La forma di un teschio, la forma della terra e ciò che hanno in comune

Parte prima: un ritrovamento inusuale

Nel 1912 il mondo scientifico fu scosso da una scoperta epocale. In una cava di ghiaia, nella località di Piltdown, nel Sussex orientale, venivano rinvenuti i resti di un ominide. Il cranio presentava un volume simile a quello dell’uomo moderno, mentre la mascella denotava chiari tratti scimmieschi. La comunità paleontologica britannica esplose in manifestazioni di giubilo ed entusiasmo. Non solo il ritrovamento risolveva uno dei problemi nella ricostruzione della catena evolutiva umana, quello della mancanza di reperti lasciati dall’anello mancante tra l’uomo moderno e i suoi antenati scimmieschi, ma poneva saldamente le origini della specie umana vera e propria nelle isole britanniche, scavacando per antichità l’uomo di neanderthal rinvenuto in Germania e quello di Cro-magnon, rinvenuto in Francia.

Il teschio in questione, come ricostruito negli anni ’10.

Il cranio venne quindi esposto e sbandierato in lungo ed in largo, fino al 1953 quando fu definitivamente provate che si trattava di un falso. Il teschio era infatti costituito da parti di un cranio moderno (datato intorno al XVII secolo), una mascella di orangutan dai bordi sbrecciati per incastrarla al cranio e alcuni denti di simpanzé limati. Da allora se ne persero le tracce, addirittura il British Museum (che pure l’aveva esposto per diversi anni) negò di esserne in possesso, finché non fu rispolverato nel 2012 per una mostra. Chi sia stato l’autore della burla resta un mistero, alcuni dicono uno degli aiutanti mal pagati dello scavo di Piltdown, altri addirittura Sir Arthur Conan Doyle che avrebbe poi lasciato degli indizi della sua “colpevolezza” nei suoi libri, come un ammiccamento ai lettori. Di sicuro, la scoperta ebbe un impatto enorme non solo nel mondo scientifico, H.P. Lovecraft cita l’ominide due volte nei suoi racconti, in Dagon e ne I topi nei muri, solo per fare un esempio.

Il protagonista nota, osservando i bassorilievi, quanto questi fossero antichi, realizzati “before the first ancestor of the Piltdown or Neanderthal Man was born.” (prima che fosse nato il progenitore dell’uomo di Piltdown o di Neanderthal)

Eppure, visto da fuori, a più di cento anni di distanza, il falso non solo appare evidente, ma perfino in qualche modo rozzo e vagamente offensivo per l’intelligenza. Almeno due dei motivi per cui il teschio non dovrebbe nemmeno esistere si possono trovare facilmente nel breve riassunto fatto del suo ritrovamento. In primis, fu ritrovato in una cava di ghiaia. Ora, senza dilungarci troppo, la ghiaia non è un tipo di roccia adatta alla fossilizzazione. Generalmente fossili di questo tipo, quindi semi-intatti, si rinvengono in zone di roccia sedimentaria, dove la stratificazione rocciosa ha gentilmente “ingoiato” il reperto, mentre nella ghiaia questo sarebbe stato ritrovato polevrizzato in frammenti. In secondo luogo, l’idea che la teoria dell’evoluzione di Darwin richieda la presenza di un “anello mancate” è totalmente erronea e fuorviante. La catena avolutiva è costituita da un numero pressoché infinito di anelli che presentano di volta in volta mutazioni molto ridotte. L’idea di un ominide che presenti insieme caratteristiche umane e scimmiesche non ha quindi molto senso. Oltretutto, l’evoluzione raramente segue un modello di sviluppo “lineare” per cui da una specie si passa all’altra. Australopitechi e Homo Erectus, ad esempio, convissero a lungo. La concezione comune, espressa nelle celebri imamgini della catena evolutiva umana (cariche di siginficati ideologici sulla inevitabilità e superiorità umana frutto dell’evoluzione della nostra specie) che si vedono un po’ dappertutto, quindi, è solo un modo per far rigirare nella tomba il povero Darwin molto vorticosamente.

Infine, resta il dato più eclatante. I paleontologi dell’epoca svolsero i loro esami sui resti ed arrivarono a conclusioni diverse da quelle a cui si arrivò quarant’anni dopo. Il calcolo della capacità cranica del fossile è forse il punto più cruciale. Nel 1915 fu calcolato che questa fosse all’incirca compresa tra quella dell’homo di Neanderthal e del homo herectus. Questa misurazione ovviamente non ha senso, essendo il cranio quello di un uomo del ‘600 la sua capacità cranica è del tutto identica alla nostra (come poi confermato da misurazioni successive). Eppure gli scienziati del 1915 avevano i nostri stessi occhi, il nostro stesso nervo ottico e (si suppone) la nostra stessa capacità cranica. Quindi perché ci sono voluti quarant’anni per esporre il fossile come un falso? Le misurazioni non sono forse per loro natura esatte se eseguite con strumenti precisi?

Permettetemi una breve digressione sulla forma della terra.

Parte seconda: il mondo-disco (Pratchett perdonami)

L’idea che prima del viaggio di Cristoforo Colombo le persone pensassero che la terra fosse piatta è notoriamente un mito costruito a posteriori nel ‘700 per gettare discredito sul periodo medievale, considerato oscurantista e superstizioso. In realtà, se si eccettua un pugno di pseudo-intellettuali della prima cristianità che effettivamente teorizzarono il mondo come piatto e racchiuso in un tabernacolo con il cielo a fungere da coperchio, l’umanità ha sempre saputo che la terra fosse sferica, praticamente da quando inizia la Storia. Colombo sapeva che la terra fosse sferica, semplicemente pensava che fosse molto più piccola di quello che è in realtà e calcolò che la quantità di provviste di cibo e acqua gli sarebbero bastate per raggiungere il Giappone. Il caso volle che invece quella quantità fosse all’incirca corretta per andare a sbattere sui Caraibi, della cui esistenza nessuno sospettava. Un colpo di fortuna per Colombo che fossero lì, una bella sfortuna per chi invece ci viveva.

Questo è un punto importante quando si discute del moderno fenomeno del terrapiattismo perché, al contrario di altri movimenti balzati agli onori della cronoca come i no-vax, il terrapiattismo non è un movimento regressivo. Non si collega, cioé ad alcun movimento del passato, ma è progressivo, propone qualcosa di nuovo, una nuova interpretazione della realtà.

Il terrapiattismo è, infatti, relativamente giovane. La prima menzione risale al XIX secolo, nei lavori di Samuel Rowbotham e William Carpenter. Quest’ultimo, un tipografo inglese, fu anche autore di un volume: 100 proofs the Earth is not a globe (100 prove che la terra non è un globo). La collezione di queste “prove” è vasta e varia, spaziando dalla teologia alla semplice ignoranza di principi fisici ben noti ai tempi. Però un paio sono piuttosto interessanti dal punto di vista filosofico-sociale. Carpenter infatti propone l’idea che, siccome è esperienza comune che la terra sia piatta nella vita di tutti i giorni, questa non può che esserlo, perché i nostri sensi non possono ingannarci. In filosofia questo ragionamento è descritto come “realismo diretto” o, in maniera meno lusinghiera “realismo naive” o “realismo ingenuo”. Infatti, è molto facile smontare argomentazioni di questo tipo, i nostri sensi ci ingannano di continuo: una cannuccia semi-immersa in un bicchiere d’acqua appare piegata anche se non lo è, può capitare di avvertire il proprio cellulare vibrare anche se non ci sono stati messaggi o chiamate e, in ultimo, la terra è effettivamente un globo, anche se a noi appare piatta.

La proiezione usata dai terrapiattisti, detta azimutale, è anche in forma stilizzata il logo delle Nazioni Unite. Ovviamente perché queste sono parte del complotto.

Tuttavia, le implicazioni filosofiche di questo approccio sono estremamente interessanti per quanto riguarda il terrapiattismo. Perché aggiungono un’altra importante distinzione tra questo movimento e altri movimenti “antiscientifci”. Il fatto è che il terrapiattismo è un movimento scientifico. O meglio, i suoi membri stanno tentando di portare avanti una forma rozza di scienza, che ignora sostanzialmente tutti i principi scientifici e di filosofia della sicenza da Galilieo in avanti. Il no-vax rifiuta la scienza e si rifugia nel naturalismo, il terrapiattismo invoca la scienza e la vuole rifondare. Particolarmente illuminante (oltre che divertente) è il discorso tenuto da uno dei leader della flat-earth society canadese, Mark Sargent, in cui, senza mostrare alcun apparente imbarazzo, si autoproclama portatore della nuova scienza.

Il terrapiattismo è quindi una forma di scienza fallata alla radice, che muove da un presupposto totalmente insensato: quello che i dati sensoriali non possano essere sbagliati. La scienza, invece, si basa su dati certi, raccolti con misurazioni o esperimenti proprio perché ogni buon scienziato sa che i nostri sensi sono propensi all’errore. Almeno, il più delle volte. E torniamo al bizzarro teschio rinvenuto nel 1912 e alle sue implicazioni. Possiamo dire, a questo punto, di aver fatto un giro completo (capita?).

Parte terza: l’occhio dello scienziato

Nel 1962 Thomas Kuhn pubblicò un saggio che diventerà poi uno dei testi più importanti della filosofia della scienza. Se non addirittura il più importante in assoluto. La struttura delle rivoluzioni scientifiche. In esso Kuhn riconosceva un pattern nel progresso scientifico, che muove da una fase di “scienza normale” in cui la ricerca non muove tanto per cercare novità, quanto per risolvere problemi interni al modello dominante (e quindi, per confermarlo) ad una fase in cui una serie di anomalie nei risultati porta ad una crisi del modello. Viene quindi formulato un nuovo paradigma che risolve queste anomalie e diviene il modello dominante. L’espressione paradigm shift, prima degli anni ’60 praticamente inesistente, è uno dei lasciti della pubblicazione nella cultura pop.

L’uomo di piltdown e i terrapiattisti hanno entrambi molto da dire in questo riguardo. Torniamo al teschio del presunto ominide. Una delle domande lasciate aperte poche righe sopra era come fosse stato possibile che, per quarant’anni, la burla fosse rimasta nascosta. Il problema principale non è che gli scienziati di allora fossero idioti, o che non operassero in modo scientifico. Il problema principale era che il teschio, per quanto bizzarro possa sembrare, si inseriva alla perfezione nel paradigma scientifico dell’epoca e anzi, andava a confermarlo. All’epoca i paleontologi erano tutti tesi alla ricerca dell’anello mancante ache se, come abbiamo detto, questo era frutto di una cattiva interpretazione della teoria dell’evoluzione darwiniana. Ma non solo. Una teoria molto in voga all’epoca del ritrovamento era che nell’uomo si fosse sviluppato prima il cervello rispetto agli attributi fisici, in primis alla dieta onnivora e quindi alla conformazione della mascella e dei denti. Il cranio di piltdown, con la sua calotta chiaramente umana ma la mascella e i denti scimmieschi, e quindi inadatti alla dieta onnivora, si inseriva alla perfezione nel paradigma esistente. Era quasi troppo perfetto per essere vero.

La “catena degli esseri”. Nonostante la teoria di Darwin avesse fatto piazza pulita di queste teorie, nel sentire comune esse erano più vive che mai (e si può dire che, in forme meno rozze di questa, siano ancora presenti).

Proprio per questo i vari problemi col ritrovamento, come per esempio la questione della fossilizzazione, non vennero presi in considerazione o furono messi da parte frettolosamente. Tanta era la volontà di far incastrare il ritrovamento nella teoria che quando furono eseguite le stime sul volume cranico i frammenti del teschio furono riassemblati in maniera del tutto erronea, e questo risultò più piccolo di quello di un uomo moderno, mentre era effettivamente quello di un uomo moderno in tutto e per tutto. Riassemblamento che non fu fatto da perdigiorno ma veri paleontologi e che nessun esperto mise in dubbio per decenni. I pochi che correttamente fecero notare questi problemi, soprattutto dalla Germania, furono rapidamente cassati come, per farla breve “crucchi rosikoni”.

Il volume del cranio di Piltdown in rapporto a quello di altri crani umani (e animali). L’immagine è tratta da “la vita meravigliosa” di Stephen Jay Gould.

Fu solo negli anni ’30 che le cose cominciarono a prendere una piega inaspettata. Il ritrovamento di fossili umani in Africa, infatti, pose un problema per l’uomo di Piltdown: quello della geografia. Come era possibile un ritrovamento così antico in un logo così distante da ritrovamenti sia più antichi che più recenti dello stesso? Si cominciò ad aver problemi a collocare l’ominide nella scala evolutiva, ma ancora non si arrivò a denunciarlo come falso. Il teschio divenne quindi un’anomalia nel paradigma della teoria evolutiva umana, una bizzarria che non si conformava. Quando poi la scoperta dell’australopiteco pose saldamente le radici umane in Africa il teschio aveva i giorni contati. Nel 1953 fu definitivamente provato che fosse un falso e successivamente innovazioni nei metodi di datazione dei reperti tolsero ogni dubbio residuo. L’uomo di piltdown rappresenta quindi una delle trappole della “scienza normale” Kuhnianamente parlando, che, nella ricerca di verifiche delle proprie tesi può accecare lo scienziato. I paleontologi degli anni ’10 non si avvidero che il loro sguardo era viziato da pregiudizi nazionalistici (collocare l’origine dell’uomo nelle isole britanniche) e teorie erronee sull’evoluzione. Quindi anche qualcosa di “fattuale” come il calcolo del volume di un cranio fu fallato.

Ma è più importante notare, e anche più inquietante in un certo senso, che gli scienziati che accettarono l’uomo di piltdown ed i terrapiattisti condividono una radice: quella del realismo naive (anche se entrambi i gruppi non lo esercitano consapevolmente). I terrapiattisti ritengono che i nostri occhi non possono essere ingannati, e non si rendono conto che la loro visione è condizionata da fenomeni fisici. Gli scienziati del 1912 ritenevano che le loro misurazioni fossero esatte, e non si resero conto che la loro visione era condizionata da fenomeni socio-culturali.

Pubblicato da Alocin30590

Collezionista di aneddoti, attualmente soldato di ventura in terra scozzese.