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L’ormai tumultuoso dibattito sulle fake news è viziato da una discreta confusione su cosa sia fake news e cosa no.
Confusione anche interessata e dolosa, da parte di coloro che hanno convenienza a buttarla in caciara per disinnescare in partenza una discussione pubblica su uno strumento che usano a proprio beneficio.
Alcuni esempi (roba vera, letta in giro):
“Un uomo politico annuncia che, se perde le elezioni, lascia la politica. Poi perde e non si ritira: fake news!”. Ecco, no, non è una fake news: è un politico che non mantiene le promesse (non esattamente una novità, per inciso).
“Gli esponenti di un partito nato nel 2009 si intestano il fondo di microcredito istituito da un governo di segno diverso nel 1996: fake news!”. No: sono politici che dicono una cosa inesatta (o mentono, se lo fanno intenzionalmente e consapevolmente).
Le fake news sono news, prima che fake. Non è che qualunque dichiarazione di politico o cittadino qualsiasi, solo perché falsa o errata, diventa fake news, abbiamo altri nomi, in uso da generazioni, per quelle cose: balle, errori, imprecisioni, spergiuri, fregnacce.

Non basta neanche, peraltro, circoscrivere la definizione all’ambito dell’informazione (e, please, please, pleeeeease non prendiamoci in giro col letteralismo della mera traduzione di news in notizia). Non è che qualsiasi notizia rivelatasi falsa o errata diventa fake news: giornalisti e giornali possono sbagliare, possono riportare fonti che sbagliano o che mentono. E’ sempre accaduto e non le abbiamo chiamate fake news in passato: se ora serve un nome nuovo, è perché il fenomeno che dobbiamo nominare è nuovo.
Altri esempi presi dal mondo “reale”:
“Un giornale intervista i sostenitori di un partito piuttosto malmesso nei sondaggi e questi affermano che il partito è in ottima salute e avviato ai migliori successi: fake news!”  No, è un giornale che riporta l’opinione di gente schierata. È una notizia, può piacere o meno, si può essere d’accordo o no, ritenerla rilevante o trascurabile. Ma è una notizia. Vera.
“Un giornale  riporta elementi raccolti da un’inchiesta giudiziaria e successivamente rivelatisi falsi o diversi da come erano stati riportati”. Anche questa non è fake news. Si tratta di notizie da fonti inesatte o errate o qualsiasi altra cosa che le inchieste riveleranno, ma che, fino a prova contraria, non implica la volontà della testata di diffondere notizie false. Altrimenti qualsiasi giornale che sbaglia o è tratto in inganno o pubblica notizie o dichiarazioni successivamente smentite diventa fake news: non si salverebbe nessuno.

Ma allora cosa contraddistingue in modo specifico il fenomeno che chiamiamo fake news?
A mio parere, l’elemento della “conspiracy“: ovvero un progetto, organizzato, che coinvolge una molteplicità di soggetti consapevoli (anche se la volontà originatrice potrebbe essere una sola) in aggiunta alla moltitudine di soggetti che saranno indotti inconsapevolmente a partecipare alla diffusione della fake news attraverso meccanismi di coinvolgimento dei social network.
Quindi un fenomeno che può essere identificato tramite analisi tecniche serie che permettono di individuare in modo oggettivo la rete di relazioni che consente di distinguere il “gruppo di cazzoni che fraintendono il tweet di Lercio” dal “network di siti di news riconducibili alla stessa volontà originatrice (o centro di interessi) che inducono centinaia di migliaia di persone a condividere la stessa fake news” (v. [1]) o “gruppi di profili social, provatamente falsi e riconducibili ad una stessa organizzazione, usati per infiammare discussioni pubbliche in altre aree geografiche” (v. da [2] a [6]).

Va da sé che la natura “cospiratoria” delle fake news sottintende la volontarietà, una premeditazione. Questa, oltre ad essere spesso non facile da provare, potrebbe portare ad escludere dalla definizione di “fake news” una serie di fenomeni che, pur essendo diventati virali e fonte di problemi anche gravi, non siano chiaramente riconducibili ad un disegno deliberato.

D’altra parte, l’assenza di una definizione chiara e circoscritta favorisce la confusione e l’ambiguità, allontanando la convergenza del dibattito pubblico verso una soluzione. Se si accetta una definizione specifica, tenendo distinti altri comportamenti scorretti, ma diversi (il che non vuol dire rinunciare a condannare anche questi, ma in altra misura e con altri mezzi), sarà anche più “facile” identificare le misure preventive e repressive più efficaci.

E, a proposito di misure a contrasto delle fake news, qualcuno ha proposto un disclaimer per segnalare al pubblico i contenuti o i siti deliberatamente “fake” (per satira o altre finalità non maliziose). Vediamo perchè non è una brutta idea.

Avete mai avuto per le mani delle finte banconote con la scritta “fac simile” sovrimpressa? Ai tempi della lira poteva capitare con una certa frequenza. Erano diffuse delle fiches che replicavano la grafica delle banconote vere: erano di plastica rigidamolto più piccole, eppure, per legge, dovevano riportare la scritta “fac simile”. Poteva capitare di trovare nella posta dei volantini pubblicitari a forma di banconota che reclamizzavano sconti e offerte, anche questi con la scritta “fac simile”: riportavano gli estremi della promozione e nessuna persona dotata di un minimo di raziocinio avrebbe mai potuto confonderle con denaro vero. Eppure, per legge, ci andava scritto che non erano vere.

Come per il tappo rosso che deve chiudere la canna delle armi giocattolo, anche quelle dall’aspetto palesemente fasullo, la legislazione ha adottato norme che impongono di agevolare la distinzione tra oggetti veri e falsi nei casi in cui il fraintendimento possa procurare un danno serio, sia esso economico, fisico o di altra natura.

Negli ultimi tempi il tema di distinguere ciò che è vero da ciò che è falso è finito al centro di una discussione che ha come oggetto le comunicazioni sulla Rete, la pubblicazione e la diffusione di “informazioni” delle quali non è contestata o incerta solo la veridicità, ma persino la natura e l’intenzione con la quale sono state prodotte e diffuse. Si tratta di una discussione nella quale convergono, e si confondono, notizie false create per condizionare l’opinione pubblica, parodie, meme scherzosi scambiati per messaggi seri etc. Il denominatore comune è la constatazione della difficoltà, di una parte del pubblico, di distinguere il vero dal falso, anche in condizioni nelle quali il fraintendimento sembrerebbe impossibile. Come per le fiches di plastica rigida che riproducono una banconota. Ora, è evidente che il web non ha reso l’umanità automaticamente più acuta ed astuta: c’è qualche motivo, quindi, per il quale, ollain, le cautele debbano essere diverse dal mondo reale?

Ecco quindi che l’idea di un disclaimer obbligatorio per i siti di satira e per i relativi contenuti acquista un senso. Un “tappo rosso” virtuale che dica a chi atterra su di un sito, o riceve un messaggio, “guarda che stiamo scherzando”. Dice “eh, ma poi la gente i disclaimer non li legge”. Intanto, se uno fa danni agli altri o a sé stesso, non potrà più dire “non l’avevo capito”, perché c’era il disclaimer e il fatto di non averlo letto ricade comunque sotto la sua responsabilità.
E per chi diffonde intenzionalmente contenuti falsi e denigratori, per profitto o per nuocere ad altri, sarà più difficile giocare sull’ambiguità: o mette il disclaimer, dichiarando in modo evidente che il proprio messaggio è falso, o si assume la responsabilità di aver diffuso contenuti legalmente aggredibili.
Non sarà la soluzione ultima e definitiva alle fake news, ma è meglio di niente.
In fin dei conti, di gente che ha venduto la casa o i gioielli di famiglia in cambio di una valigia di “fac simile” ce n’è stata pochina.

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In copertina: “Libri! In tutti i rami della conoscenza”, A. M. Rodčenko, 1924

[1] A network of over 40 sites that have published more than 750 fake news stories, Buzzfeed, 12/16, 2016

[2] Facebook reveals Russian spending on US election ads – Financial Times, 9/6, 2017

[3] Facebook says 126 million Americans may have been exposed to Russia-linked US election posts – The Independent, 10/31, 2017

[4] The Fake Americans Russia Created to Influence the Election – The New York Times, 09/07, 2017

[5] Russia hired 1,000 people to create anti-Clinton ‘fake news’ – The Independent, 03/30, 2017

[6] Two popular conservative Twitter personalities were just outed as Russian trolls – The Inquirer, 03/11, 2017

Pubblicato da Ostinato Rigore

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