La calunnia è un venticello…

«La calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrar. Piano piano, terra terra, sottovoce, sibilando, va scorrendo, va ronzando; nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar…»

Quest’aria di Gioacchino Rossini, su testo di Cesare Sterbini, si trova nel primo Atto del Barbiere di Siviglia. L’opera è incentrata sulla figura di Figaro, il “factotum  della città”, che deve aiutare il Conte di Almaviva a conquistare la bella Rosina. Ma un terzo incomodo si pone tra i due: Don Bartolo vuole sposare la ragazza ed incarica il maestro di musica di Rosina, Don Basilio, di screditare Almaviva agli occhi della giovane con qualsiasi mezzo. E Don Basilio sa bene come fare: con la calunnia, detta un giorno qua, un giorno là, finché non si espande a macchia d’olio. In quest’aria si spiega che all’inizio la calunnia è un venticello leggero, che lentamente s’insinua nella mente delle persone e poco a poco si propaga, per poi esplodere come un temporale o un terremoto, distruggendo la reputazione del calunniato.

Ma la musica lirica non è l’unica arte ad aver stigmatizzato i danni della maldicenza. Sandro Botticelli in un suo celebre dipinto raffigura mirabilmente l’allegoria della calunnia basandosi su un quadro perduto di Apelle descritto nel De pictura di Leon Battista Alberti. Il pittore greco lo aveva dipinto per difendersi dalle ingiuste accuse  di un collega invidioso. Secondo il Vasari, l’innocente calunniato sarebbe invece il banchiere Antonio Segni, al quale il pittore aveva donato il quadro. Botticelli realizzò questo capolavoro mentre attraversava una profonda crisi interiore, che cambierà per sempre il suo stile pittorico. “La Calunnia” è dunque un’opera cruciale, risalente agli anni in cui l’artista, come tutti i fiorentini,  rimase folgorato dalle prediche appassionate del Savonarola sul giudizio divino e sulla necessità di pentirsi.

Calunnia di Apelle – 1494 ca., tempera su tavola, 62 cm x 91 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze.

L’opera va letta da destra a sinistra. La scena si svolge in una loggia ricca di statue e bassorilievi classicheggianti, con tre arcate sullo sfondo che si aprono sull’azzurro di un paesaggio marino; il loro ritmo cadenzato accentua la concitazione della scena in primo piano. Un giovane, il calunniato innocente, è trascinato davanti a Re Mida, seduto in giudizio su un trono all’estrema destra del quadro. Il calunniato, con le mani giunte, indifeso e completamente in balia degli altri personaggi, è avvolto solo da un panno che non riesce a coprirlo e la sua nudità simboleggia l’impotenza. Il Re ha le orecchie d’asino del pessimo giudice ed è attorniato da due donne, l’Ignoranza e il Sospetto, che lo sobillano sussurrandogli falsità. Ha gli occhi abbassati e non guarda nemmeno la scena che ha di fronte, affidandosi ciecamente alle sue cattive consigliere.

Tutta l’azione ha origine dal Livore (o l’Odio), un uomo dallo sguardo spietato e aggressivo, coperto da stracci a rappresentare il suo logorio interiore. Il Livore guida una bellissima donna, la Calunnia, che trascina per i capelli il calunniato inerme. Con l’altra mano la Calunnia tiene in mano una fiaccola che non illumina e che rappresenta la falsa conoscenza. Ma la Calunnia non potrebbe esistere senza le sue due fedeli ancelle, l’Insidia e l’Inganno (o la Frode), che le acconciano i capelli con rose e nastri bianchi, travestendola con i simboli della purezza (le rose) e dell’innocenza (i nastri bianchi) per abbellire una cosa che in realtà bella non è.

 Il gruppo è seguito da una vecchia arcigna, incappucciata in un manto nero e lacerato in segno di dolore, personificazione del Rimorso. Solo lei guarda la Nuda Veritas, ignorata da tutti e isolata a simboleggiare la sua incorruttibilità, la quale volge lo sguardo verso l’alto e indica il cielo, unica fonte da cui può provenire la vera giustizia. Le figure si intrecciano e quasi si compenetrano l’una nell’altra, in pose innaturali, e sono “come percorse da un vento impetuoso” (Santi) che si placa solo da ultimo nella figura immobile e statuaria della Verità. L’allegoria della Verità nell’arte è sempre rappresentata nuda e tuttavia senza vergogna, perché non ha niente da nascondere.

«Voce dal sen fuggita/ Poi richiamar non vale/ Non si trattien lo strale/ Quando dall’arco uscì» (Ipermestra, Atto II, scena I). Metastasio ci ricorda che le parole sono come le frecce scagliate da un arco, e che una volta pronunciate non possano tornare indietro, perché la memoria umana non funziona come una lavagna dalla quale si può cancellare a comando qualsiasi cosa. La celebre frase attribuita di volta in volta a Voltaire, Rousseau o Beaumarchais, «Calunniate, calunniate, qualche cosa resterà» viene citata per indicare come anche ciò che si vorrebbe cancellare, inevitabilmente resta. Mud sticks dicono gli inglesi (più o meno “il fango resta attaccato”) per sottolineare come le persone tendano a continuare a credere ad informazioni sbagliate, malgrado la loro infondatezza.

Pensiamo a quanti personaggi pubblici sono stati infangati con notizie false e tendenziose fatte circolare sul loro conto al solo scopo di danneggiarli; spesso anche dopo la smentita,  la loro reputazione ne è rimasta irrimediabilmente compromessa. Il caso che fece da apripista fu un omicidio del 1953 che coinvolse il figlio dell’allora Ministro degli Esteri, Attilio Piccioni, passato alla storia come  “il delitto Montesi”, strumentalizzato in chiave politica per distruggere un alto esponente della DC appena convocato dal Presidente Einaudi per diventare Presidente del Consiglio. “Una famiglia viene data in pasto all’opinione pubblica e l’operazione serve ad agevolare il ricambio al vertice del partito egemone… Un giornalismo che nel complesso, salvo qualche eccezione, si accontenta di far da cassa di risonanza alle mezze verità… un rapporto ambiguo, spesso in penombra, fra informazione, potere politico e, in qualche caso, autorità giudiziaria” (Stefano Folli). Piccioni figlio fu arrestato e poi scagionato dopo 3 anni da incubo, ma per il padre fu la fine politica. Per definire questo fenomeno è stata coniata l’espressione “gogna mediatica”, ossia esposizione al pubblico disprezzo che colpisce personaggi messi al centro dell’attenzione dai mezzi di informazione, per via di reati soltanto ipotizzati o non sanzionati da una sentenza di tribunale (Treccani).

Ma anche per chi non è un personaggio pubblico ci possono essere conseguenze devastanti. Per colpa della calunnia e della diffamazione le persone si ammalano, le famiglie si sfasciano, le carriere vanno a ramengo, e in casi estremi si arriva persino al suicidio della persona calunniata, che non riesce a reggere il peso della vergogna e dello stigma sociale. Peccato che, a differenza del capolavoro del Botticelli, nella realtà assai raramente si mostra sulla scena il personaggio del Rimorso, addolorato e vestito di nero in segno di sincera contrizione e pentimento.

Pubblicato da Lady Viper

Strega Wicca. Restituisco per tre volte quello che ricevo, nel bene e nel male. Quindi occhio...