Friuli 17 – I patriarchi ghibellini

Dopo la morte, nel 1077, di Sigeardo di Beilstein, anche i patriarchi Enrico (Heinrich von Biburg, 1077-1084), Federico di Moravia, unico patriarca slavo (1084-1085), Ulrico (Ulrich von Eppenstein, 1085-1121), si mantennero fedeli alla politica di Enrico IV e successivamente del figlio Enrico V, schierandosi contro i “gregoriani”, anche quando gli imperatori scesero di nuovo in lotta contro il papa. Dopo la seconda scomunica lanciata contro Enrico IV da Gregorio VII nel 1080, il patriarca Enrico partecipò al sinodo di Bressanone, dove fu deposto il papa ed eletto l’antipapa Clemente III. Venne scomunicato dallo stesso Gregorio VII, accompagnò l’imperatore nelle sue spedizioni italiane e gli fu accanto durante l’assedio e l’occupazione di Roma, dove morì il 21 marzo 1084.

Il patriarca Ulrico, della potente famiglia degli Eppenstein, fratello del duca di Carinzia, Liutoldo, e abate di San Gallo in Svizzera, venne scomunicato da papa Urbano II per aver ricevuto il pallio dall’antipapa Clemente III. Anch’egli fu devotissimo a Enrico IV, che seguì in Italia durante le guerre contro Matilde di Toscana (1090-1097) e cercò di riappacificare il figlio ribelle, tanto che dopo la morte di Enrico IV sostenne il figlio Enrico V nella sua spregiudicata azione contro papa Pasquale II, quando l’imperatore lo sequestrò, diventandone il carceriere e meritandosi una seconda scomunica.

Fra queste aggrovigliate vicende, i patriarchi non trascurarono il governo del Friuli, al contrario approfittarono delle circostanze per rafforzare la compattezza e la potenza del loro feudo. Ulrico in particolare, ottenne la solenne conferma dei decreti del 1077 e riebbe la marca della Carniola (inferiore) che dopo la morte di Sigeardo, era stata data assieme all’Istria, a suo fratello Heinrich von Eppenstein (in seguito sarebbe passata agli Andechs nel 1173). Il patriarca Ulrico promosse inoltre lo sviluppo morale e materiale attraverso fondazioni monastiche, alcune delle quali furono istituite da lui stesso.

 

Basilica di Aquileia – il pastore

 

Il concordato di Worms del 1122, segnò il compromesso fra Enrico V e papa Callisto II, mettendo fine all’infausta guerra per le investiture, che era durata quasi cinquant’anni. Allo stesso tempo iniziò un periodo di debolezza e instabilità nell’impero, che ebbe riflessi negativi anche all’interno dello Stato patriarcale. Ma l’ascesa di Pellegrino I (Pilgrim I di Pao e Beseno, figlio di Ulrich I von Kärnten, 1132-1161) segnò una netta ripresa. Apriva infatti la serie dei grandi principi ecclesiastici aquileiesi del sec XII, gli artefici della sovranità patriarcale. Pellegrino I fu subito riconosciuto da papa Innocenzo II, il quale non solo confermò la sua autorità metropolita, ma anche “il comitato, la marca e il ducato concessi con privilegi regali o imperiali”. Il patriarca godette di grande prestigio anche alla corte imperiale, fu consigliere personale di Lotario III, di Corrado III e dello stesso Federico Barbarossa.

Pellegrino utilizzò il suo peso politico e la sua saggezza nel governo dello Stato, smorzando l’insorgente prepotenza dei feudatari. Affrontò con decisione il violento conte di Gorizia, Engelberto, della famiglia tirolese di Lurn e Pusterhtal, che aveva iniziato a esercitare soprusi sui beni e sui coloni del patriarcato. Engelberto, chiamato in giudizio, assalì e imprigionò il patriarca (1150). Ma questi, liberato dai suoi feudatari, lo costrinse a riparare con gravose ammende. Pellegrino I fu anche convinto sostenitore della politica italiana di Federico Barbarossa. Gli fu a fianco durante la sua prima discesa in Italia e assistette alla sua incoronazione in S. Pietro a Roma il 18 giugno 1155. Lo seguì durante la seconda calata, nel periodo di tensione fra l’imperatore, il papa e i Comuni italiani, nel 1158. Fu anche partecipe alla dieta di Roncaglia, la più ampia proclamazione dei diritti sovrani dell’imperatore contro le rivendicazioni comunali. Nel 1160 presiedette l’infausto sinodo di Pavia, che si schierò con l’antipapa Vittore IV, eletto da una minoranza di cardinali filoimperiali, aprendo una nuova fase di aspre lotte fra l’imperatore, il papa e i Comuni, protrattasi per diciassette anni. Nel 1161 Pellegrino, accanto al Barbarossa, partecipò con le sue milizie friulane all’assedio di Milano.

 

Mappa del patriarcato verso il 1250, dove si intravedono le isole straniere di Pordenone, Codroipo, Latisana e il feudo di Gorizia, oltre ai possedimenti frammentati nell’Istria.

 

Gli successe Ulrico II (Ulrich II von Treffen, 1161-1182). Rimase alle cronache la sua azione armata contro Grado, nel 1162, quando fu fatto prigioniero dai veneziani assieme a settecento nobili. Si riscattò patteggiando con il doge, impegnandosi a inviare annualmente a Venezia “dodici grossi porci e dodici pani”. Ma inaugurò una politica di maggior autonomia dall’imperatore, fronteggiando l’ostilità dei friulani. Nel 1169, durante la liturgia del sabato santo ad Aquileia, inserì il nome del papa legittimo Alessandro III, al posto dell’antipapa filoimperiale, e i fedeli, per protesta, abbandonarono in massa la basilica. Ma fu lungimirante: dopo la sconfitta di Legnano del 1176, lui stesso, in qualità di legato della Sede Apostolica e di vicario imperiale, venne scelto come intermediario fra il Barbarossa, il papa e i Comuni. Contribuì alla pace di Venezia del 1177.

Di non minore prestigio furono gli ultimi due patriarchi del XII sec., Goffredo (Gottfried von Hohenstaufen, 1182-1194) e Pellegrino II (Pilgrim von Ortenburg-Sponheim, 1194-1204). Al primo, già abate di Sesto al Reghena, intimo amico del Barbarossa, toccò il compito di incoronare suo figlio Enrico VI re d’Italia nella basilica di sant’Ambrogio a Milano (1186) provocando un nuovo conflitto fra impero e papato. Nel 1190, dopo la morte del padre Federico Barbarossa, lo accompagnò a Roma per farlo incoronare imperatore da Celestino III. Goffredo difese il Friuli e vari vescovi suffraganei dalle prepotenze di Treviso, il nuovo pericolo che si profilava ai confini occidentali.

 

Sesto al Reghena – Abbazia benedettina santa Maria in Silvis

 

Il successore Pellegrino II, già preposto di Cividale, e arcidiacono di Aquileia, spezzò attorno al 1200, con l’aiuto dei veneziani, dei duchi d’oltralpe e dello stesso papa Innocenzo III, la morsa che i trevigiani, alleati con il conte di Gorizia, stavano chiudendo attorno al Friuli. Restaurò la basilica di Cividale con ricchi doni, fra i quali la pala d’argento dorato, tutt’ora situata sopra l’altare maggiore.

I patriarchi del sec XII fecero del piccolo Stato friulano la pedina avanzata e favorita della politica imperiale in Italia. Contemporaneamente assicurarono continuità nella politica interna, stabilità del governo, e sollecitando favori dagli imperatori, accrebbero la potenza, la compattezza e l’ampiezza della “Patria”. Il governo degli ultimi due patriarchi ghibellini, Volchero e Bertoldo, nella prima metà del sec. XIII, segnò il periodo di massimo splendore dello Stato patriarcale, attraverso la coesione e l’equilibrio interni, in concomitanza al prestigio e all’autonomia della politica estera.

 

Castello di Ragogna sul fiume Tagliamento

 

Alla morte di Pellegrino II, nel 1204, il capitolo di Aquileia chiamò a succedergli il nobile bavarese Volchero di Erla (Wolfger di Ellenbrechtskirchen o di Leubrechtskirchen, 1204-1218) vescovo di Passau. Abile e dotto, si era già speso per ristabilire i rapporti fra Enrico VI e Celestino III e partecipò alla crociata “germanica” del 1197. Durante il patriarcato ebbe parte determinante nel riavvicinamento di papa Innocenzo III all’imperatore Filippo di Svevia, che lo nominò legato imperiale in Italia, confermato da Ottone IV dopo l’uccisione di Filippo. Rimase accanto al papa dopo la ribellione di Ottone IV e sostenne la candidatura di Federico II.

Nonostante gli impegni diplomatici non trascurò i doveri di principe friulano. Durante i suoi quattordici anni di governo, Volchero ricompose le tensioni tra lo stato e i suoi vicini. Tenne a freno il conte di Gorizia, ristabilì buoni rapporti con Treviso e concluse patti commerciali con Venezia. Quest’ultimi soprattutto indirizzati al problema dell’Istria che, nonostante il diploma di Enrico IV, non era mai entrata stabilmente a far parte della Patria friulana, mentre vi cresceva l’influenza veneziana. I suoi sforzi ebbero successo nel 1209, quando l’imperatore Ottone IV lo investì della “marca della Carniola e dell’Istria, con il comitato e tutte le pertinenze”. Fu il periodo in cui lo stato patriarcale raggiunse la sua massima estensione geografica.

 

La pala d’argento dorato di pellegrino II – Duomo di Cividale

 

La stabilità politica assicurata dal governo di Volchero, diede impulso ai traffici commerciali con le regioni italiane e con i centri transalpini. Arrivarono commercianti e banchieri toscani per lucrose attività economiche. Fu migliorata la rete viaria con centri di assistenza “per la tranquillità e la sicurezza dei viaggiatori e per la custodia della strada”. Anche l’orizzonte culturale si arricchì. Mentre a livello popolare la lingua friulana trovò le sue prime espressioni poetiche, nelle scuole e nei castelli fiorì la poesia latina, tedesca e provenzale. Così la corte patriarcale diventò sede di poeti e trovatori, per lo più tedeschi.

Alla morte di Volchero venne eletto alla sede patriarcale di Aquileia l’arcivescovo di Kalocsa in Ungheria, Bertoldo di Andechs (Berthold V von Andechs, 1218-1251) del quale s’è già scritto, appartenente alle più illustri famiglie bavaresi: fratello del duca di Merano, di santa Edvige di Slesia, della regina d’Ungheria Gertrude (madre di santa Elisabetta e di Agnese, regina di Francia). Con temperamento impulsivo e non incline a compromessi, si trovò subito a redimere una lite tra vassalli liberi e ministeriali della chiesa aquileiese che stava portando al peggio. I primi si erano alleati con Treviso, capitanato da Ezzelino III da Romano, che coltivava sogni espansionistici. I congiurati consegnarono ai trevigiani i loro castelli sparsi in Friuli e si assicurarono l’appoggio del conte del Tirolo e del duca di Carinzia. Si arrivò alle armi, ma Bertoldo riuscì a mutare la situazione assicurandosi l’appoggio del papa e dell’imperatore, successivamente di Venezia, Verona, Padova e Vicenza. Isolò completamente Treviso, scompigliando i congiurati.

 

Berthold von Andechs und Herzog von Meranien. Ritratto del patriarca nella Sala del Trono del Palazzo Patriarcale di Udine

 

In Friuli governò con saggezza, incoraggiò la diffusione dei francescani, emise norme contro gli eretici ed i flagellanti. Come già scritto, trasferì la sede patriarcale a Udine (1238) dove nel 1223 aveva già fondato il mercato, che elevò al rango di città. Il processo espansionistico attirò a Udine artigiani e banchieri, notai e avvocati, medici e pittori, architetti e ingegneri, provenienti dalle regioni italiane e da oltralpe. Fu così, grazie anche alla posizione geografica, che nei secoli seguenti Udine divenne la “capitale del Friuli”. Durante la sua reggenza ci fu la prima delibera (1231) che suggellò la data di inizio ufficiale dell’attività del Parlamento del Friuli. Per volere di Bertoldo venne costruito l’attuale duomo di Udine, i cui lavori partirono nel 1245.

Ebbe sempre il sostegno di Federico II, che lo vedeva come alleato contro la lega delle città lombarde (Bertoldo partecipò al suo fianco all’assedio di Brescia del 1238). La sua lealtà verso l’imperatore gli costò la scomunica (poi revocata nel 1241) quando il conflitto tra papa Gregorio IX e Federico II divenne più intenso. Unito al seguito di Federico II a Roma, durante l’incoronazione (1220) ottenne un solenne documento datato a Tivoli il 6 dicembre, contenente il più esplicito ed esteso riconoscimento della sua autorità sovrana sul principato patriarcale friulano. Forte di questo prestigio, operò per consolidare il potere stringendo patti con Venezia, emanò nuovi statuti per l’Istria, concluse favorevoli trattative con Parenzo, Pola e Capodistria e sventò ogni tentativo di rivolta dei vassalli. In questo fu giovato dalla costante solidarietà con la politica imperiale, nelle cui vicende intervenne spesso in modo determinante. Ebbe parte attiva nelle trattative di pace di S. Germano Cipriano nel 1230 fra Gregorio IX e Federico II e fu presente alla dieta di Ravenna del 1231. L’anno seguente ospitò lungamente in Friuli l’imperatore svevo, e proprio durante quel soggiorno Federico II si riappacificò con il figlio e promulgò il “privilegium in favorem principum ecclesiasticorum“.

 

Udine – chiesa di Santa Maria di Castello, XII sec.

 

Ma dopo la seconda scomunica lanciata da Gregorio IX contro Federico (1239) e soprattutto dopo l’elezione del nuovo papa Innocenzo IV (1243), mentre divampava una delle più disastrose lotte fra papato e impero, Bertoldo non riuscì più a mantenere una posizione di equidistanza fra le due potenze. Al concilio di Lione del 1245, dove sedette con i patriarchi di Costantinopoli e di Antiochia, tentò di difendere l’imperatore, ma dovette piegarsi alla maggioranza che sancì la scomunica e la deposizione di Federico II. Negli anni seguenti si allontanò ancor più dal suo antico amico, spinto soprattutto dal timore per la crescente potenza e l’atteggiamento minaccioso dei ghibellini di ponente come Ezzelino III di Romano e di levante nella figura del conte di Gorizia, Mainardo III. Si vide così costretto a stringere alleanze con Venezia per accerchiare Ezzelino, e con il duca di Carinzia per assicurarsi i confini settentrionali (1280).

L’anno seguente si accordò con il marchese d’Este, con i bresciani, i mantovani, i ferraresi, in pratica con tutta la lega guelfa. Giungendo così alla guerra fra i ghibellini e il patriarca, resa incerta dalla ribellione di alcuni ecclesiastici e feudatari friulani. Intervenne a suo favore papa Innocenzo IV, ma fu determinante per arrivare ad un accordo di pace la morte di Federico II (dicembre 1250). Accordo stipulato fra il patriarca e Mainardo III l’otto gennaio 1251. Quattro mesi dopo morì anche il patriarca Bertoldo, lasciando in eredità la brusca svolta della politica patriarcale all’adesione del partito guelfo, sempre più esplicito negli anni seguenti, che mutò profondamente il corso degli eventi. Le cause di quella svolta furono prevalentemente politiche (ormai la sorte di Federico II era segnata e la sua alleanza era più dannosa che utile). Ma non furono estranee ragioni di ordine economico e finanziario, compreso: “l’azione personale del legato pontificio Gregorio di Montelongo (l’anima della lega guelfa) che dimorò per lungo tempo in Friuli” (Leicht) e che sarebbe successo a Bertoldo nella cattedra aquileiese.

 

Fonti:

Gian Carlo Menis: Storia del Friuli
Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria