Friuli 23 – La contadinanza

Come già scritto, sul Friuli gli intenti di Venezia furono chiari: voleva mantenere lo status quo, ovvero le condizioni sociali e politiche precedenti. I contrasti con la nobiltà locale furono solo di natura politica, non ci fu alcun dubbio che i nobili dovevano governare e i contadini servire. Il problema di fondo stava nel fatto che la nobiltà era ancora affiliata all’Impero e Venezia non facilitò il coinvolgimento, quando preferì governare con la sua classe dirigente e con i suoi funzionari, delegando il meno possibile ai friulani le attività dirigenziali. Fu così che alcune forme di angherie feudali furono soggette a maggior controllo, con provvedimenti in favore dei contadini e dei poveri, tanto che si vide l’insorgere di due fazioni (oggi si chiamerebbero partiti): i “zamberlani”, nettamente favorevoli a Venezia, facenti riferimento alla famiglia Savorgnan e alla massa dei contadini (da non dimenticare che i Savorgnan erano capitani delle cernide, una forza che, pur sempre senza esperienza militare, era dotata di 1250 archibugieri, 1.300 galeotti e 1250 picche).

I zamberlani non erano ben visti dalla fazione contraria, chiamata “strumieri”, facenti capo alla famiglia dei Torriani e filoimperiale, restìa ad accordare privilegi a “forestieri”. Il mistero che regna ancora sull’assegnazione di tali nomi, resta un segno della relativa conoscenza che abbiamo nella psicologia della gente in quel periodo. Da ricordare inoltre che la famiglia Savorgnan, fin dal 1385, fatto straordinario in pieno periodo patriarcale, era entrata nel Maggior Consiglio di Venezia.

 

Basilica di Aquileia – Cestino con lumache

 

Tutto il medioevo e le epoche seguenti furono contrassegnate dalle rivolte contadine. Gli storici hanno reso famoso il tumulto dei Ciompi a Firenze e sono stati scritti diversi libri sulle rivolte contadine tedesche del XVI sec. Profondi motivi sociali trovarono spunti di carattere religioso nella spiegazione del cristianesimo egualitario delle origini. La Riforma di Lutero ebbe successo non solo grazie all’appoggio della borghesia nelle città, ma anche a quello delle masse contadine che speravano in un cambiamento radicale del loro stato. Era una reazione naturale contro la disuguaglianza, fra sazi e affamati, un naturale istinto di giustizia. L’ira contadina si fece sentire in Francia (1251, 1320, 1358,) in Inghilterra nel 1381, in Carinzia, Stiria e Carniola (1478, 1503, 1513, 1514). In Olanda i fabbricanti di formaggio vennero domati dai lanzichenecchi, pure nel Wuttemberg nel 1514 ai nobili venne tagliata la testa e le dame costrette a lavorare la terra con abiti contadini.

Rivolte cittadine scoppiarono anche a Cividale e il 3 giugno 1443 a Spilimbergo, quando i signori fecero imprigionare un mugnaio per furto. Nel 1509 fu assalito e incendiato il castello di Sterpo. In questo stato persistente di guerre e incertezze, Antonio Savorgnan, volendo farsi signore della Patria, cercò l’occasione per liberarsi di tutti gli oppositori e contemporaneamente ottenere i favori di Venezia. Le campagne non erano sicure, così molti nobili cercarono rifugio nei palazzi di Udine, assoldando armati.

Il 4 dicembre 1508 scoppiò la guerra della lega di Cambrai, con il papato, la Francia, la Spagna e l’Impero, contro Venezia. La confusione era tale e le notizie sulla guerra talmente generiche, che non fu difficile ad Antonio Savorgnan, come raccontò il canonico Agostino di Colloredo, raccogliere circa duemila contadini e farli entrare in città, nel mattino del 27 febbraio 1511 (giovedì grasso, da cui la rivolta venne chiamata del “Crudele Giovedì Grasso” o “Crudêl Joibe Grasse” in friulano) dopo aver  raccontato ai contadini che i signori si erano alleati con i tedeschi, ai quali avrebbero consegnato la Patria togliendola a San Marco. Con i suoi amici incitarono anche i poveri a dare una mano e gli fornirono una lista di nobili avversi.

 

Udine – Vista della parte ovest di piazza Giacomo Matteotti, chiamata comunemente piazza San Giacomo.

 

La marea invase le strade, alcuni si piazzarono davanti al portone di casa Torriani, dove venne portato un cannone delle cernidi, squarciandolo. Così corsero dentro armati di falci, mannaie, coltelli e falcetti. Travolti gli armati, iniziò la caccia al nobile, il quale, abbandonando la sua alterigia, si diede alla fuga sui tetti, mentre dalle finestre piovvero mobili, cibo, vestiti e tutto ciò che si poteva portar via. Per alcuni giorni Udine fu piena di una folla allegra e ciarliera che vestiva gli abiti di seta rubati. Saccheggiarono venti palazzi e molti nobili catturati vennero fatti a pezzi. Antonio Savorgnan poteva così apprezzare le ottime conclusioni di ciò che considerava solo una spregiudicata operazione politica. Mentre il Luogotenente veneziano, per prudenza, rimase a guardare dall’alto del colle, asseragliato nel Castello con i suoi soldati.

In pochi giorni la Serenissima avrebbe accettato il fatto compiuto, sollevata di essersi disfatta di molti nemici, senza bruciarsi le mani. Vecchi conti si stavano regolando, vecchie inimicizie venivano stroncate dalle mani di qualche rozzo villano. Tutto sembrava andare per il verso giusto, ma non si tenne conto che la lotta politica non poteva essere disgiunta dalla lotta sociale.

 

Castello di Udine sul colle (1517-1567) sede del Luogotenente veneziano e del parlamento.

 

L’uso spregiudicato di Antonio Savorgnan delle masse scontente di contadini e dei poveri della città, non fu nuovo nella Storia, ma un rituale già praticato che non finì mai bene. Dopo soli tre giorni si accorse che una cosa è scatenare i contadini, altra cosa è fermarli. Ma più importante metterli nelle condizioni di prendersela solo con quel determinato signore, quella tal casata o castello. Perché a un certo punto gli interessi diversero. Lo scopo del politico non era cambiare un sistema, ma solo certi personaggi che venivano ritenuti rivali. Mentre l’interesse del contadino era contrario e divergente da quello politico: lui voleva cambiare la sua condizione di servitù, la diminuzione dei gravami e delle tasse, l’abolizione dei privilegi feudali.

Il giorno dopo, la notizia dell’insurrezione uscì dalla città, correndo attraverso le campagne, sollevando un vento di tempesta in tutta la Patria. Si radunarono bande di contadini con spirito di vendetta per le angherie sofferte da secoli e si mossero, armati come potevano, contro i castelli. Non ci furono distinzioni fra zamberlani e strumieri, fra filo-imperiali e filo-veneziani, era diventata una vera lotta di classe. Si portarono appresso i cannoni e, superato il Tagliamento, dilagarono su tutto il Friuli, saccheggiando e uccidendo.

Nell’ironia dell’etica feudale e cavalleresca, i nobili rinchiusi nel castello di Sterpo, abbassarono il ponte levatoio per far entrare due contadini che volevano parlamentare. Privi del senso di cavalleria, appena il ponte si abbassò, una massa irruppe dentro il castello, lo saccheggiò e lo bruciò. E furono decine i castelli saccheggiati, in tutto il Friuli, tanto che la rivolta del giovedì grasso, venne definita la maggiore dell’Italia rinascimentale..

 

Mura della città fortezza di Gradisca d’Isonzo

 

La storia scritta dai contadini non esiste, le cronache scrivono solo l’orrore provato dai proprietari terrieri e dai benestanti. Non si conosce nulla di quegli uomini che si misero alla testa di quelle masse disorganizzate e in preda alla disperazione. Oltre la spinta iniziale, operata da un gruppo di uomini, non si sa niente. Eppure l’uso dell’artiglieria, a disposizione delle cernide, richiese degli specialisti e gli specialisti in certi frangenti diventano capi.

A questo punto i nobili, strumieri o zamberlani, con i Veneziani, capirono che i loro contrasti di fazione avrebbero potuto rovinarli. Il Luogotenente si mosse, facendo partire fanti e cavalieri dalla fortezza di Gradisca. E i nobili “fecero campo insieme e scomenzorno a mozzar villani“. La rapida alleanza fra tutta la nobiltà e Venezia, fece cadere in rovina Antonio Savorgnan, che fuggì, raggiungendo gli imperiali a Villacco. In seguito tre nobili friulani lo raggiunsero, uccisero un suo familiare, ferirono gli altri e spaccarono la testa ad Antonio. Fu l’inizio della vendetta, solo a Udine vennero ammazzati decine di signori suoi amici, complici del complotto..

E mentre la repressione dei contadini continuava ancora in tutta la Patria, nel pomeriggio del 26 marzo 1511 la terra tremò (fu uno dei più potenti del nord Italia). Il castello di Udine non resse e si sbriciolò, l’adiacente chiesa di Santa Maria si spaccò in due e il campanile si inginocchiò. Fu così che in quell’anno, per le uccisioni, la fame, il terremoto, la peste e altri “stupendissimi disordini e calamità” mentre si sentiva “exclamar et ulular de zorno et de nocte le misere persone e i fanciulli…” morirono, secondo i cronisti, 10.000 persone e un terzo dei cittadini di Udine.

 

Castello di Valvassone

 

All’indomani del 1511 Venezia capì che doveva cambiare politica in Friuli, cercando di aggregare a sé la riottosa nobiltà, ma allo stesso tempo emanare una legislazione più adatta ai tempi, che comprendesse anche le istanze dei contadini, in modo che sfociassero all’interno di un ambito legislativo, piuttosto che in pericolose rivolte. Procedette inizialmente togliendo definitivamente l’autonomia al comune di Udine, abolendo l’arengo (ultimo strumento residuo del potere popolare) sostituendolo con un Consiglio composto da 150 nobili e 80 popolani. In seguito, fra l’opposizione nobiliare, affrontò il problema contadino. Si procedette a un certo numero di leggi che ebbero la capacità di far diventare invecchiate diverse consuetudini feudali: venne impedito ai signori di togliere i pascoli comunali alla collettività dei villaggi, furono fissati i prezzi delle derrate e resi insequestrabili gli attrezzi da lavoro ai debitori.

In seguito, caso unico nella storia italiana dell’epoca, venne deciso di dare ai contadini la possibilità di difendersi contro i soprusi, attraverso la creazione di una rappresentanza separata dai tre stati della Patria (clero, nobili, borghesi) che venne chiamata “Sindaci della contadinanza”, in quanto espressione dei sindaci dei diversi villaggi del Friuli, che nel frattempo era stato diviso in otto quartieri: quattro per la destra e quattro per la sinistra Tagliamento. I Sindaci avevano una loro diretta rappresentanza a Venezia e la sede a Udine, chiamata Casa della Contadinanza. (L’edificio nel 1900 fu demolito e spostato sul colle, nel piazzale del Castello, dove attualmente si trova). Mentre il territorio delle valli del Natisone venne staccato dalla Patria, costituendo una contadinanza a sé, mantenendo l’arengo dei villaggi slavi. Qui la rappresentanza contadina, facente capo a un Sindaco e a una direzione amministrativa, venne chiamata “banca”.

 

Udine – Piazzale del Castello: Casa della Contadinanza.

 

In tal modo la Repubblica riuscì a placare le acque; tolse il controllo delle cernide alle grandi famiglie e lo affidò alla contadinanza che se ne fece garante, inoltre diede a questa il potere di esigere le imposte. In realtà, per ogni problema fuori dall’ordinario, i sindaci dovevano procedere con una petizione, che veniva discussa, decisa e concessa solo da Venezia. Nonostante lo spirito dei tempi, la concessione di un diritto di rappresentanza ai contadini, pur essendo effetto della paura, scaturita come argine contro uno stato di cose che la Repubblica non voleva mutare, ma controllare e razionalizzare, restò pur sempre una vittoria politica della rivolta armata. Il fatto che i contadini non fossero coscienti di essere forti come classe sociale, gli impedì di prenderne coscienza. Di ciò se ne favorì Venezia che finì per averli dalla propria parte, non solo in Friuli, ma anche in gran parte delle altre province nell’entroterra.

Stranamente il fenomeno della contadinanza, come già definito unico in Italia, ha trovato scarsa eco e considerazione fra gli scrittori di storia agraria ed economica. Ne parlano alcuni studiosi di fama, ma solo italiani e che hanno avuto legami con il Friuli. L’istituzione visse con la Repubblica e scomparve con essa, nella tempesta della Rivoluzione francese.

 

Fonti:

Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria