Panda aveva tutti i requisiti per diventare un buon leader, purtroppo morì nel 1930 all’età di 41 anni.

 

Paul Panda Farnana
Paul Panda Farnana.

 

Nel frattempo in Congo la ribellione assunse un aspetto religioso nella persona di Simon Kimbangu. Coniugando un cristianesimo colorato da riti locali con un pizzico di buddismo, da “guaritore” in breve diventò profeta e predicatore, raccogliendo decine di migliaia di fedeli in un nuovo movimento religioso, il kimbanguismo. Si diffuse la voce fosse un nuovo messia che guariva gli ammalati e resuscitava i morti, così la gente cominciò ad abbandonare i campi e i rigidi confini delle chefferies per incontrarlo.

Non c’era nulla di politico nelle sue prediche e neppure di anticristiano, la sua parola proveniva da Gesù, solo un adattamento locale a una religione importata. Ma mentre i missionari protestanti dimostrarono tolleranza, i cattolici e il governo locale cominciarono a temerlo per le grandi masse che sapeva mobilitare, agendo con violenza attraverso la Force Publique. Ci furono morti e feriti, i capi del movimento vennero condannati all’ergastolo con lavori forzati, i suoi più vicini seguaci deportati, mentre Simon Kimbangu fu condannato a morte (successivamente re Alberto gli concesse la grazia tramutandola in ergastolo).

Una sentenza notevolmente sproporzionata in rapporto ai fatti, che si rivelò un grosso errore ottenendo l’effetto contrario. I kimbanguisti, seppur perseguitati, si moltiplicarono in clandestinità e di pari passo nacquero decine di altri moti religiosi, più radicali e politicizzati. Le retate continuarono fino al 1940, con circa 150.000 suoi seguaci che vennero stipati dentro vagoni, per essere esiliati e costretti ai lavori forzati. Il kimbanguismo a tutt’oggi conta il 10% dei congolesi.

 

Simon Kimbangu
Simon Kimbangu.

 

Nel periodo interbellico ci fu un incremento nella qualità della vita, in particolare nelle città, dove si riversavano soprattutto i giovani alla ricerca di un lavoro salariato. Kinshasa ed Elisabethville videro duplicare i loro abitanti, anche grazie al miglior trattamento dei lavoratori. Nelle miniere le condizioni igieniche diventarono più sane, tanto che la mortalità passò dal 5,4% del 1921 all’1,6% nel 1930. In città i congolesi avevano una casa in muratura con cucina e latrina e gli fu permesso portare la famiglia, fino allora vietato.

Ma la troika coloniale, che voleva sudditi docili e ubbidienti, assieme ad un minimo di benessere sosteneva di pari passo una politica di controllo. La Chiesa, centro dell’educazione, insegnava il minimo possibile come leggere e far di conto. La storia si limitava a quella dei reali belgi, ignorando le rivoluzioni francese e americana. Venivano stampati solo giornali di moda e di gossip, quelli politici erano vietati. Fu molto temuta la diffusione del cinema che subì una censura preventiva. Anche la concessione di portare la famiglia in città, era stata data per ridurre la prostituzione ed aumentare la gente relegata in casa, riducendo così le sommosse. I minatori ricevettero scuole, ospedali e un fondo pensione, ma allo stesso tempo venivano schedati accuratamente con tutta la famiglia per verificarne la rettitudine e la moralità, subendo controlli periodici e regolari. Mentre le mogli dei lavoratori erano costrette a chiedere un permesso quando volevano lasciare la città.

 

Villaggio minatori
Elisabethville – Union Miniére, villaggio di minatori.

 

Poi arrivò il crollo della Borsa del ’29: lo sfruttamento minerario, principale motore economico, frenò bruscamente vedendo l’esportazione coloniale crollare del 60% e determinando un enorme deficit di bilancio. La prima idea per uscirne fu diversificare per non dipendere solo dall’export dell’industria estrattiva, rivolgendosi all’agricoltura intensiva con il caffé, il tabacco e il cotone, ma ciò richiedeva tempo, così il governo coloniale optò per l’aumento delle tasse.

Alle società in crisi fu dedicato un occhio di riguardo e vennero alzate le imposte sulle persone fisiche, ovvero gli indigeni. Così facendo sarebbe aumentato il bisogno di soldi, costringendo i congolesi a cercare un lavoro salariato. La lunga mano del fisco si allungò fino alle regioni più interne, tanto che mentre le entrate fiscali della colonia nel 1920 furono di 15,5 milioni di franchi, nel 1926 quarantacinque milioni, nel 1930 (in piena crisi) arrivarono a 269, un aumento di sei volte in quattro anni. Per contro le imposte sui profitti delle grandi aziende rappresentarono il 4% del bilancio e non fu tutto: molte aziende in difficoltà ricevettero un dividendo forfettario del 4% dalle casse dello Stato, grazie ad un pregresso accordo contrattuale, atto ad attirarle in Congo.

Alla fine il buco di bilancio fu coperto dai congolesi comuni, da un’iniezione da parte del Tesoro e una lotteria coloniale. La mazzata delle imposte spinse migliaia di persone verso le fabbriche, le piantagioni e l’amministrazione. Nel 1923 si contavano 123.000 salariati che nel 1939 arrivarono a 493.000. Chi voleva rimanere nei campi fu costretto a coltivare determinate piante e venderle a imprese private con prezzi calmierati. Si stima che nel 1935 l’agricoltura assorbisse 900.000 persone.

 

Villaggio nella valle del fiume Ruzizi
Villaggio nella valle del fiume Ruzizi.

 

Naturalmente tutto ciò creò un malcontento generalizzato che sfociò in frequenti ribellioni e per questo si cominciarono a costruire le prigioni, che non esistevano (fino allora veniva usato il metodo più sbrigativo dell’eliminazione fisica) e nei casi più estremi non ci furono scrupoli ad usare l’impiccagione pubblica per dare l’esempio.

Un episodio celato dal governo avvenne nel 1931: la rivolta dei Pande, una tribù angolana deportata per la raccolta delle noci di palma. Con la crisi il prezzo dell’olio di palma crollò e ai raccoglitori la Lever decurtò la paga da 20 centesimi al chilo a 3 centesimi. Già vessati da capi aguzzini, con la paga ridotta a una miseria e la richiesta di pagare sempre più tasse, si ribellarono. All’arrivo del funzionario belga incaricato di riscuotere le imposte, si opposero e dopo una lite lo uccisero. Il governo inviò una spedizione punitiva di 270 soldati che per tre mesi perquisirono, torturarono, violentarono ed uccisero (ufficialmente) 400 persone. Significativo fu che la vedova del funzionario ucciso, denunciò in Belgio lo stato di schiavitù dei Pande come causa della morte del marito.

 

Fonti:

Congo” di David Van Reybrouck – Feltrinelli Editore

“Storia del Congo” di Fortunato Taddei