Congo 8 – Liberi

Il 20 gennaio 1960 una sessantina di belgi e circa 90 congolesi si riunirono nel Palazzo dei Congressi di Bruxelles in una conferenza chiamata Tavola rotonda. L’intenzione era di confrontarsi in maniera franca su un piano di parità. Da parte belga c’erano sei ministri, cinque parlamentari e cinque senatori, mentre i congolesi erano presenti con i delegati dei maggiori partiti politici e gli anziani, in rappresentanza del potere tradizionale. Prima dell’incontro i congolesi si erano riuniti per formare un fronte comune, al fine di superare le diverse ideologie e le rivalità etniche. Strategia che in seguito lasciò impreparati i belgi divisi fra cattolici, liberali e socialisti, oltre che tra governo e Parlamento. Molti di loro arrivarono disinformati senza un ordine del giorno, pensando non fosse una riunione decisiva.

Già dai primi giorni gli africani si imposero: convinsero i belgi a non proseguire la riunione senza Patrice Lumumba, che era ancora in prigione (Kasavubu nel frattempo era stato scarcerato). Così Lumumba venne liberato e fatto salire su un aereo per Bruxelles. Poi costrinsero i delegati belgi a impegnarsi nel tradurre in proposte di legge le risoluzioni prese durante il congresso. In questo modo trasformarono un incontro informale in summit decisionale. In terzo luogo la cosa che li premeva di più: la data. E dopo una concitata trattativa si arrivò al trenta giugno: il 30 giugno 1960 il Congo sarebbe diventato indipendente. Nessuno dei congolesi si sarebbe aspettato uno svolgimento così facile, erano tutti stupiti.

Al Plaza Hotel di Bruxelles la gioia fu incontenibile, e i congolesi, che si erano portati dietro l’African Jazz di Kabasele, danzarono al ritmo di Indépendance cha cha, appena scritta per l’occasione, che sarebbe diventata un grande successo. Il testo in lungua lingala e kikongo esaltava l’autonomia, lodava la collaborazione fra i partiti e cantava i grandi nomi. Anche se il Congo avrebbe successivamente conosciuto tre inni nazionali con Kasavubu, Mobutu e Kabila, ci fu un solo vero inno nazionale che ancora fa ancheggiare spontaneamente i congolesi, la musica leggera e gioiosa di Indépendance cha cha.

Ma la concessione senza strappi dei belgi non fu frutto di una distrazione e la decisione non venne presa alla leggera. Rifiutare avrebbe portato gravi disordini, e anche se le basi militari di Kitona e Kamina avevano la forza per contrastarli, il Parlamento era contrario ad inoltrarsi in un conflitto come quello algerino. Inoltre con la Carta delle Nazioni Unite e le posizioni anticoloniali di USA e URSS, un rifiuto avrebbe rischiato che il Belgio venisse isolato sul panorama internazionale. Infine i belgi sapevano che anche dopo il 30 giugno sarebbero rimasti coinvolti nel potere, nell’esercito e nell’economia del Congo.

 

La Tavola rotonda di Bruxelles il 20 gennaio 1960

 

Ora c’era da mettere in piedi un Paese con una lista impressionante di cose da fare: creare un governo di transizione, redigere una costituzione, un Parlamento e un Senato, i ministeri, il corpo diplomatico, indire elezioni provinciali e nazionali; questo solo per le istituzioni politiche. Poi una moneta, una banca centrale, timbri postali, patenti, targhe automobilistiche, un catasto… tutto in pochi mesi. I coloni belgi pensarono che sarebbe crollato tutto il sistema e cominciarono a spedire soldi e famiglia in Belgio, tanto che la Sabena dovettere aggiungere settanta voli supplementari. Mentre il congolese comune credeva nell’avvento di un’era di fasti e veniva intontito dalle promesse irrealizzabili, talvolta pericolose, di tutti i partiti.

Anche a livello economico si dovevano preparare dei trasferimenti, dato che l’industria era connessa con lo Stato coloniale. Così si tenne a Bruxelles un secondo convegno. Impegnati per le imminenti elezioni, la conferenza economica fu sottovalutata dai capi partito, d’altronde la cosa principale, l’indipendenza era già stata ottenuta. Così ci mandarono membri giovani dei partiti, che ricevettero assistenza dai pochi congolesi che studiavano a Bruxelles. Nessuno aveva alcuna conoscenza di tipo economico-finanziario, i pochi laureati erano giovani psicologi (fra loro c’era anche il giornalista Joseph Mobutu) che si trovarono di fronte i più abili squali della finanza belga.

I belgi imposero come fatto compiuto la facoltà delle aziende belghe di poter scegliere l’ubiquazione della sede sociale. La maggior parte scelse il Belgio temendo la nazionalizzazione, oltre che la fiscalizzazione, per la quale i grossi colossi industriali avevano sempre ricevuto un occhio di riguardo dallo Stato coloniale. Inoltre nei grossi gruppi, soprattutto in Katanga, anche se lo Stato era maggior azionista, il potere veniva controllato dagli uomini d’affari, che temevano di perdere la loro autonomia. Optando per la sede in Belgio, si assogettavano alla legge belga e, a causa di ciò, il Tesoro congolese vide sparire una grossa fetta di entrate fiscali.

La mancata competenza dei congolesi divenne ancor più palese quando, per evitare che il considerevole pacchetto di azioni inerenti miniere, piantagioni, ferrovie, fabbriche, in possesso del Congo Belga, finisse nel nuovo Congo indipendente, vennero convinti a ritirare le partecipazioni statali e collocarle in una nuova società di sviluppo belga-congolese. In questo modo i belgi si tennero stretto il portafoglio.

Ma la mossa scaltra arrivò il 27 giugno, quando il Parlamento belga (con l’approvazione del governo congolese) sciolse il Comité Special du Katanga (Csk) facendo perdere al nuovo Stato il controllo sul gigante minerario Union Miniére, motore dell’economia nazionale. Il Csk era una società pubblica che in Katanga assegnava concessioni private in cambio di azioni, in questo modo aveva acquisito una quota maggioritaria dell’Union Miniére e quindi potere decisionale. Potere che non era mai stato esercitato, lasciandolo nelle mani del mondo degli affari, ma ora c’era pericolo che il nuovo Congo interferisse sull’attività dell’Union Miniére. Abolendo il Csk venne eliminato tale pericolo.

I delegati congolesi della conferenza, con l’avversione che avevano per il colosso del capitalismo e successivamente il governo Lumumba, che la pensava allo stesso modo, non si accorsero delle conseguenze: il nuovo Congo rimase con una piccola quota minoritaria e si privò di svariati milioni di dollari, ma soprattutto di mettere l’industria al servizio del Paese.

Con l’indipendenza avevano ricevuto le chiavi politiche, ma quelle economiche furono messe al sicuro in Belgio.

 

Il Presidente Kasavubu, il Primo ministro Lumumba accolgono re Baldovino per la cerimonia dell’indipendenza

 

Alla fine di maggio si tennero le elezioni nazionali: con l’eccezione del MNC di Lumumba (primo partito) i grossi vincitori furono i partiti regionali e le tre personalità premiate dalle urne furono Kasavubu nell’ovest, Lumumba nel nordest e nel centro, e Tshombe a sud che coincideva con le tre città più grandi. Mentre i partiti più piccoli si spartirono le zone rurali. Non fu facile formare un governo, tantopiù che i belgi interferirono perché consideravano Lumumba una minaccia. Dopo un primo tentativo fallito di Kasavubu, ci riuscì Lumumba a mettere insieme ben dodici partiti, accordandosi con Kasavubu per fare il Presidente e lui stesso Primo ministro. Tshombe si prese le briciole, diventando solo Governatore, nonostante il suo Katanga assicurasse la gran parte delle entrate e lo considerò un affronto.

Il Congo ereditò dai belgi più di quattordicimila chilometri di ferrovie, centocinquantamila chilometri di strade e autostrade, quaranta aeroporti, più di cento centrali idroelettriche e a vapore, un’industria leader mondiale per l’estrazione dei diamanti e un Paese terzo produttore di rame del pianeta. Oltre a un esercito che aveva riportato importanti successi nelle due guerre mondiali, un’alfabetizzazione elevata (1,7 milioni di alunni frequentavano la scuola primaria nel 1959) e trecento ospedali. Ma i congolesi comuni avevano sofferto di più per la mancanza di sincera empatia, di considerazione e di amore da parte dei colonizzatori, che per l’assenza di scuole, strade o fabbriche.

Il giorno dell’indipendenza il Congo contava solo sedici laureati universitari e anche se c’erano centinaia di bravi infermieri e impiegati nell’amministrazione, la Force Publique non aveva alcun ufficiale nero. Non esistevano medici indigeni, né ingegneri, giuristi, economisti o agronomi. Tutta la cronologia degli avvenimenti evidenziò un paradosso che non si poteva più risolvere: la decolonizzazione cominciò troppo tardi e l’indipendenza arrivò troppo presto: se il Belgio ebbe poca esperienza con la colonizzazione, ne ebbe ancor meno con la decolonizzazione.

Le sue ultime riforme, atte a fronteggiare l’agitazione sociale, si rivelarono intempestive ed esigue. Venendo incontro troppo tardi alle comprensibili esigenze di una élite frustrata, incapace di gestire la situazione, Bruxelles scatenò una vera fuga in avanti con una emancipazione accelerata. Ma ciò valse anche per la giovane élite, che mentre canalizzava il malcontento delle classi inferiori, allo stesso tempo lo accentuò e lo amplificò. Così l’indipendenza si trasformò in una tragedia mascherata da commedia, dando per scontato un esito disastroso.

 

Patrice Lumumba mentre pronuncia il suo famoso discorso, 30 giugno 1960

 

Il 30 giugno 1960 una cerimonia ufficiale al Palazzo della Nazione di Kinshasa, avrebbe ratificato l’indipendenza e per ufficializzarne la consegna, era sceso dal Belgio anche re Baldovino. Il re tenne un discorso anacronistico, lodando l’opera di Leopoldo II, non dimenticando alcune frasi di paternalismo. Poi parlò il Presidente Kasavubu con un discorso pacato, il cui testo fu scritto da un belga, assistente del Governatore uscente. Secondo il protocollo doveva finire lì, ma fecero i conti senza l’oste.

Il Primo ministro Lumumba volle prendere la parola per mandare un ultimo messaggio ai belgi, non accontentandosi delle parole di rito di Kasavubu. L’aveva scritto durante la notte e viene ancor oggi considerato uno dei più grandi discorsi del ventesimo secolo, fondamentale per la decolonizzazione. (Testo integrale in inglese, francese, in italiano uno stralcio su wikipedia). Fu un chiaro messaggio di condanna verso il colonizzatore bianco, illustrando le ingiustizie subite, che scosse tutti in quell’atmosfera ufficiale e amichevole. Il tempismo fu disastroso, perché in quel giorno, proprio lui, l’unico grande unitarista del Congo, avrebbe potuto portare un messaggio riconciliante e non divisivo. Invece espresse più rancore che magnanimità, un animo da ribelle più che un uomo di Stato, ma la sua bramosia romantica del panafricanismo ebbe la meglio, aggiungendo nuovi nemici che avrebbero portato al suo assassinio sei mesi dopo.

I suoi sostenitori applaudirono, ma la freddezza calò sugli invitati mentre re Baldovino impallidì e volle rientrare immediatamente a Bruxelles. Lumumba venne convinto a fare un discorso più conciliante, glielo scrissero e lo lesse con freddezza durante il pranzo. Anche il re venne convinto a rimanere, ma partì la sera stessa.

Nel resto del Paese ci furono sfilate, danze e fuochi artificiali. Non avvennero disordini o attacchi contro i belgi e i festeggiamenti durarono giorni con la birra che scorreva a fiumi, tutti ignari che il Congo da lì a sei mesi avrebbe avuto a che fare con un ammutinamento nell’esercito, una fuga massiccia di belgi, l’invasione dell’esercito belga, l’interferenza militare delle Nazioni Unite, il supporto logistico dell’Unione Sovietica, un’escalation della guerra fredda, una crisi costituzionale, due secessioni e un primo ministro imprigionato, torturato e ucciso.

 

Fonti:

Congo” di David Van Reybrouck – Feltrinelli Editore

“Storia del Congo” di Fortunato Taddei

“Wikipedia”