Congo 1 – Le origini

Un lungo viaggio a puntate attraverso la Storia di questo enorme territorio

Viene chiamata pennacchio (plume) quella striscia color ocra che penetra nell’Atlantico per centinaia di km, sputata dall’immensa forza del Congo, secondo fiume al mondo per portata d’acqua, primo per profondità. Il colore è dovuto al limo accumulato nel suo tragitto di 4.700 km e dalle centinaia di fiumi che vi affluiscono formando il bacino del Congo. Un’area di circa 3,7 milioni di chilometri quadrati (quasi quanto la superfice dell’Unione Europea) della quale la Repubblica Democratica del Congo occupa 2.300.000 km2. Uno dei Paesi più poveri al mondo e altrettanto pieno di ricchezze non solo pecuniarie con le sue miniere, l’oro, i diamanti, ma anche per l’incredibile biodiversità (due terzi del territorio sono occupati da foresta equatoriale, la seconda più estesa al mondo dopo l’Amazzonia) e la varietà antropologica composta da circa 400 gruppi etnici, quasi tutti con la loro lingua, cultura, tradizioni.

Kinshasa è il suo ombelico, la cui area urbana conta circa 17 mln/ab, situata sullo Stanley Pool, un bacino di 34×23 km che segna la fine del tratto navigabile del Congo, dove specchia la sua miseria sulla città di Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo situata sull’altro lato del fiume. Da qui tutta l’immensa portata d’acqua del Congo si incunea in un imbuto per circa 350 km su un dislivello di 275m, formando una serie di rapide conosciute col nome di cascate Livingstone, prima di raggiungere l’Atlantico con una forza enorme, creando il suo caratteristico pennacchio.

 

Il bacino del fiume Congo
Il bacino idrografico del fiume Congo

 

La Storia del Congo non inizia con l’arrivo di Stanley nel diciannovesimo secolo, periodo in cui L’Africa Centrale ha certamente conosciuto una grande accelerazione fra il 1870 e il 1885, ma non significa che precedentemente i suoi abitanti vivessero in una sorta di apatia preistorica, perché migliaia di anni di vicende umane precedettero l’arrivo degli europei. In Africa, fra i cinque e i sette milioni di anni fa, la linea della specie umana si separò dalle scimmie antropomorfe, quattro milioni di anni fa l’Uomo assunse la posizione eretta, due milioni di anni fa furono intagliati i primi strumenti in pietra e centomila anni fa, sempre in Africa, ebbe origine il comportamento complesso della nostra specie, caratterizzato da reti di scambio su lunghe distanze, dall’uso degli utensili in pietra e osso, dai primi sistemi di calcolo e dall’uso dell’ocra come pigmento.

“Vieni a portarmi il nano, il nano che hai riportato dalla Terra degli spiriti, vivo, incolume e in buona salute, per danzare le sacre danze per il diletto del faraone Neferkare. Stai attento che non cada in acqua”: fu una lettera incisa nella pietra, inviata quattromilacinquecento anni fa ad un capospedizione egiziano che aveva con sé un pigmeo. “Terra degli spiriti“, per la prima volta il Congo faceva la sua comparsa in un testo scritto.

Circa quattromila anni fa nel territorio oggi chiamato Camerun apparve l’agricoltura, che sviluppò un sistema rurale dove prima c’erano cacciatori, pescatori e raccoglitori. La crescita della popolazione dovuta alla nuova fonte di cibo unita alla necessità di nuovi terreni causata dalle colture intensive, favorì la migrazione bantù. Non fu una grande ondata migratoria, ma un lento e costante spostamento da nord verso sud (a nord c’era il Sahara), tanto che in tremila anni l’agricoltura conquistò tutta l’Africa Centrale e Meridionale. In Congo gli agricoltori penetrarono nella foresta pluviale seguendo i sentieri degli elefanti, vennero in contatto con i pigmei finché, verso l’anno mille, l’intera regione fu abitata. A tutt’oggi le centinaia di lingue che caratterizzano il Paese sono imparentate.

 

L'immensità della foresta del Congo
L’immensità della foresta pluviale del Congo

 

Mentre in Europa l’Impero romano d’Occidente era appena crollato, nel Congo il crescente sviluppo dell’agricoltura portò i legami familiari ad estendersi in territori più vasti incrementando il commercio fra villaggi. L’introduzione della banana da cuocere, al posto dell’igname (un tubero insipido) portò grandi vantaggi: non attirava le zanzare della malaria, il raccolto era notevolmente superiore e richiedeva meno lavoro con minore sfruttamento del suolo. Allo stesso tempo si continuò diffusamente a raccogliere, a cacciare e a pescare, rendendo la dieta particolarmente varia.

I villaggi erano piccoli, ma si tenevano in contatto fra loro con il gong detto “tamburo a fessura”, formato da un pezzo di tronco incavato che permetteva di emettere due toni, uno alto e uno basso tramite i quali trasmettevano messaggi a grande distanza. Non vaghi segnali, ma, con un sistema ingegnoso, messaggi ben precisi, frasi intere, piccole storie, episodi, condoglianze, che con l’aria fresca potevano raggiungere i dieci chilometri di distanza. Nell’Africa Centrale non si sviluppò mai la scrittura, le informazioni non venivano immagazzinate per il futuro, ma diffuse immediatamente e condivise. Gli esploratori ottocenteschi si sbalordirono del fatto che i villaggi fossero sempre al corrente del loro arrivo e quando appresero che un messaggio tambureggiato poteva percorrere 600 chilometri in 24 ore, li derisero definendolo: “le télégraphe de brousse“, il telegrafo della savana, ignorando che quella forma di comunicazione era stata inventata millecinquecento anni prima dell’alfabeto Morse.

 

Tamburo a fessura
Il tamburo a fessura

 

All’epoca del nostro Rinascimento, nella savana l’abbondanza dei raccolti aveva portato la creazione di diversi Stati nazionali (Il Kongo, il Lunda, il Luba e il Kuba) alcuni grandi come l’Irlanda, governati come società feudali gerarchizzate al cui vertice c’era un re, padre del suo popolo, benefattore e protettore. Una costruzione politica personalizzata nelle mani del re e soggetta alla sua personalità, alternò periodi di splendore a periodi di decadenza con le successioni al trono che sfociavano quasi sempre in guerre civili. Il regno del Kongo, situato a valle del fiume, fu il più conosciuto. Qui nel 1482 gli abitanti sulla costa videro arrivare dal mare grandi capanne con panni sventolanti, contenenti persone dalla pelle bianca e ricoperti di stoffe.

Erano i portoghesi che oltre alle stoffe portavano anche le ostie. Furono autorizzati a lasciare 4 missionari dal re dei bakongo Nzinga Kuwu, il quale inviò quattro notabili sulle loro navi. Tornarono qualche anno dopo con racconti mirabilanti sul Portogallo e il re, desideroso di conoscere il loro segreto, si battezzò con il nome di Don João, ma dopo qualche anno, deluso, tornò alla poligamia e ai vecchi dei. Anche suo figlio Nzinga Mvemba si convertì regnando dal 1506 al 1543 con il nome di Alfonso I. In quel periodo il commercio con i portoghesi portò grande prosperità, compreso la vendita degli schiavi che procurava negli Stati limitrofi, un fenomeno indigeno praticato da sempre. La sua collaborazione con i portoghesi si rafforzò al punto che inviò un figlio a Lisbona, in seminario per diventare prete; qui imparò il portoghese e il latino, poi partì per Roma dove fu consacrato vescovo, il primo vescovo nero della storia.

 

Regno del Kongo
Il regno del Kongo

 

Furono prima i gesuiti portoghesi, poi i cappuccini italiani a cristianizzare il regno del Kongo, con modalità diverse dai missionari del XIX secolo, in quanto la Chiesa si indirizzò esclusivamente verso gli strati più alti della popolazione; rappresentando ricchezza e potere riuscì a smuovere la sensibilità dell’élite del Kongo, per cui vennero costruite chiese e cattedrali, i ricchi si fecero battezzare, assunsero titoli della nobiltà portoghese e impararono a leggere e scrivere. Successivamente il cristianesimo si diffuse anche fra la gente, ma se i preti cattolici pensavano di portare la fede, il popolo li considerava una forte protezione contro la stregoneria e si facevano battezzare non perché avessero rinunciato alla stregoneria, ma perché ci credevano, tanto che il crocifisso fu considerato uno dei feticci più potenti per scacciare gli spiriti maligni. Il cristianesimo non scacciò le religioni locali, ma si fuse con esse. Successivamente i missionari del XIX secolo incontrarono persone con nomi come Ndoluvualu (da Don Alvaro) o Ndonzwau (da Don João) e videro rituali praticati con crocifissi di tre secoli, ricoperti da conchiglie, considerati di origine indigena.

Nel 1575 la fondazione di una colonia portoghese sulla costa incrementò il commercio atlantico così che, mentre in Europa cominciò a diffondersi la patata, nell’Africa Centrale si imponevano il mais e la manioca, assieme a patate dolci, arachidi e fagioli, che sono ancor oggi gli alimenti base della cucina congolese. In pochi decenni il regime alimentare fu stravolto con la globalizzazione portoghese. Quando tre secoli dopo arrivò Stanley, il Congo era già nella Storia e la regione non era incontaminata, fin dal 1500 aveva partecipato al commercio mondiale. Anche gli abitanti della foresta, pur non consapevoli dei mondo esterno, mangiavano quotidianamente piante provenienti da un altro continente.

 

Le rotte della tratta atlantica degli schiavi
Le rotte della tratta atlantica degli schiavi

 

Attorno alle foci del fiume Congo, lungo una fascia costiera di circa 400 chilometri, partirono, secondo le stime, quattro milioni di persone, un terzo della tratta atlantica degli schiavi che durò circa dal 1500 al 1850. Uno schiavo su quattro delle piantagioni del sud degli attuali Stati Uniti proveniva dall’Africa equatoriale. Dal 1780 l’incremento della domanda verso quelle stesse piantagioni portò il traffico su una scala molto maggiore: dalla costa a nord del fiume Congo, nel 1700 partivano ogni anno fra i quattromila e i seimila schiavi, dal 1780 furono quindicimila all’anno e questa crescita si fece sentire fin nel centro della foresta equatoriale. I maggiori mercanti di schiavi furono europei, ma non erano loro che se li procuravano all’interno, il commercio passava attraverso intermediari che scendevano il fiume con enormi canoe ricavate da tronchi d’albero e lunghe anche venti metri, cariche con decine di schiavi l’una, assieme all’avorio, impiegando mesi per arrivare al punto in cui il Congo non era più navigabile. Proprio lì nacque il grande mercato di Kinshasa dove gli schiavi venivano venduti ad un capocarovana che li avrebbe condotti a piedi fino alla costa, 350 km più a valle.

La tratta internazionale degli schiavi ebbe un impatto enorme nell’Africa Centrale disgregando intere regioni, distruggendo vite e allo stesso tempo originò un commercio regionale lungo il fiume: coloro che portavano schiavi e avorio, cominciarono a caricare le canoe con altre merci da vendere strada facendo mentre risalivano il Congo. Così trasportarono pesce, zucchero di canna, manioca, olio di palma, vino di palma, birra, tabacco, oggetti di ceramica, vimini. Ogni giorno venivano trasportate fino a 40 tonnellate di manioca lungo il corso del fiume. Fu così che in un mondo di pescatori, contadini e raccoglitori, nacque la categoria dei mercanti. Con il commercio potevano guadagnare bene ed acquistando piroghe, schiavi e moschetti acquisivano anche potere, facendo vacillare la tradizionale autorità dei capi. I legami politici basati su villaggi e famiglie furono soppiantati dalle alleanze fra mercanti. I villaggi dei pescatori divennero mercati. Il potente regno del Kongo, che al suo apice contava mezzo milione di sudditi, si sbriciolò venendosi a creare un grande vuoto politico e la crescita di potere dei mercanti, dovuta all’incremento del commercio mondiale, provocò il caos anche dentro l’entroterra africano.

 

Fonte: “Congo” di David Van Reybrouck – Feltrinelli Editore