L’Unione Europea ed il regionalismo

Questo articolo ha bisogno di una doverosa premessa: non si tratta di una presa di posizione a favore, o contro, l’indipendentismo catalano. Gli eventi avvenuti in Catalogna negli ultimi giorni sono, semplicemente, un trampolino di lancio per parlare di regionalismo, Unione Europea, e di come questi due fenomeni si siano evoluti negli ultimi decenni.

Regionalismi ed Unione Europea: convergenze

Il regionalismo come fenomeno è sempre esistito, determinato da fattori etno-linguistici, geografici o semplicemente economici, sia in senso positivo (una regione più ricca che vuole elevarsi sulle altre) sia in senso negativo (la creazione di identità regionali a seguito della convinzione di essere sfruttati “colonialmente” dallo stato centrale). Sempre, comunque, il regionalismo si è manifestato come fenomeno isolazionista, che respinge l’autorità del governo centrale e cerca di ritagliarsi un suo spazio indipendente. Tuttavia, a partira dalla seconda metà del novecento, si può assistere alla nascita di un nuovo filone di regionalismo: quello legato all’Unione Europea.

In teoria, Unione Europea e forze regionaliste siedono al capi opposti di una ipotetica tavolata. L’Unione Europea è una entità che tende ad assorbire poteri e mansioni ad un livello sovranazionale, mentre i regionalismi tendono a voler accentrare gli stessi a livelli sub-nazionali. Tuttavia, in molti aspetti, questi due attori si rafforzano vicendevolmente.

Alcuni dei movimenti separatisti/regionalisti europei

L’idea di fondo è che i regionalismi locali (o nazionalismi locali) trovino nell’Unione Europea il loro sbocco naturale, poiché l’Unione porterà, prima o dopo alla dissoluzione dello stato nazionale.
In primis perché il sovrastato europeo elimina molte delle minacce esterne che in passato avevano reso preferibile, o imposto, la permanenza di regioni dalla forte identità propria all’interno di stati più grandi. All’interno di uno stato europeo federale, infatti, minacce alla sicurezza territoriale sono praticamente inesistenti anche per stati molto piccoli come ad esempio la Slovenia. Non c’è ragione per credere quindi che un ipotetico stato basco possa temere per la propria integrità; specialmente considerando il fatto che esiste un ombrello al di sopra dell’Unione per la difesa militare: quello della NATO. Similmente, il discorso vale per questioni economiche. All’interno dell’Unione Europea, data l’assenza di vincoli di spostamento su capitali, merci o persone, non c’è alcuna differenza pratica tra un fiammingo belga e un fiammingo cittadino delle fiandre indipendenti. Inoltre, l’Unione Europea ha anche privato gli stati nazionali del loro tradizionale ruolo di mediatori tra le regioni ed il mercato globale, avocando a sé tale compito.
Ulteriore impuso disgregatore per gli stati nazionali è la politica europea di sostegno alle regioni depresse. Paradossalmente nata anche per placare gli animi di alcuni regionalisti, spaventati all’idea che il nuovo “stato” sovranazionale europeo potesse essere ancora più sordo ai loro bisogni del vecchio stato nazionale. L’unione Europea ha quindi impostato la sua politica di sostegno a partire dalle riforme del 1979 con l’erogazione di fondi al livello più basso possibile (in Italia, ad esempio, ai comuni), radicandoli così alle regioni a cui vengono inviati. Mai come ora gli stati hanno avuto un minor controllo sui finanziamenti europei rivolti alle loro regioni.

L’Unione Europea sta quindi portando avanti un processo di erosione dello stato nazionale dall’alto, in questo senso gli obiettivi dell’Unione e dei regionalisti coincidono perfettamente. In questa cornice il riaccendersi di aneliti regionalisti è un “effetto collaterale” di questo processo di integrazione europea. Più sovranità verrà tolta allo stato nazionale e delegata a Bruxelles, meno queste periferie si sentiranno legate al centro nazionale, che diventa quindi solo “tramite” per arrivare al centro “vero”: quello dell’UE. La proposta del presidente francese Macron di istituire collegi elettorali europei con liste transnazionali è un ulteriore piccolo passo verso la ridefinizione dei rapporti politici tra Unione Europea e stati membri.

Non è un caso se i partiti indipendentisti in giro per l’europa sono europeisti, anche se in gradazioni differenti. I catalani domenica hanno sfilato con molte bandiere blu, senza avvertire alcun conflitto tra le loro ambizioni regionaliste e il progetto sovranazioale dell’Unione Eropea. Lo Scottish National Party addirittura è un proponente dell’euro come valuta nazionale fin dalla sua creazione. Giova ricordare che la Lega di Umberto Bossi nacque come movimento semi-europeista (votarono a favore sia del trattato di Maastrich che quello di Lisbona). Bisogna attendere la colonizzazione neofascista di elementi ex-missini nella seconda metà degli anni ’90 perché questa venga persa, fino alla trasfromazione in un partito lepenista negli ultimi anni.

Un regionalismo ancora agli albori

Quindi ci stiamo dirigendo verso un futuro europeo privo di stati nazionali, verso una “Europa delle regioni”? In parte sì, ma in parte anche no.

Per prima cosa occorre considerare che ogni regionalismo, per sua stessa natura, è un fenomeno diverso e, proprio per questo, ogni regionalismo ha un rapporto diverso con l’Unione Europea. La prima e più ovvia distinzione è ovviamente tra regionalismo e secessionismo tout court. Inoltre, la definizione di “regione” usata dall’Unione Europea nel suo confrontarsi con realtà regionali non sempre coincide con la l’autopercezione e l’autorappresentazione degli abitanti locali.

Le Regioni Europee definite dal Fondo Europeo di sviluppo regionale

Oltretutto, benché indebolito, lo stato nazionale è ancora vivo e vegeto e non sembra avere intenzione di scomparire tanto presto. Anzi, nel cuore dell’europa esiste uno stato che sembra non solo immune dal fenomeno regionalista, ma anzi sembra essersi rafforzato nel suo centralismo: la Francia. Benché in Francia ci siano forti presenze regionaliste (bretoni, baschi, catalani, corsi per nominare i principali) la Francia sembra del tutto immune ai processi sopra menzionati. I catalani francesi, ad esempio, non sembrano minimamente interessati all’esplosione dei loro cugini a sud dei Pirenei. Per di più l’Unione Europea resta ancora un accordo basato sulla collaborazione degli stati nazionali stessi, la sua struttura politica è estremamente debole e soggetta alle paturnie dei membri, nonostante il rafforzamento avvenuto negli ultimi anni. Inoltre, l’ampiamento a Est del blocco dell’Unione ha ridato fiato al ruolo degli stati. In primo luogo, drenando risorse ed energie politiche verso il problema dell’ampliamento, sottraendole così a questioni regionali. E, in secondo luogo, riproponendo lo stato nazionale come unico arbitro finale delle politiche europee.

Infine, occorre considerare che, anche se regionalismi ed Unione Europea condividono lo stesso fine (ossia il diluimento dello stato nazionale), questo non significa che procedano armoniosamente lungo questa via. L’Unione si è spesso espressa in maniera contraria a secessioni, sia nel caso scozzese che catalano ad esempio, mettendo bene in chiaro che una eventuale secessione avrebbe voluto dire, in ogni caso, l’uscita anche dal blocco europeo. Togliendo di fatto la terra da sotto i piedi ai separatisti perché a questo punto verrebbe meno la sicurezza e i vantaggi di appartenere ad un blocco integrato politicamente ed economicamente.

Insomma, pare che ci vorrà ancora del tempo perché lo stato nazionale venga distrutto dalla duplice azione dei regionalismi dal basso e dell’Unione Europea dall’alto. Anzi al momento attuale, dopo i fasti regionalisti del decennio 1985-1995, sembra quasi che si sia arrivati ad un punto di “minima” nella forza del concetto di una “Europa delle regioni”. Tuttavia, pare plausibile prevedere che il continuo rafforzarsi dell’Unione come entità politica farà di nuovo volano ai regionalismi, mentre questi si legheranno sempre di più al nuovo “centro” di Bruxelles per cercare di bypassare delle realtà statali avvertite come pesanti, ingiuste o, semplicemente, obsolete.

Volendo approfondire:

Barry Jones and Michael Keating, The European Union and the Regions, (New York: Oxford University Press, 1995).

Michael Keating, The new regionalism in Western Europe: territorial restucturing and political change, (Northampton: Edward Elgar Publishing, 1998).

Roger Scully and Richard Wyn Jones (eds.), Europe, Regions and European Regionalism, (Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2010).

Saira Zuberi, Regionalism within the European Union, Pakistan Horizon, Vol.49 No2 (April 1996).

William M. Downs et al, Regionalism in the European Union, Journal of European Integration, Vol.24 No3, (2002).

Pubblicato da Alocin30590

Collezionista di aneddoti, attualmente soldato di ventura in terra scozzese.