Friuli 10 – Il Ducato del Friuli

Durante il soggiorno in Friuli, Alboino gettò le basi del primo ducato del regno. Fissò la capitale a Cividale perché gli parve il centro più sicuro, in quanto Aquileia e la bassa pianura erano troppo esposte all’offensiva bizantina. La fuga del Patriarca a Grado fu solo saggia norma prudenziale, in quanto Aquileia non ebbe alcun danno dall’invasione. Alboino, inoltre, cercò di assicurare la stabilità del ducato, non solo affidandolo al nipote Gisulfo, ma anche assecondandolo nel dislocare sul territorio le fare secondo un piano razionale, che tenne conto delle necessità di difesa, di controllo delle popolazioni locali, delle possibilità di vettovagliamento e colonizzazione.

Il numero rilevante di famiglie longobarde che si fermarono, scelte fra le più nazionaliste, può spiegare come il ducatus foroiulensis, il primo a essere costituito e l’ultimo a morire, sia stato, lungo i due secoli di vita, il centro del partito nazionalista longobardo, il più attaccato alle tradizioni di popolo guerriero. Ciò spiega anche perché il ducato abbia rivendicato spesso la sua autonomia, politicamente favorita dai Bizantini. Anche dopo la caduta del regno, dal Friuli partì l’ultima disperata rivolta contro Carlo Magno. La rigorosa divisione del popolo si accentuò nell’organizzazione del ducato e influenzò più tardi le stesse strutture feudali.

 

Massima estensione del ducato longobardo del Friuli

 

La pianura friulana fu occupata fino a una linea che correva a qualche chilometro del litorale adriatico (Aquileia compresa) mentre di fronte bordeggava la flotta bizantina che aveva per base Grado e l’Istria. I terreni fertili vennero confiscati e distribuiti fra le diverse fare, ma non costituirono latifondi, bensì proprietà limitate. Un insieme di proprietà corrispondeva spesso ai fondi originari romani, formando le curtes. I Longobardi divennero i nuovi proprietari terrieri, e alle loro dipendenze la popolazione indigena, contadini, artigiani, pastori, commercianti. Vennero piantati frutteti e vigneti, ma le leggi tesero a cambiare, per la prima volta, il rapporto fra la terra e l’albero. Il centro del latifondo, eredità romana, era la villa, ed è attorno a essa che la popolazione si concentrò, fluendo dalle città alle campagne, accompagnato dal decrescere della popolazione.

La fame e la miseria imperversavano, mentre la protezione di un signore acquistava sempre più valore. Per questo il furto di piccoli grappoli d’uva veniva punito duramente. Lo storico dell’Europa Medievale, Roberto Lopez scrisse che la miseria doveva essere spaventosa, se un nome come “lord“, che inizialmente per gli anglosassoni voleva solo dire “custode del pane”, sia diventato sinonimo di “Signore”. La stragrande maggioranza delle persone viveva in campagna nella casa assegnata dal padrone e il crollo demografico spega meglio di tutto il passaggio giuridico da schiavo a servo della gleba, legando l’animale parlante alla terra (usando le parole dei classici romani).

Per circa due secoli, la storia del Friuli si confuse con quella del ducato longobardo, che durò 208 anni, dal 568 al 776. Il primo periodo, coincidente circa con il VII sec. fu un secolo di lotte, congiure, instabilità politica interna, complicanze politico religiose e ingerenze esterne dei re longobardi e dei Bizantini. Ma soprattutto dalle incursioni devastatrici degli Avari e degli Slavi. In tale contesto, si avviò un graduale processo di assimilazione tra i Longobardi e gli indigeni. Il secondo secolo, l’VIII, fu quello della floridezza economica, politica e culturale del ducato friulano.

 

Croce di Gisulfo (VII secolo). Museo Archeologico Nazionale – Cividale

 

I primi anni, durante il governo del duca Gisulfo, sembra fossero stati tranquilli. Non si conosce quanto abbia influito sulle vicende locali, il tumultuoso decennio seguìto alla morte violenta di re Clefi (574) che era successo ad Alboino (anche lui assassinato). In tutta Italia i duchi si divisero in gruppi (30 secondo Paolo Diacono) che in piena anarchia, spadroneggiarono, spogliarono le chiese, usarono violenza contro i “Romani”, distrussero città, finché, di fronte alla minaccia di un intervento franco-bizantino, elessero re Autari (584) e lo Stato longobardo si riunì. In Friuli, verso la fine del secolo, cominciò a farsi sentire la minaccia espansionistica degli Avari, che avevano occupato la Pannonia, il Norico, l’Istria e la Baviera, opprimendo gli Slavi. Gli Avari erano stati precedentemente alleati dei Longobardi, chiamati in aiuto anche da re Agilulfo (591-616) cognato di re Autari, ma decisero per l’avventura italiana, a danno degli antichi amici.

Così nel 610 gli Avari, “con una moltitudine immensa” attaccarono il ducato friulano. Il duca Gisulfo II (figlio di Gisulfo) sorpreso in campo aperto, venne ucciso. La moglie Romilda con i figli, riparò a Cividale e la città si apprestò a resistere all’assedio. Anche tutti gli altri castra furono validamenti difesi, mentre gli Avari devastarono le campagne. Ma Cividale, dopo un lungo assedio, venne conquistata a causa del tradimento di Romilda, che, secondo il racconto di Paolo Diacono, s’era invaghita del re nemico. La città fu distrutta, i soldati passati a fil di spada, donne e bambini fatti prigionieri, non prima che la duchessa fosse ignominiosamente impalata per il suo tradimento. A stento i figli Tasone e Caco riuscirono a fuggire. Solo allora re Agilulfo decise di intervenire. Probabilmente la sua attesa fu dovuta al fatto di voler punire Gisulfo II a causa della sua politica autonomista e filobizantina. Scacciò gli Avari e mise a capo del ducato Tasone e Caco, i figli del duca morto.

 

Battistero di Callisto (730-740) Cividale, Museo Cristiano.

 

Verso il 620-30 ci furono gravi dissidi fra Longobardi e Bizantini, a causa di Oderzo. Tasone e Caco vennero attirati nella città con l’inganno, da parte di un patrizio bizantino e qui uccisi, per la loro politica fedele al re e anti-bizantina. Re Rotari intervenì, distruggendo Oderzo e successivamente, nel 664, re Grimoaldo, fratello minore di Tasone e Caco, annesse gran parte del territorio di Oderzo al ducato friulano. Nello stesso anno il nuovo duca Lupo, si ribellò contro re Grimoaldo, che stava consolidando il potere della monarchia, il quale si accordò con gli Avari per scendere nuovamente in Friuli, dove annientarono l’esercito ducale, uccisero lo stesso Lupo, saccheggiando e bruciando tutto, tanto che lo stesso re fu costretto a intervenire, scacciandoli oltralpe.

Nel 666, il nuovo duca, Vettari, fedele al re, arrestò un’invasione slava comandata da Arnefrido, il figlio di Lupo fuggito presso di loro, sbaragliando l’esercito e uccidendolo. Il duca affrontò un’altra invasione degli Slavi, disperdendoli, non lontano da Cividale. Vettari viene anche ricordato perché si applicò particolarmente nella ricostruzione di Cividale. Gli ultimi anni del secolo furono ancora tormentati per i dissidi contro gli Slavi che molestavano e predavano i pascoli sul confine. Il duca Ferdulfo (694-706) mosse contro di loro, deciso a sgominarli, ma cadde in un’imboscata e morì con buona parte dei nobili che lo seguirono. Alla fine si trovò un accordo fra Longobardi e gli Slavi più vicini, che favorì una pacifica immigrazione di pastori slavi su tutta la fascia, anche al di qua del confine, fra Tarcento, Cividale e Cormons.

 

Altare di Ratchis (737-744) Cividale, Museo Cristiano.

 

Il nuovo secolo vide al potere per lungo tempo il duca Pemmone (706-739) “uomo ingegnoso e utile alla patria”. Con lui iniziò una nuova era, durante la quale il ducato toccò l’apogeo della sua fortuna. Il governo di Pemmone coincise con quello di re Liutprando, con il quale il duca friulano condivise gli ideali e le battaglie. “La stessa violenta volontà di giustizia e lo stesso amore alla cultura ond’erano privi” (Marchetti). Pemmone favorì energicamente il processo di integrazione fra Longobardi e indigeni. Fondò una scuola ducale, che divenne un fiorente centro di cultura latina, anticipando la rinascita carolingia. Volle che a quella scuola fossero educati i suoi figli Ratchis e Astolfo; da lì uscirono anche due grandi personalità dell’epoca: lo storico Paolo Diacono e il grammatico e poeta Paolino, futuro patriarca di Aquileia. Abbondò di concessioni gli ecclesiastici e le chiese; sull’altare di Ratchis, conservato nel Museo Cristiano di Cividale, si legge ancora: “maxima dona…sublimis Pemmonis“. Fiaccò le velleità espansioniste degli Slavi, tanto che nel 720 intraprese con i figli, una spedizione punitiva. Li assalì e ne fece strage imponendo le sue condizioni. “Da quel tempo, gli Slavi impararono a temere le armi dei friulani” (Paolo Diacono). Ma gli atteggiamenti violenti e troppo autonomi di Pemmone, finirono per irritare Liutprando, che lo destituì affidando il ducato al figlio Ratchis.

Dei cinque anni del ducato di Rachtis (739-744) si conosce il contributo dato alle campagne di espansione del re, una fortunata spedizione contro gli Slavi in Carniola, il suo interessamento alle arti e alle lettere e la buona intesa con il patriarca. La figura del duca friulano si distinse tra tutti i nobili longobardi del regno italico, al punto che alla morte di Liutprando venne nominato re d’Italia. Nel ducato gli successe il fratello Astolfo (744-749), più risoluto e dichiarato esponente del partito nazionalista.

 

Porta d’ingresso al centro storico di Cividale

 

Dopo appena cinque anni di regno, a corte Ratchis si trovò stretto fra le sollecitazioni di chi voleva maggior intesa con i Romani e i Bizantini e la pressione nazionalista di chi voleva una politica di potenza autonoma. Fu così che si ritirò in convento a Montecassino e venne proclamato re il fratello Astolfo, il quale cominciò quella politica ambiziosa e violenta, che avrebbe spinto il regno longobardo verso la sua dissoluzione.

Il periodo del governo di Ratchis e Astolfo in Friuli, segnò il momento di maggior splendore, politico, economico e culturale del ducato. Un fremito di cultura e di grandezza pervase la capitale Cividale e l’intera Regione. Il ducato friulano forte e sicuro per le armi, illustre per i suoi uomini, meta di letterati e artisti, esercitò un netto predominio sugli altri ducati del regno e superò per lo splendore dell’arte, tutti gli altri stati barbarici. L’anima di quella civiltà fu la sintesi esistenziale fra cultura latina e spirito germanico attuata con un’operosa convivenza, ormai più che secolare. Il cosidetto “tempietto longobardo” con i suoi stucchi, l’altare di Ratchis, il battistero di Callisto, i tesori dell’oreficeria che Cividale ancora conserva, documentano ancor oggi quel periodo.

 

Fonti:

Gian Carlo Menis: Storia del Friuli
Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria
Elio Bartolini: I Barbari.