Friuli 19 – Verso il declino

Dopo l’assassinio di Bertrando, il Friuli ricadde nel disordine e nell’anarchia, così papa Clemente VI accelerò la nomina di Nicolò di Lussemburgo (Nikolaus von Luxemburg, 1350 – 1358), fratellastro dell’imperatore Carlo IV. Coperto dalla protezione imperiale, il nuovo patriarca instaurò un regime autoritario, procedendo a una violenta repressione e spietata giustizia contro i responsabili della morte del suo predecessore. A Gianfrancesco di Castello venne mozzato il capo, infilato su una lancia e portato in giro lungo le strade di Udine, per poi essere piazzato sulla porta da cui si accedeva al castello. (Chronicus Spilimberghenses). Simile sorte toccò a Rizzardo di Varmo, Simone di Castellerio, Ermanno di Carnia, e altri. Federico di Portis venne legato fra due cavalli e squartato in quattro parti, che furono poste ciascuna su una porta di Udine. La casa dei Villalta a Udine, i castelli di Tarcento, di Porpetto, di Castellerio, di Mels, di Villalta, di Invillino e altri vennero abattuti. Il conte di Gorizia si salvò solo per intercessione del duca d’Austria, ma fu costretto a venire a patti, restituendo al patriarcato tutte le terre e i castelli usurpati.

Nicolò continuò la politica del predecessore favorendo i Savorgnan, rafforzò le istituzioni, rinvigorì l’Università di Cividale, ufficialmente eretta con diploma di Carlo IV nel 1353 in Studium generale. A differenza della vita austera di Bertrando, Nicolò amò il fasto e la vita di corte. Il suo governo aveva ridato autonomia al patriarca, che rinforzò la cupidigia della casa d’Austria, la quale alla sua morte (1358) era più che mai decisa a estendere i suoi territori verso l’Adriatico.

 

Ariete con l’esclamazione: Cyriace vibas ( “O Ciriaco, possa tu vivere (in Dio)” – Basilica di Aquileia

 

Già l’Istria interna era passata per eredità nelle mani asburgiche, che oltre ad alcuni possessi nel Carso e nella Carniola, teneva Pordenone, Venzone e Vipacco. Il nuovo patriarca, Ludovico della Torre (1359 – 1365) si trovò subito ad affrontare la pericolosa situazione. Ludovico e Rodolfo IV d’Asburgo si fronteggiarono apertamente nel 1361, il patriarca ebbe la peggio, tanto che si recò a Vienna, dove, trattenuto come ostaggio, gli furono imposti patti umilianti. Ma quattro anni dopo (1365) con l’aiuto dell’imperatore Carlo IV furono decisive le vittorie che l’esercito patriarcale, comandato da Francesco Savorgnan, riportò sugli alleati del duca d’Austria. Il 27 luglio dello stesso anno Rodolfo morì, a pochi giorni dal patriarca, contribuendo a modificare il quadro politico generale.

Francesco Savorgnan, eletto vicedomino sede vacante, mantenne la pace in tutto il Friuli, ponendo le basi della stabilità politica successiva, durante il patriarcato di Marquando di Randek (Marquard von Randeck, 1365-1381). Quest’ultimo, già legato degli imperatori Ludovico il Bavaro e Carlo IV presso il papa ad Avignone, vescovo di Augsburg, era un insigne giurista e uno dei più stimati prelati della Germania. Durante il suo governo si dedicò a un’intensa attività riorganizzativa e sviluppò un’abile attività diplomatica, che riuscì a tener lontana la guerra dal Friuli, con favorevoli riflessi sull’economia. Il suo nome è legato soprattutto per aver incoraggiato e portato a termine il “corpo di leggi in gran parte civili e procedurali che formò il nucleo principale del diritto friulano sino alla caduta della repubblica veneta.” (Leicht). Il codice marquardino, realizzato in gran parte da giuristi locali, dal titolo: “Costitutiones Patriae Foriiulii” fu promulgato l’11 giugno 1366 e terminato negli anni successivi.

 

Castello di Villalta, distrutto e riedificato tra il 1200 e il 1400.

 

Nelle lotte fra Venezia, i Carraresi e il duca d’Austria, Marquardo dapprima seguì una linea di neutralità. Ma in seguito all’aggravarsi della tensione e all’aperta ostilità di Venezia, che dopo aver assogettato Trieste (1369) adottò gravi misure ai danni dei commerci patriarcali, si associò alla lega contro Venezia, partecipando attivamente con gli alleati, compreso Genova, a quella che fu detta la guerra di Chioggia (1378-1381) e che segnò un grave colpo alla potenza marinara della Repubblica. Furono anni difficili, ma fortunatamente le azioni militari si fermarono ai confini della regione. Fra gli atti più notevoli, che servirono a fronteggiare l’egemonia veneziana sull’Istria, e a salvarvi i possessi patriarcali, ci fu l’aiuto decisivo prestato dall’esercito friulano (1380) al comune di Trieste che, liberato dai veneziani, si consegnò spontaneamente al patriarcato. (Due anni dopo Trieste passò definitivamente al duca d’Austria).

“Con la morte di Marquardo (1381) tramontò l’ultima luce del secolare principato patriarcale” (Leicht). I ricordi delle feste spensierate che si prolungavano settimane, come in quel 1368, quando a Udine fu ospite della corte patriarcale l’imperatore Carlo IV, con moglie e figlia ed un gran seguito, fra cui c’erano i vescovi di Spira, di Augusta, di Metz e di Treviri, con la presenza del poeta Francesco Petrarca, non si sarebbero più ripetuti. Meno di quarant’anni dopo la morte di Marquardo, il Friuli perse l’indipendenza e venne annesso alla Repubblica di Venezia.

Le cause della decadenza e della fine dello Stato patriarcale, nella loro complessità, sono da ricercarsi addietro nel tempo. Si collegano alle stesse condizioni e tendenze dell’evoluzione europea tra il XIV e il XV sec., che misero in crisi il frammentarismo feudale e comunale formentando sotto la spinta di forze popolari sempre più consapevoli, aspirazioni, iniziative e nuovi organismi. In altre parole, anche la storia del Friuli non fu disgiunta da quel contesto culturale che avviò in Europa il processo di formazione degli Stati nazionali e in Italia degli Stati regionali, che sarebbero stati i protagonisti della storia moderna.

 

Aquileia – Il complesso basilicale

 

Fra le cause prossime della caduta del potere temporale patriarcale, ci furono l’instabilità del vertice, la discontinuità degli orientiamenti di politica generale, interna ed esterna. Debolezza aggravata dal dissesto finanziario. Nei suoi ultimi anni di vita, vide succedersi al governo sei patriarchi in trent’anni. Nessuno di essi con saggezza, prestigio e forza sufficienti per procedere a radicali riforme. Ma ancor più deleterio del deterioramento del governo centrale, fu lo spirito di fazione e, talora, d’odio e di vendetta implacabile, che divise tra loro i feudali e i comuni, esautorando il Parlamento, paralizzando le istituzioni, scatenando guerriglie, alimentando crimini ed esasperando popolazioni inermi. E non fu neppure estranea una diffusa crisi di religiosità, logorata da secoli di predominio da parte di una Chiesa eccessivamente temporalizzata.

In conclusione, la società friulana del tardo ‘300, denunciò ormai drammaticamente la perdita effettiva, soprattutto fra la classe dominante, di quel minimo senso di solidarietà, senza il quale una comunità non può sopravvivere. Ciò appare in modo esplicito osservando le parti in lizza stringere spregiudicate alleanze, pur di conservare il proprio interesse particolare, chiamando nella contesa i nemici dichiarati dello Stato, coloro che attendevano solo un pretesto per gettarsi sul Friuli per impadronirsi di questo angolo di terra così prezioso per la loro politica e la loro economia. Il dissidio interno più funesto si determinò fra le comunità di Udine e di Cividale, che dominò gli eventi più sinistri degli ultimi quarant’anni dello Stato patriarcale e costituì il fattore principale della crisi finale. Le cause di quel contrasto, senza escludere motivi di prestigio e rivalità familiari, furono prevalentemente economiche. Cividale aveva aumentato la sua giurisdizione nella valle dell’Isonzo, che le consentì importanti vie commerciali con la Carniola e la Carinzia, incrementando considerevolmente i suoi affari. Ciò non piacque a Udine, che vedeva compromessa la sua crescente potenza.

 

Palazzo Comunale di Pordenone XII sec.

 

Il primo scontro diretto si ebbe con il patriarca Filippo D’Alençon (Philippe d’Alençon , 1311-1386) schieratosi apertamente con Cividale e la reazione udinese fu così violenta, da costringere il patriarca alla fuga. Tornò con l’aiuto di Francesco da Carrara, optò per una tregua, ma finì con dimettersi dal patriarcato. Durante questi fatti, con Cividale si schierarono gran parte dei comuni friulani, i carraresi, Padova e il re d’Ungheria, mentre a Udine si accostò in maniera sempre più aperta, Venezia. Infatti fin dal 1385 Federico Savorgnan era stato iscritto fra i nobili del maggior consiglio della Repubblica di San Marco. In tal modo Venezia iniziò a tessere la tela che l’avrebbe portata a conquistare l’entroterra.

La contesa fra i patriarchi e Cividale da un lato, contro Udine con i Savorgnan dall’altro non si placò con il nuovo patriarca Giovanni Sobieslaw di Moravia (Jan Soběslav Lucemburský, 1388-1394) nipote dell’imperatore Carlo IV. Il quale, per stroncare la “quasi” signoria dei Savorgnan su Udine, aumentò la rappresentanza popolare nell’arengo e prese successivi provvedimenti che esacerbarono l’animo degli udinesi. Ma la situazione degenerò quando Federico Savorgnan venne assassinato, il 15 febbraio 1389, del quale si fece risalire la responsabilità al patriarca, gettando l’intera Patria nel disordine e dando inizio a una catena assurda di vendette che avrebbe portato lo Stato alla sua totale rovina. La situazione non si calmò, anzi un altro grave fatto parve segnare un nuovo fondo dell’abiezione. Tristano Savorgnan, figlio maggiore di Federico, assieme a un gruppo di congiurati, il 13 ottobre 1394 uccise sulla soglia del castello di Udine il patriarca Giovanni.

 

Castello di Susans

 

Poi, per un momento sembrò che il Friuli prendesse coscienza dell’abisso in cui era precipitato. Il Parlamento e le comunità supplicarono il papa perché gli concedesse “un buon patriarca” e Bonifacio IX nominò un saggio prelato romano, Antonio Gaetani (1395-1402) che dopo sette anni di relativa pace, venne interrotto dalla malattia e dalle dimissioni. Il suo successore Antonio Panciera (1402-1408) di Portogruaro, non nascose i suoi favori verso i Savorgnan e i suoi legami con Venezia, così l’aspro dissidio si riaccese. Nel 1408 papa Gregorio II, su pressioni degli Asburgo, pronunciò una sentenza di deposizione contro il patriarca e trasferì alla sede aquileiese Antonio da Ponte (1409-1412) vescovo di Concordia, al quale si sottomisero Cividale, Gemona, Venzone, Tolmezzo e molti nobili. Ma nel frattempo all’esterno dei suoi confini, altri fattori erano in procinto di scatenare nuovo sfacelo, altrettanta rovina, con epicentro il Friuli, che avrebbe portato al completo disfacimento dello Stato patriarcale.

 

Fonti:

Gian Carlo Menis: Storia del Friuli
Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria