Dietro alla cena dell’Antivigilia di Natale

Oddunque, Natale, tempo di cena dell’Antivigilia, la mitica cena con gli amici la sera del 23 dicembre, che da almeno vent’anni costituisce la VERA cena di Natale per quanto mi riguarda, senza parenti vari, obblighi assortiti e fastidi sparsi, solo il piacere di ritrovarci e di stare assieme.
Ormai questa cena è un appuntamento a cui tutti siamo affezionati, e con gli anni si sono stabilite delle piccole tradizioni che ho cura di mantenere ed incrementare. Ad esempio, il menù: niente pesce (l’anno in cui ho provato ad introdurre questo elemento, sotto forma di riso Venere con gamberi e zucchine, e già che c’ero ci ho messo anche una capasanta gratinata tanto per gradire, la novità ha più stupito che rallegrato, e anzi mi sa che si sono pure un po’ scandalizzati), niente panettone o pandoro, menù rigorosamente segreto che comprende come unico elemento certo le patate al forno e le carote al burro (credo che se cambiassi qualcosa qui dovrei affrontare una sommossa popolare) più un altro contorno a mia scelta, e complessivamente un pranzone di quelli massicci, che secondo tradizione vien servito sull’amato servizio di piatti Perugia della Richard Ginori e che mi devo programmare e gestire senza aiuti di sorta (The marit è più un ospite pasticcione che un padron di casa, in queste occasioni).

Adesso vi vorrei raccontare quel che può capitare, durante l’allestimento della cena dell’Antivigilia, se succede che lo spirito natalizio dell’Ape se ne vada in vacanza a Kathmandù, e mi lasci da sola ad organizzare tutto.
Eggià, perchè preparare per una decina di persone un menù cicciotto senza neanche uno zinzino di Spirito Natalizio a sostenerti non è facile, tanto più che in queste occasioni il mio spirito da ApeChioccia (che invece in vacanza non ci va mai, e dire che gli farebbe proprio un gran bene!) si risveglia prepotentemente e mi spinge a preparar cibo in dosi sufficienti a sfamare una Casa dello Studente di medie dimensioni (non a caso, quando gli amici tornano a casa dopo la cena, ormai da qualche anno portano con sè quello che The marit ha battezzato “il piatto del buon ricordo”, cioè un piattino con un po’ delle cose buone che sono avanzate, e comunque me ne rimane a sufficienza per il giorno dopo e anche un po’ da congelare).

Bon, comunque parto: il 22 mattina vado a far la spesa, cioè le spese nei vari posti, armata di una lista lunga come la minuta di un’epistola del Manzoni, e vado in centro (carciofi, funghi, affettati, salatini per l’aperitivo, frutta disidratata e delle micidiali scorze d’arancio candite ricoperte di cioccolato bianco o fondente, che da sole farebbero sballare qualsiasi dieta) e poi al supermercato. Insomma, esco alle 10.30 e torno alle 14.30, pranzo velocemente e mi metto a cucinare.
Ah, dimenticavo il menù!

Antipasto:
Voluvan (è inutile che cerchi di scriverlo giusto, faccio prima così) con funghi e speck, fondi di carciofo ripieni di ricotta e prosciutto affumicato, rosetta di prosciutto crudo e alcuni salatini (di quelli confezionati, surgelati e cotti al momento) da mettere nei due piatti da toast con coperchio
Primo:
Pasta ai porcini con sugo di melanzane, panna e prosciutto affumicato
Secondo:
Petto di pollo con olive taggiasche e pomodori secchi, con patate al forno, carote al burro e funghi trifolati
Dolce:
torta di mele speciale (perchè fatta con le pere, che vien più buona) con cremina a parte, così uso l’adorabile salsiera con cucchiaio
Artistica composizione di frutta disidratata
Artistica composizione di arancia candita ricoperta di cioccolato
Frutta fresca (che tanto van via solo un po’ di clementine e l’uva, ma fan comunque piacere)
Caffè servito nelle tazze dei mesi, ciascuno riceve la tazza del mese in cui è nato (quando tutti vogliono il caffè si crea un po’ di scompiglio, ma è una cosa che piace, soprattutto a me).

Allora, siamo al pomeriggio del 22 e mi metto a cucinare: carciofi e funghi (che i carciofi è un attimo, ma i funghi un po’ meno), e già che ci sono anche le melanzane per il sugo della pasta.
Preparo poi il dolce, che verrà messo nel piatto da dolce dell’amato servizio Perugia, e predispongo anche il dolce alternativo per l’amica che è violentemente allergica all’uovo, porella, e quindi ha bisogno di cure particolari (è anzi per me un punto d’impegno e motivo d’orgoglio prepararle una cena in cui può mangiare con tranquillità tutto quello che le viene offerto), e ho il disappunto di scoprire che le pere per il dolce sono mooolto più dure di quel che pensassi, e infatti poi nel dolce un po’ si sentirà.

Bon, completato lo “zoccolo duro” delle preparazioni del giorno me ne vado a dormire.
La mattina dopo sveglia alle 7.30, impacchetto The marit e lo spedisco dietro alle sue faccende (il giorno dell’antivigilia, sia che sia lavorativo sia che no, faccio sempre in modo che abbia qualcosa da fare fuori casa sennò non combino niente), non senza avergli fatto aprire il tavolo in sala (l’amato tavolo un metro per due che, aperto, diventa due metri per due, che ha trionfalmente sostituito il tavolo aggiuntivo in compensato (pesantissimo!) che andava portato dal garage in sala, con un’operazione che sempre mi faceva venire i sudori freddi).

Inizio con la pulizia dei petti di pollo, e lì ho subito cominciato a partire per la tangente: avevo 6 petti di pollo interi, eccezionalmente grossi (dovevano essere dei superpolli), a cui togliere l’ossicino centrale e i vari grassetti, operazione da far con cura perchè il grasso di pollo fa proprio schifo anche in tracce, e da tagliare a striscioline.
Visto che s’era in 10, quattro petti interi sarebbero stati più che sufficienti, ma ho pensato che se ne facevo 5 ero più tranquilla, e quando ho finito il quinto, già che c’ero, ho pensato bene di preparare anche il sesto, che tanto poi non andava buttato.
Morale: ho finito alle 11.30 e avevo una terrina grande completamente stipata di pollo (tanto può l’ApeChioccia sul raziocinio).

Mi metto a sbucciar carote (3 chili, sai mai…) le incastro con destrezza nella pentola a pressione per convincerle ad entrare tutte e le metto a cuocere a vapore, e nell’infrattempo sbuccio le patate (5 chili abbondanti, che non sia mai che manchino), le taglio e le metto nella teglia-portaerei che uso in questi casi, quella che entra di stretta misura nel forno, dopo di che realizzo con raccapriccio che ho quasi finito il sale fino.
Ecco, quando uno dei miei vivaisti di fiducia diceva ridendo che magari il sale mi manca ma la torba no, mica si sbagliava di tanto, perchè in casa mia il livello del sacco di torba è monitorato con molta più attenzione del quantitativo di sale.
Be’, intanto salo le patate, e poi si vedrà.
Inforno le patate, combatto con la crisi di panico del mezzodì (Oddìo, è già mezzogiorno, son due giorni che cucino e ancora non c’è niente di effettivamente pronto!), do una sistematina al bagno, butto il quantitativo indecente di immondizie prodotto fino a quel momento, accolgo la visita di un’amica (che sarebbe stata invitata alla cena, ma che non può partecipare perchè incastrata con la cena aziendale), chiacchieriamo un po’ mentre affetto le carote al vapore, poi metto le carote a rosolarsi al burro e mangio rapidamente qualcosa.

Nell’infrattempo sono ormai le 13.30 e continua a non esserci niente di effettivamente pronto, e in più le carote seguono una loro tradizione consolidata (di cui regolarmente mi dimentico da un anno all’altro) e si bruciano.
Questa delle carote che si bruciano è una vera fetenzia: le vigliacche son lì che si rosolano gentilmente, belle tranquille, non senti nessun odore premonitore, vai con la paletta a girarle e scopri che sotto sono nere…
A quel punto, inveendo a larghe falde, ci si dedica alla simpatica operazione di rimuovere le parti carbonizzate e si spera che nessuno faccia caso all’aspetto vissuto del simpatico vegetale.

Ore 14, parto a cuocere il pollo, e qui la vicenda assume toni epici: sfodero la padella da paella, una specie di disco volante di almeno 50 centimetri di diametro, ed estraggo dal frigorifero la terrina col pollo, che misteriosamente sembra essersi triplicato di volume stando lì.
Per la prima volta ho la sensazione di avere un tantinello ecceduto, ma vado bravamente avanti: convinco, non senza fatica, la massa recalcitrante a farsi infarinare e poi ad entrare tutta nella padella, dove si accomoda pur facendomi capire di considerare la sistemazione come del tutto provvisoria, aggiungo i pomodori, le olive e il vino bianco e copro il tutto con della stagnola (perchè se anche trovassi un coperchio delle dimensioni della padella mi costerebbe quanto un set di pentole) e mi accingo a convincere la massa del pollo (dotata di una spiccata volontà propria) a cuocersi in maniera soddisfacente, dal momento che la carne di pollo al sangue credo non sia contemplata in nessuna cucina al mondo.
Memore delle carote, provvedo con opportuno timer a ricordarmi quand’è il momento di mescolare, operazione resa interessante dal forte desiderio del pollo di visitare l’ambiente circostante alla padella.

Alle 15.30 arriva The marit che comincia, come al suo solito, a chiedermi e dov’è questo e mi tiri fuori quello, fa una breve pausa solo per commentare piuttosto sfavorevolmente l’aspetto del pollo in cottura, dopo di che annuncia, con mio immediato sollievo, di dover uscire per fare una commissione.

Nell’infrattempo sono arrivate le 16, non c’è quasi niente di effettivamente commestibile in base al menù (tranne le patate, i funghi e le scellerate carote), e mi accingo agli antipasti.
Preparo il ripieno per i fondi di carciofo (curando di separare quello senza uovo per la mia amica), cuocio i voluvan, che una volta cotti viaggeranno come anime in pena per tutta la cucina senza trovare un posto da cui non sia necessario spostarli dopo 5 minuti, decido che non esiste che io mi metta a impiantare il circo per fare la besciamella per i pochi cucchiai da metter dentro i voluvan (assieme ai funghi e allo speck ci metto un po’ di panna, che diamine!), cuocio i salatini per i piatti da toast con coperchio (ovviamente i salatini pronti cominceranno a far compagnia ai voluvan nel viaggiare per tutta la cucina) e comincio a preparare i piatti con la frutta disidratata.

Questa delle composizioni è una simpatica tradizione: una volta, confortata e sorretta dal mio Spirito Natalizio, avevo preparato due bellissime composizioni, ma se lo Spirito Natalizio è partito per Kathmandù la mia performance risulta decisamente più scarsa.
Con l’arancia candita al cioccolato faccio lo yin e lo yang, o meglio faccio quanto di più vicino ad un’approssimazione raffazzonata dello yin e dello yang si possa immaginare, anche se qualcuno l’ha poi riconosciuto, e comunque tutti l’hanno mangiato volentieri come sempre.
Con la frutta disidratata faccio una composizione geometrica senza infamia e senza lode, e mentre cerco di tagliare il mango a striscioline rifletto che, se mi venisse voglia di prendere una laurea in Scienze dei Materiali (che tanto dovrei fare solo pochi esami perchè gli altri li ho già), potrei presentare una tesi sull'”Influenza della fretta sulla viscosità del mango disidratato e sulla sua renitenza a farsi tagliare a striscioline”.

Nell’infrattempo l’uomo torna dalla sua commissione e viene rispedito fuori a comprare il sale fino, torna dopo un’ora con il prezioso prodotto e viene spedito nel suo studio, da dove verrà estratto molto più tardi per occuparsi di un paio di lavoretti.

Ore 18: pollo convinto a cuocersi, verdure pronte, antipasti pronti, adesso preparo il sugo per la pasta eppoi cosa manca? Ma la crema per il dolce!
Come crema (eh, sempre il problema delle uova!) uso la crema pasticcera della S. Martino (dopo aver verificato con una scrupolosa indagine che sia totalmente egg-free) mettendo latte in più in modo da avere una crema della densità voluta.
Ovviamente l’ApeChioccia ci mette lo zampino e preparo una quantità di crema sufficiente alla balneazione di un bambino sui 5 anni.
Bene, adesso preparo un po’ la tavola. La faccenda è complicata, perchè non ho sedie sufficienti per tutti (quando abbiam comprato i mobili per la sala abbiamo preso solo 6 sedie perchè erano carissime, e quando mooolti anni dopo siamo andati per comprarne altre erano uscite di produzione, sgrunt!), per fortuna avevo già portato dentro le sedie da giardino in ferro che, con opportuni feltrini e cuscini, adopero alla bisogna.
Ad una velocità degna di una comica di Ridolini porto le sedie in sala, tiro fuori i cuscini, metto i rivestimenti nuovi ai suddetti cuscini (belli, comprati in Thailandia, ma non se n’è accorto nessuno, sob…), apparecchio (non del tutto), predispongo per gli aperitivi al piano di sopra eppoi mi cambio.

Ore 19: The marit, strappato al suo computer, provvede a collocare un po’ di candele assortite per un minimo di atmosfera natalizia (ché, se il tuo Spirito Natalizio è in vacanza, gli addobbi di Natale non li metti…)
Nell’infrattempo mi sto dedicando ad un minimo di auto-restauro, quando un frastuono come di porcellana infranta mi fa quasi uscire il cuore dalle orecchie: Oddìo, il servizio di piatti!!!
Invece era solo l’uomo che, con la sua consueta grazia, stava tirando fuori e montando l’appendiabiti dell’Ikea che usiamo in queste occasioni.

Alle 19.50, in anticipo di 10 minuti, arriva la prima coppia di amici, li accompagno di sopra (per antica tradizione non si entra in cucina nè in sala finchè non è pronto), poi torno giù a finire di apparecchiare e a cominciare ad allestire i piattini con gli antipasti, ché ci sono ancora da fare tutte le rosette di prosciutto.
Inutile dire che le infelici rosette mi riescono una più stortignaccola dell’altra, ma in qualche modo riesco ad allestirle tra un arrivo di ospiti e l’altro, mentre penso che se mai mi trovassi in giardino una rosa con quell’aspetto darei mano a tutto l’arsenale dei pesticidi.

Alle 20, puntualissimi, arriva la coppia dei nostri amici da una vita e vengono accolti con queste nobili parole: “Ah, guardate che sono indietro come le palle del cane!”
Poi, a seguire, gli altri, e a questo punto la festa è cominciata ed è proseguita con gioia, e come tutti gli anni sono stata felicissima di averla organizzata, e come tutti gli anni non ci penso neppure ad abolirla, però per il futuro sarà bene che il mio Spirito Natalizio rimanga a casa, e invece bisognerà mandare in vacanza l’ApeChioccia al posto suo, sennò son guai.

Pubblicato da Bee

Ape per scelta e antigrillista per DNA, ama parlare di sé in terza persona, spargere serenità e buffezza e raccontare le meraviglie del mondo che ci circonda.