Friuli 12 – Carolingi, Sassoni e Ungari

Alla fine dell’VIII secolo il Friuli si presentò con un panorama etnico-culturale variegato ed eterogeneo spesso in conflitto, con elementi etnici, linguistici, economici e sociali, risalenti al filone longobardo, latino e celtico. I lasciti delle epoche precedenti si erano stratificati, ma non al punto da amalgamarsi in una individualità unitaria. Ciò che si potrà affermare come identità “friulana” sarebbe avvenuto nei tre secoli seguenti attraverso il patriarcato e la Patria del Friuli, che avrebbe tenuto uniti i vincoli regionali contro la dissoluzione dell’impero carolingio del IX secolo, la violenza distruttrice delle numerose invasioni Ungare nel X secolo e avrebbe ricostruito moralmente e materialmente le basi storiche della regione.

Carlo Magno, da imperatore si dedicò al ducato del Friuli, ma se ne curò solo come base di conquista verso le regioni vicine, dislocandovi guarnigioni e un duca franco, concedendo ai sudditi fedeli terre, castelli e priviligi. Il regime feudale friulano, durante tutto l’ultimo ventennio dell’VIII secolo, divenne base operativa per la conquista del territorio istriano. Nel 791 suo figlio Pipino mosse dal Friuli un’offensiva contro gli Avari, l’azione si prefigurava lunga e rischiosa, per cui Carlo chiese l’appoggio della chiesa aquileiese, cercando di eliminare i conflitti. Fu così che alla morte del patriarca longobardo Sigualdo (786) Carlo fece succedere il grammatico cividalese Paolino (706-802) che l’aveva seguito alla corte di Aquisgrana. Nel 792 Carlo Magno riconobbe tutti i possessi alla chiesa aquileiese, compreso le donazioni ottenute dai Longobardi, rendendoli esenti dalla giurisdizione degli ufficiali regi e restituendo al clero il diritto di eleggere il patriarca.

Successivamente Paolino venne nominato missus dominicus per il regno italico, una carica che lo poneva sopra lo stesso duca del Friuli Erich di Salzburg (Enrico del Friuli) il quale nel 796 riuscì a sottomettere gli Avari, ma fu Paolino, al suo fianco, che riusci con l’opera di evangelizzazione, metodi missionari umani e tolleranti, ad aggregare ai confini del ducato, il limes avaricus.

 

Duomo di Udine, busto con reliquie del Patriarca Paolino

 

Dopo la morte di Erich, di Paolino e di Carlo Magno (814) il ducato si agitò cercando un difficile equilibrio, fra le insidie dei Bizantini, la pressione degli Slavi, le liti patriarcali per le giurisdizioni e i confini della diocesi fra il collega di Grado e il vescovo di Salisburgo, in aggiunta alla cinica ambizione dei conti. Nell’828 gli slavi bulgari irruppero in Friuli, intervenne l’imperatore Lotario I che li ricacciò, depose il duca Baldrico e smembrò il limes avaricus, riportando la contea entro i vecchi confini del Friuli e l’Istria.

Seguì il lungo governo di Everardo (836-866) cognato dell’imperatore Carlo il Calvo e molto in vista a corte. Fu un bel periodo del dominio Franco: liquidò tutti i focolai di resistenza slava e il ducato venne eretto al rango di marca, diventando Everardo marchese del Friuli, secondo documenti ufficiali (Mor). Durante il suo governo ci fu una ventata di cultura, anche se in realtà la rinascenza longobarda non si era mai estinta, in quanto il patriarca Paolino fu artefice per la sua continuità. Scrittore e poeta, aveva contribuito all’elevazione morale e culturale del clero e del popolo, e aveva creato uno scriptorium, un centro di attività letterarie a Cividale. Lo stesso impertatore Lotario nell’825 aveva istituito a Cividale una scuola che doveva essere frequentata anche dalle “reliquae civitates” del Friuli e dell’Istria.

Fu in questo periodo che Forum Iulii prese il nome di Civitas Austriae (“città dell’est”), ovvero città capoluogo della regione orientale del regno longobardo, mentre il nome Forum Iulii si era già esteso per designare la regione sottoposta alla sua giurisdizione. (Nel tempo si compose in “Friuli”, mentre il nome Civitas Austriae si abbreviò in “Cividale”). Alla corte di Everardo venne dotata di una cospiqua biblioteca, ricca di opere giuridiche, letterarie e religiose. Fu ospitale verso dotti friulani e stranieri, e si arrivò ad uno splendore, forse mai raggiunto prima.

Ma la mirabile costruzione di Carlo Magno, con il soffio di rinascita culturale che aveva diffuso in Europa, furono ben presto dissipate dalle lotte dinastiche e dai particolarismi nazionali. Nel trattato di Verdun (843) c’erano già i presupposti per il frazionamento dell’Europa moderna. Dopo la deposizione di Carlo il Grosso alla dieta di Tribur (887) l’impero si decompose, aprendo uno dei periodi più oscuri del Medio Evo.

 

Impero Franco (481-814)

 

Naturalmente anche il Friuli risentì della crisi generalizzata dell’impero e del regno italico, con i governi dei due figli di Everardo, Unroc prima (866-874) e Berengario poi (875-924). Ma continuò una certa prosperità, mettendosi alla testa del movimento unitario italico, quando il suo marchese Berengario venne eletto a Pavia re d’Italia (888-924) e in seguito Imperator Romanorum (915 – 924). Il suo regno (nel periodo dell’anarchia feudataria) fu fin da subito dilaniato dalle lotte contro i vari pretendenti. Finalmente riunito nell’889, subì un’umiliante sconfitta sul Brenta da parte degli Ungari. Combatté un’altro pretendente, Ludovico da Provenza, finché nel 915 venne incoronato imperatore da papa Giovanni X. Ma cinque anni dopo, fu assassinato in seguito a una congiura di feudatari.

E mentre la sorte perseguitava lo sfortunato imperatore friulano, in Friuli ebbe inizio (899) la più tragica sciagura della sua storia: le invasioni ungare che si abbatterono sulla regione con tale ferocia, da rallentarne per secoli lo sviluppo. Furono senza dubbio le più disastrose che il Friuli subì nella sua tormentata storia, tra la fine del IX secolo e la metà del X secolo. Devastarono e spopolarono talmente la regione, da comprometterne la continuità fra l’Alto Medio Evo e l’età romano-gotica.

 

Carlo Magno sconfigge gli Avari in un dipinto del 1518 di Albrecht Altdorfer

 

Gli Ungari erano una popolazione selvaggia (appartenente ai popoli uralici) proveniente dalle zone del Volga e gli Urali. Dopo aver dimorato sul mar Nero, verso la metà del IX secolo, sotto la guida di Arpad, si stanziarono nelle pianure danubiane, inserendosi come un cuneo fra gli Slavi, che occupavano la fascia fra la Polonia e la Dalmazia. Da qui si spinsero sempre più frequentemente verso la Germania e l’Italia. Le invasioni ungare non furono mai stanziali, solo incursioni rapide a cavallo, durante le quali si gettavano su villaggi o castelli indifesi, cogliendoli di sorpresa, devastando, incendiando, razziando e uccidendo. I documenti ce li tramandano come “predoni malvagi”, “crudelissimi e perfidi pagani”, mentre i cronisti riferivano che mangiavano carne umana e usavano il sangue come bevanda. Certamente un’esagerazione, ma documenta la ferocia di questi nuovi barbari. Salomone di Costanza descrisse: “Le pianure biancheggiano delle secche ossa degli uccisi e non credo che i vivi eguaglino il loro numero”. Naturalmente tutte le scorrerie, con meta l’Italia, passarono dal Friuli all’andata e al ritorno. Dopo la prima dell’899, nei successivi 50 anni ne furono descritte altre dodici, senza considerare quelle che non sono state documentate fino a noi.

Come spesso è successo fra le trame di potere in Italia, che si sono avvalse di aiuti esterni senza valutarne le conseguenze, Berengario ricorse a loro contro le congiure dei suoi feudatari. Nel 921, spinse contro i congiurati sui monti di Bergamo, tra i quali lo stesso marchese del Friuli Olderico, le orde ungare guidate da Dursat e Bugat. Nella strage morì lo stesso Olderico e la marca passò al marchese Grimaldo. Anche nel 924 Berengario inviò orde di Ungari nelle terre che gli aveva sottratto Rodolfo di Borgogna, ma la sua Pavia fu espugnata e saccheggiata dagli stessi barbari.

In Friuli forse qualche schiarita si ebbe con il patriarca Federico (900-922) dato che sulla sua tomba se ne esalta il fatto di aver “represso con grande valore la rabbia degli Ungari”. Ma le invasioni ripresero con crescente violenza. Nel 928 il re Ugo di Provenza sottomise Concordia al patriarca Orso perché “la crudelissima ferocia degli Ungari, l’aveva quasi rasa al suolo”. Sono poche le notizie del Friuli nella prima metà del X secolo, ma tutte concordi a una situazione generale di sfacelo, l’incalzare delle invasioni, le lotte tra feudatari e le liti con Venezia a causa di Grado. Significativo del degrado fu l’invasione ungara del 947, quando il re Tassi arrivò in Lombardia e Berengario II marchese d’Ivrea (nipote di Berengario del Friuli) raccolse fra la popolazione e nelle chiese l’oro per farli ritirare, tenendo per sé la parte avanzata.

 

Parte del dipinto panoramico del pittore ungherese Árpád Feszty. Questa sezione rappresenta il Principe Árpád che guida le sette tribù ungare.

 

La zona più battuta dalle invasioni ungare fu la pianura fra il Torre e il Tagliamento, con la strada percorsa da Ontagnano (presso Palmanova) a Codroipo, oggi chiamata Stradalta, ma dai diplomi ottoniani conosciuta come “strata Hungarorum“, e ancor detta strada ongaresca. E’ su quella direttrice che ancor oggi, toponimi, rovine e tracce d’incendio sotto i pavimenti, evocano ancora terrificanti immagini di lontane tragedie. Le invasioni ungare furono fatali per il Friuli, a causa delle notevoli persone uccise e le altrettante deportate come schiavi, provocando un notevole spopolamento. Le distruzioni, le insicurezze delle vie di comunicazione, la rottura del traffico commerciale, l’abbandono delle campagne e delle attività produttive, crearono il tracollo dell’economia locale. La luce longobarda-carolingia fu improvvisamente spenta, al punto tale che di “rinascita” in Friuli non se ne parlò più fin dopo il Mille, con notevole ritardo rispetto al resto dell’Italia. In quel periodo fu danneggiata parte della basilica di Aquileia e bruciato gran parte dell’archivio patriarcale, venendo cancellato il lascito franco-carolingio. Inoltre politicamente il Friuli perse la propria individualità, venendo declassato da marca a contea.

Nel X secolo fu la Germania a mettersi in testa alla rinascita europea, dopo che l’avevano dilaniata moralmente e politicamente le lotte dinastiche dei carolingi. In particolare la casa di Sassonia con Ottone I, che venne incoronato imperatore da papa Giovanni XII nel 962. Venne sancita la “trans-latio imperii” dai Franchi ai Sassoni e inaugurata la storia di quell’impero detto “Sacrum Romanum Imperum“, che pur non avendo nulla di sacrum, né di romanum, tantomeno di imperum, fu lo strumento di crescita delle nazioni e avrebbe dominato la Storia di tutto il Medio Evo europeo.

 

Marca veronese e aquileiese

 

Nel settembre 951 Ottone scese in Italia dopo l’invocazione di Adelaide, vedova di Lotario, contro le pretese al trono di Berengario II d’Ivrea. Lo sconfisse, sposò Adelaide assumendo il titolo di re d’Italia, e concesse l’investitura feudale per l’Italia allo stesso Berengario, suo vassallo, riducendo il regno d’Italia a feudo della corona germanica. Smembrò dal regno italico la marca veronese e aquileiese, Istria compresa, assegnandole al fratello Enrico I di Baviera e Carinzia. Posto a capo di un così grande territorio, nello stesso anno Enrico si trovò di fronte la minaccia degli Ungari. Scese in Friuli, s’impadronì di Aquileia, sconfisse due volte gli Ungari e li inseguì fin nel cuore dei loro territori, “facendone gran preda e riconducendo incolume l’esercito in patria” (Widukindo). Un’impresa che mise fine a cinquant’anni di flagelli in Friuli, nella sua pianura più fertile. Tre anni più tardi (955) Ottone stesso li sconfisse definitivamente presso Augsburg, obbligandoli a rinunciare alle razzie e fissare la loro dimora nell’area danubiana. (Successivamente, sotto re Stefano I – Santo Stefano (997-1038), si sarebbero convertiti al cristianesimo).

Durante quegli anni, il Friuli scomparve dai documenti, probabilmente ridotto a semplice comitato. D’altronde la regione, per lo stato miserevole in cui si trovava, spopolata, dissestata e sguarnita militarmente, non poteva offrire alcuna sicurezza. Il Friuli restò parte della marca veronese fino alla morte di Enrico (955), in seguito passò nelle mani del figlio Enrico II per poi essergli sottratto dall’imperatore Ottone II (976) fino alla sua morte (983). Nel 989 venne annesso al ducato di Carinzia e la scarsità di notizie del periodo, danno l’idea dell’avvilimento non solo politico in cui riversava.

Di fronte a tanto squallore, cominciò a erigersi la prestigiosa figura del patriarca, unico punto di riferimento fra il generale scompiglio. I pontificati di Rodoaldo (963-983) e di Giovanni di Ravenna (984-1019) che coincisero con il potere imperiale degli Ottoni, videro due uomini tanto fedeli all’impero, quanto alla rinascita materiale e spirituale della regione. Dai documenti i due patriarchi furono sempre al seguito degli imperatori, tanto che ricevettero favori e concessioni, che adoperarono per avviare un nuovo corso storico nella regione.

 

Fonti:

Gian Carlo Menis: Storia del Friuli
Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria