Friuli 21 – Venezia e l’Impero

Durante le lotte intestine, fuori dal Friuli maturarono elementi decisivi per la sorte futura della Patria. Venezia giocò tutte le sue carte contro gli Asburgo, stringendo alleanze, resistendo, appoggiando ribellioni, assoldando mercenari. Nel campo avverso, le coalizioni si strinsero attorno a Sigismondo, re di Germania e di Ungheria, riconosciuto imperatore da tutti i principati tedeschi nel 1411. Nell’ambito di questo grande gioco, il Patriarcato divenne la posta in palio, trasformato in campo di battaglia, dove Udine e Cividale si schierarono sui due campi avversi.

 

Basilica di Aquileia – Meduse

 

Nel dicembre 1411 l’imperatore Sigismondo si impadronì di Udine, mettendo in fuga Tristano Savorgnan, mentre l’anno seguente, l’antipapa Giovanni XXIII nominò patriarca Ludovico di Teck (Ludwig IV von Teck, 1412-1439), cognato del conte di Ortenburg, rappresentante imperiale nel Friuli. Il 12 luglio 1412, Ludovico ricevette a Cividale l’investitura per mano del conte di Gorizia, delegato dell’imperatore. Fu l’ultima grande cerimonia dell’ormai decadente Sacro Romano Impero svoltasi in Friuli.

Fra il 1412 e il 1413, la presenza in Friuli dell’imperatore Sigismondo portò a una tregua quinquennale, durante la quale sembrò che Venezia volesse rinunciare, ma all’opposto non desistette, fidando su Tristano Savorgnan, con le sue conoscenze, la sua audacia e la sua potenza sia locale che in Italia. Alla scadenza della tregua (1418) la Repubblica decise di invadere la Patria, mentre i friulani tentarono invano ogni via per venire a un accordo con la Serenissima. L’anno seguente Venezia colpì il Friuli direttamente al cuore, impadronendosi di Cividale, considerata il centro strategico imperiale. Le terre e i castelli patriarcali nella destra Tagliamento cedettero, e chi oppose resistenza venne distrutto o disperso. Tristano Savorgnan attaccò Udine, ma fu respinto a più riprese. A fine 1419 il patriarca, riunito l’esercito, e rafforzato da 6.000 ungheresi, tentò di riprendere Cividale, ma venne respinto, le truppe disperse e il conte di Gorizia catturato. Nel gennaio 1420 partì in Germania in cerca di rinforzi, ma durante la sua assenza le truppe veneziane sottomisero tutto il Cadore e il resto della Patria. Solo la contea di Gorizia si salvò dall’invasione, il cui conte, venne piegato a riconoscersi vassallo di Venezia.

 

Marano Lagunare

 

Il 19 luglio 1420, il primo Luogotenente veneto della Patria del Friuli, Roberto Morosini, entrò in Udine. Il suo compito era quello di rappresentare la Serenissima, alla quale doveva rendere conto, e sostituire il patriarca nel governo civile. Vennero cambiati tutti gli alti funzionari con altrettanti veneziani, ma la struttura politico-amministrativa dello stato patriarcale rimase inalterata e sarebbe stata amministrata secondo i suoi antichi statuti. Ci fu solo qualche progressivo riassetto nelle cariche governative e giudiziarie, con una riforma delle competenze, soprattutto nel Parlamento, a cui venne sottratta ogni ingerenza in politica estera. La moneta veneziana ebbe corso legale. Il conte di Gorizia, in cambio della sudditanza, ricevette dal doge l’investitura dei feudi che prima riceveva dalla Chiesa di Aquileia.

“Ciò che abbiamo fatto contro la Patria, è stato fatto solo per assicurare il nostro Stato”, dichiarò il senato della Repubblica il 9 settembre 1420. Fu così che il Patriarcato del Friuli scomparve dalla Storia, lacerato da lotte interne e sacrificato alle logiche veneziane della ragion di stato. Tutti i successivi tentativi fatti dal patriarca Ludovico di Teck, attraverso la diplomazia e le armi, per ricostituire il principato, non servirono a nulla. Il primo nel 1422 con un esercito di mercenari ungheresi, respinti dalle milizie venete. Il secondo nel 1431, con un’armata di 5.000 ungheresi e 1.500 cavalieri, arrivò alle porte di Udine. Ma fu ancora messo in fuga dai veneziani, ai quali s’era aggiunto il conte di Carmagnola con 4.500 cavalli. Ci furono atroci crudeltà da ambo le parti, come il saccheggio dell’abbazia di Rosazzo con il taglio della mano destra dei suoi difensori, da parte degli ungheresi. Ma anche l’uccisione e l’asportazione degli occhi, dopo la distruzione di Manzano da parte veneziana. Non approdò a nulla neppure l’intervento diretto di papa Martino V, compreso la scomunica contro il doge e i magistrati veneziani dal concilio di Basilea (1435).

 

Abbazia di Rosazzo

 

Nello stesso anno si arrivò a un trattato di pace fra Venezia e l’imperatore Sigismondo. Contemporaneamente papa Eugenio IV nominò due vicari per il governo spirituale della diocesi di Aquileia (1436), ormai territorio veneziano, mentre Ludovico di Teck rimase solo, senza alcun appoggio. Alla sua morte (1439) il papa nominò patriarca l’arcivescovo di Firenze, Ludovico Trevisan (1439 – 1465), di origini veneziane, il quale si mise subito all’opera per i trattati.

Anche se Venezia non aveva alcuna intenzione di cedere il Friuli, ritenuto indispensabile a difesa dei suoi domini in terraferma, la contropartita si doveva giocare sulle garanzie da dare al patriarca.

Dopo lunghe trattative, nel 1445, Ludovico Trevisan accettò il concordato di Venezia, dove fu abolito il diritto di indipendenza del Friuli, concedendo alla Serenissima gli antichi diritti civili del patriarcato, mentre Venezia riconobbe tutte le attribuzioni ecclesiastiche, diocesane e metropolitiche, con la giurisdizione feudale sulle terre di Aquileia, S. Vito e S. Daniele. Si obbligò inoltre al versamento di 5.000 ducati d’oro annui. L’applicazione di questi patti, negli anni seguenti diede luogo a numerosi attriti fra Venezia e il patriarca. Per tutto il XV sec. la Repubblica guardò con sospetto l’istituzione patriarcale, come possibile baricentro di fermenti autonomisti. Inizialmente cercò di limitarne il prestigio, sopprimendo il patriarcato di Grado e trasferendone l’istituzione a Venezia (1451), dove tutt’oggi ha sede. Poi creò la diocesi di Lubiana all’interno di quella aquileiese (1461) fino a chiedere la soppressione dello stesso patriarcato aquileiese, per sostituirlo con due diocesi a Udine e Cividale. Ma in seguito la Repubblica cambiò tattica, perseguendo una politica atta ad assicurare sempre il patriarcato a un fedele suddito della Serenissima, politica che continuò fino alla fine dell’istituzione, ovvero la soppressione del patriarcato aquileiese (1751).

 

Spilimbergo – Il Palazzo Dipinto (fine 1300) unico edificio sopravvissuto all’incendio della rivolta popolare e al terremoto del 1511 e parte integrante nel complesso attuale del castello degli antichi signori Spengenberg.

 

In seguito a questi fatti, le condizioni del territorio si presentarono terribili. Le varie guerre procedettero in maniera strana, con l’impazienza di fermarsi poco, danneggiare, andarsene e ricomparire da lì a un mese o a un anno. In realtà si trattava di spaventosi vuoti di cassa dei vari re, principi o signori, i quali tornavano a casa per torchiare con nuove tasse mercanti, cittadini e contadini, ripartendo quando avevano la possibilità di pagare mercenari e capitani. Un aspetto più da guerriglia, che di battaglia, il quale ridusse il commercio e il lavoro nei campi a un forte decadimento. Bruciare le messi, tagliare gli alberi da frutto, le viti, rubare il bestiame, divennero usanze abituali. E quando se ne andavano gli stranieri, erano i nobili locali, sempre in bega fra loro, a condurre operazioni simili, su scala più piccola, ma altrettanto dannosa per la metodicità. Naturalmente come vittime dirette erano sempre i contadini, ma nel complesso anche l’intera Patria, che viveva essenzialmente di produzione agricola.

A tutti questi sussulti, si aggiunsero, durante l’ultimo decennio del sec. XV, le ripetute irruzioni dei Turchi. Già dal 1415 i Turchi invasero la Slovenia, ma la prima irruzione in Friuli avenne nel 1472. In quell’anno, oltrepassando il Carso, giunsero alle porte di Cividale e, arrivando fino a Udine, razziarono, incendiarono, massacrarono, conducendo con sé centinaia di prigionieri. Le difese di Venezia si rivelarono insufficienti anche nel 1477, quando gli invasori dilagarono in tutta la Bassa friulana, devastando le campagne fino al Livenza. L’anno seguente, guidati da Scanderberg di Bosnia, evitando le nuove fortezze erette dai veneziani sull’Isonzo, penetrarono dalla Carinzia attraverso il valico di Tarvisio, cercando di riversarsi su tutta la Carnia. Una pace li tenne lontani per un ventennio, ma nel 1499 avenne l’ultima e più disastrosa invasione, con la difesa veneziana incapace di organizzare qualsiasi azione.

 

Strassoldo – Borgo medievale e castello – XIII sec.

 

Nel 1500 morì a Lienz l’ultimo conte di Gorizia, Leonardo, e immediatamente esplose la scintilla fra Venezia e Massimiliano d’Austria, per il controllo dei feudi goriziani. La Repubblica ne rivendicò il diritto in forza dell’eredità patriarcale, mentre l’impero fondò la sua ragione sull’atto di devoluzione fatto da Leonardo. Entrambi inviarono a Gorizia le truppe, ma arrivarono prima quelle austriache. Dopo inutili trattative, nel 1508 si venne alla guerra. Inizialmente Venezia riconquistò Gorizia, imponendo una tregua di tre anni. Ma dopo pochi mesi, Massimiliano ruppe la tregua, forte della Lega di Cambrai, promossa da papa Giulio II, con Austria, Francia e Spagna, sferrando un poderoso attacco, ben intenzionato a conquistare tutto il Friuli. Durante l’estate 1509 il Friuli venne percorso da truppe imperiali provenienti da est, da nord e da ovest, lasciando dietro di sé solo devastazioni.

A metà luglio il duca di Brunswick riprese Gorizia e l’anno successivo gli imperiali, fino a quel momento impegnati nella zona di Padova, volsero lo sguardo, attaccando da ovest, e da Treviso occuparono parte della regione. Dopo una tregua di tredici mesi, nel 1513 gli Austriaci ritentarono la conquista dell’intero Friuli, entrando a Udine nel mese di febbraio. Ma contemporaneamente Venezia riuscì ad avere sotto controllo il Friuli centro occidentale e nello stesso anno riprese Udine e Cividale, mentre Gradisca, Marano e il goriziano rimasero in mani imperiali. La tensione terminò nel 1516 con i patti di Noyon, definiti dalla dieta di Worms e a Venezia nel 1523. In forza di questi trattati il Friuli rimase diviso, attuando lo status quo post-bellico. Gorizia, Gradisca, Cormons, Aquileia e Marano rimasero sotto il controllo austriaco, il centro e il Friuli occidentale con i veneziani. Nella zona fra l’Isonzo e lo Judrio si formò una fascia di giurisdizioni austriache e veneziane, profondamente compenetrate fra loro, che diedero luogo a un’infinità di contrasti. Ancora nel 1582 venne formata una commissione paritetica per rettificare i confini, ma alcuna proposta fu accettata da ambo le parti.

 

Espansione di Venezia in terraferma

 

Con l’Austria, la contea di Gorizia ebbe nuovi statuti, modellati su quelli delle altre province austriache. Costituì un territorio autonomo e venne dotata di un parlamento regionale a cui erano affidati reali competenze di governo e di controllo. Mentre Gradisca e il suo territorio godettero di una certa autonomia, e Marano venne acquistata dai veneziani nel 1543. Nel Friuli veneto vennero ristabiliti gli ordinamenti del 1420, e non ci furono mutamenti di rilievo, eccetto quando Cividale fu sottratta dalla giurisdizione del Luogotenente e del parlamento della Patria, con la diretta amministrazione del governo veneziano.

La divisione del Friuli fra Venezia e Austria, ne compromise lo sviluppo autonomo, ma non riuscì a sopprimere l’unità culturale delle due zone, soprattutto fuori dalle città principali (Udine veneziana e Gorizia austriaca) dove si focalizzò maggiormente l’influsso dei dominatori. Vennero conservati i tratti fondamentali della cultura, la cui connessione fu rappresentata dalla lingua comune, parlata a occidente e a oriente del confine. E qui, ancora una volta, il vincolo unitario fu ribadito, nei secoli seguenti, dall’amministrazione ecclesiastica del patriarcato di Aquileia, che continuò a tener uniti, fino al 1751, in un’unica diocesi, i sudditi veneti e i sudditi austriaci.

 

Fonti:

Gian Carlo Menis: Storia del Friuli
Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria