Friuli 14 – I patriarchi

Ma chi erano i patriarchi? Energici signori, inizialmente appartenenti a grandi famiglie germaniche, collegate per alleanza o parentela con l’imperatore, che si dettero al compito che Aquileia aveva avuto nel passato. Eredi di una grande tradizione culturale, basti ricordare Paolino, di cui s’è scritto, membro dell’Accademia Palatina di Aquisgrana, ammirato da Carlo Magno e sepolto nel duomo di Cividale. Come centro di diffusione del cristianesimo nell’intero bacino del Danubio, la Chiesa di Aquileia non vedeva solo le glorie del passato, ma il simbolo stesso del suo potere materiale e spirituale. Capaci di durare nel tempo, ben oltre qualsiasi organizzazione laica, i patriarchi, collegati strettamente a tutte le pievi del Friuli, con notevole realismo amministrarono sia pievi tipicamente ladine, che pievi prevalentemente slave, fossero le più antiche degli insediamenti di confine, che quelle corrispondenti al ripopolamento della fascia percorsa dalle incursioni ungare.

Pensando ai patriarchi, cancelliamo subito il paragone con un vescovo dei nostri tempi. Erano sottili studiosi di questioni religiose quando era il caso, come eccellenti organizzatori della burocrazia che regolava la vita nella Patria quando necessario, ma allo stesso tempo non esimi a sfoderare la spada se non potevano ottenere qualcosa con l’autorità o la diplomazia. All’epoca i patriarchi, pur non scegliendo una sede fissa (ma privilegiando Cividale) vagavano di luogo in luogo, a seconda delle stagioni e delle necessità (solo molto dopo, nel 1218, Berthold V, conte di Andechs (1218-1251) trasferì definitivamente la sede a Udine) abbandonando a sé stessa la vecchia città, pur conservando il titolo di patriarca di Aquileia. Anche il nome di una cosa morta ha un senso, se contiene nel suo nocciolo lo spirito che un tempo tenne vivo il tutto.

 

Aragosta sull’albero (Basilica di Aquileia)

 

Una breve premessa sul medioevo, ancor oggi usato per definire situazione aberranti di incuria, sporcizia, malgoverno. Si usa dire, facendone un uso inproprio: “situazione da Medioevo”. Il pensiero va all’oscurità, rotta da incendi, isolamento, rari e indispensabili viaggi dovuti a necessità militari o politiche. Nella nostra mente s’è formato un periodo rimasto fermo, immobile, in attesa della grande rinascita spirituale e culturale che gli storici, con grande fantasia, hanno chiamato “Rinascimento”. Un’immagine che ci è stata tramandata in un momento in cui contava più ciò che si pensava di un’epoca storica di quel che quell’epoca sia stata realmente. Il Medioevo, secondo i libri di scuola, è terminato nel 1492, quando Colombo navigò verso quella terra che credeva fosse la Cina. Quindi se il giorno prima era ancora Medioevo, il giorno dopo cos’era?

Eppure gli uomini del Medioevo viaggiavano tranquillamente, seppur fra molte difficoltà. Scrivevano nella lingua materna o in quella dei dotti, universalmente riconosciuta nel latino. Annotavano, conoscevano altri popoli, altre culture, costruzioni, animali, navi, strumenti, sculture, fregi e monili. Anche se il sangue scorreva sulle strade, menti molto aperte e intelligenti di mercanti, viaggiatori, architetti, pittori, scienziati eruditi, geografi percorrevano gli itinerari del mondo conosciuto, andavano in territori sconosciuti e imparavano senza preconcetti.

 

Venzone (dopo la ricostruzione)

 

Dalla lontana Scozia arrivò alla corte di Everardo, duca del Friuli (846-863) il poeta Seduglio che pensava in scozzese, o meglio in gaelico, ma scriveva in latino. Lo stesso Godescalco, poeta Sassone, perseguitato nel suo Paese. Cividale divenne una delle mete, non si sa se fra le più note, ma che meritavano un viaggio a piedi, a cavallo, su un mulo o su un carro, attraverso terre sconosciute. E anche quando il signore della Marca venne sostituito dai patriarchi, Cividale ebbe un gran peso nella storia feudale del Friuli.

Nonostante i conti locali, dai privilegi ricevuti, i patriarchi si comportarono come feudatari. Avevano i loro milites, detti gismani (Dienstmänner) o ministeriali. Vassalli del patriarca, che in seguito avrebbero costituito il primo nucleo della nobiltà locale minore, inserendosi fra l’aristocrazia e le varie categorie degli uomini liberi (coloni, gallo-romani, mercanti latini, arimanni longobardi, allodiali franchi). L’autorità del patriarca divenne superiore a tutti gli altri feudatari locali, anche se contemporaneamente altri nobili provenienti da famiglie germaniche, alcune discendenti da conti imperiali, inviati dall’imperatore che ricevettero dal conte di Carinzia feudi di varia entità, dopo la costitituzione dello Stato patriarcale, avrebbero formato la categoria dei “feudali liberi” con delle piccole isole all’interno dello Stato, come Pordenone, Gorizia, Venzone e Tarcento. Ma nessuno di loro avrebbe potuto gareggiare con la sproporzionata potenza del patriarca.

 

Cattedra patriarcale, XI secolo – Museo cristiano (Cividale)

 

Infine neppure il conte del Friuli o il marchese di Verona, autorità imperiali locali che si videro sottratti territori sempre più vasti, formanti uno Stato nello stato, poterono sottrarsi ai patriarchi, investiti di regalie superiori a quelle che sarebbero spettate a loro. Già all’inizio dell’XI secolo, il vero signore in Friuli era il patriarca. Inizialmente furono tedeschi, seguendo una linea politica ghibellina, vicina all’imperatore, senza mai dimenticare il loro ruolo spirituale che doveva obbedienza al papa. Dopo la metà del XIII sec iniziò l’epoca dei patriarchi guelfi.

Wolfgang von Treffen, chiamato dal popolo Poppone (a Udine c’è via Poppone) (1019-1042) dopo nominato patriarca si adoperò con energia per rinforzare i suoi possedimenti. Fu convinto sostenitore della politica degli imperatori Enrico II, Corrado II ed Enrico III, con i quali ebbe larghi rapporti e per cui venne favorito. Enrico II gli concesse il diritto di placido (attività giudiziaria) su tutti i territori. Nel 1027 Corrado II sentenziò contro il conte di Carinzia che il diritto di risquotere le imposte sui suoi territori spettava al solo patriarca. Lo stesso Corrado II, nel 1028 gli cedette una selva che dall’Isonzo arrivava al mare e verso ovest continuava fino al Meduna e al Livenza con tutti i diritti, compreso lo jus forestandi, generalmente riservato al re. Nello stesso anno l’imperatore gli concesse di battere moneta, uguale alla valuta veronese, che ebbe subito corso legale.

 

Il patriarca Poppone
Ritratto del patriarca Poppone (Sala del Trono nel Palazzo Patriarcale di Udine)

 

Poppone progettò la rinascita di Aquileia, ultimò la basilica che venne consacrata nel 1031. fece ereggere l’attuale maestoso campanile, il palazzo patriarcale, consolidò le mura riavviando i commerci, erigendo botteghe e magazzini dentro la città e presso il porto. Dotò di beni ingenti il capitolo della cattedrale e il monastero delle benedettine. Si occupò delle vie di comunicazione rafforzando i traffici alpini. Con Poppone si ravvivarono antiche correnti di traffico attraverso Gemona, Venzone, Udine e Cividale. Alla rinascita economica seguì quella culturale, pur limitata ai centri vescovili, come gli affreschi del catino absidale della basilica di Aquileia.

Ma il patriarca Poppone era focoso, per questo cercò di eliminare la dualità patriarcale fra Aquileia e Grado. Nel 1024 aggredì Grado, saccheggiando chiese e monasteri. Venne citato da papa Giovanni XIX ed ebbe, con l’appoggio dell’imperatore Corrado II nel 1027, pieno riconoscimento dei diritti su Grado. Il papa confermò la decisione proclamando che Aquileia doveva considerarsi “capo e metropoli delle chiese d’Italia e seconda in dignità dopo la sede romana, com’era stato accordato da San Pietro”. Ma il decreto restò lettera morta per l’ostilità di Venezia. Negli ultimi anni della sua vita, il ferreo Poppone ci riprovò ancora, rioccupando Grado e incendiandola. Due anni dopo la sua morte, nel 1044 papa Benedetto IX dichiarò nullo il precedente decreto.

 

Affreschi nella cripta della cattedrale di Aquileia.

 

Il patriarca morì nel 1042, nonostante gli furono attribuite più opere di quelle realmente realizzate e l’energico patriarca viene tutt’ora considerato come uno dei maggiori artefici del potere temporale successivo. Con lui iniziò la lunga serie, quasi ininterrotta fino al XIII secolo, dei patriarchi tedeschi, che si distinsero per la fedeltà all’imperatore, anche quando iniziarono le lotte fra papato e impero. Anzi, proprio per tale congiuntura, i patriarchi tedeschi portarono il Patriarcato ai vertici della sua potenza politica.

Sono assai noti i fatti del 1076, quando nel sinodo di Worms, Enrico IV dichiarò papa Gregorio VII un usurpatore. Gregorio VII lanciò una scomunica contro l’imperatore, sciogliendo i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà. L’anno seguente Enrico IV si trovò con il papa a Canossa, nel castello della contessa Matilde, venendo assolto dalla scomunica. Ma i principi germanici, scontenti dell’assoluzione, elessero imperatore il cognato Rodolfo. Così, in piena guerra civile Enrico si accinse a tornare in Germania. Fra i suoi oppositori si schierarono il duca di Carinzia, il marchese di Verona e il conte del Friuli, Ludovico. Al contrario il patriarca Sigeardo (1068-1077) già cancelliere imperiale, rimase fedele all’imperatore e si recò da lui a Pavia. La fedeltà del patriarca fu cruciale per Enrico IV, in quanto gli tenne sgombra e sicura la via verso la Germania attraverso le Alpi Carniche. Tornato in Germania Enrico IV si accinse a punire i ribelli, così il conte del Friuli e il duca di Carinzia vennero destituiti. Ma non si dimenticò del fedele patriarca e a Pavia il 3 aprile 1077 concesse a Sigeardo l’investitura feudale, con prerogative ducali, su tutta la contea del Friuli. “Comitatum Foroiulii omneque beneficium quod Ludowicus comes habebat in eodem comitatu, cum omnibus ad regalia et ad ducatum pertinentibus, hoc est placitis, collectis, fodro [=diritto di requisire vettovaglie per l’esercito], districtionibus universis…

Fu l’atto di nascita dello Stato patriarcale, Il Patriarcato del Friuli o Patria del Friuli.

 

Enrico IV a Canossa

 

L’imperatore passò la Pasqua ad Aquileia, poi proseguì verso Regensburg accompagnato dal patriarca, dove l’11 giugno fece nuove vistose concessioni alla chiesa d’Aquileia, donando in perpetuo la marca di Carniola e la contea dell’Istria. Sigeardo seguì Enrico a Ulma, difendendolo contro signori e popolo, e qui il 12 agosto morì per improvvisa malattia.

Con tali atti il Friuli riconquistò la sua integrità territoriale e la sua autonomia politica dalla marca veronese e dal ducato carinziano. Tutti i diritti già precedentemente acquisiti sui territori, compresi quelli spettanti al conte in quanto rappresentante imperiale, confluirono nella sola persona del patriarca, che divenne diretto vassallo dell’imperatore. L'”arcipelago immunitario” si era definitivamente saldato formando un vasto territorio sottoposto all’unica giurisdizione feudale del patriarca. In pratica venne fondato quel “principatus Italiae et Imperi“, politico ecclesiastico, che sancì una realtà sociale già consolidata attraverso un lungo processo storico e che da quel momento, per tre secoli e mezzo, avrebbe unito i friulani in forme più elevate di vita civile.

 

Fonti:

Gian Carlo Menis: Storia del Friuli
Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria