Maturità

L’estate scorsa s’è parlato assai di uno dei temi che son stati dati agli esami di maturità, una poesia di Caproni, e dopo matura (hehe…) riflessione mi son resa conto che a me m’avrebbero bocciata, e non solo perché ‘a me mi’ non si dice, ma andiamo con ordine e partiamo dall’inizio.
Il giorno della prima prova degli esami di maturità ho creduto che uno dei temi fosse il commento a questa poesia:

« Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos’è, nella sua essenza, una rosa »

e siccome il tema m’ispirava assai mi son messa a scrivere il seguente svolgimento:

In questi pochi versi ci sono talmente tanti aspetti di cui parlare che sono stata a lungo incerta su quale fosse quello da cui partire, ma poi ho deciso: partiamo dall’aspetto terra terra, prendendo alla lettera la seconda affermazione che, considerata in senso letterale, è falsa.
Sì, perché per descrivere una rosa ‘nella sua essenza’ basta ottenerla, quell’essenza (e adesso ci sono tecniche di distillazione molto sofisticate che permettono di ottenere più frazioni, corrispondenti a profumazioni leggermente diverse tra loro, da un determinato tipo di rosa) eppoi esaminarla con uno strumento relativamente semplice come un gascromatografo, cioè uno strumento in cui s’inietta il campione da analizzare e quello ti separa i singoli componenti e ti dice cosa c’è nel tuo campione e quanto ce n’è dei singoli componenti, ed ecco bell’e fatta la descrizione dell’essenza di una rosa.
Sì, come se fosse così facile, come se bastasse limitarsi all’analisi chimica del contenuto delle varie molecole che, mescolate assieme, danno come risultato quel particolare profumo di rosa (ché non penserete che le rose abbiano tutte lo stesso profumo, vero? O che, a parità di varietà di rosa, quella rosa abbia lo stesso profumo al mattino o alla sera, quand’è in boccio o quando sta per sfiorire, al sole o all’ombra); se fosse così facile, potremmo descrivere la realtà usando un pochetti di numeri e di formule, e invece no.
E invece, anche se adesso siamo diventati bravi ad ottenere l’essenza di rosa e a determinarne la composizione con precisione e anche a sintetizzare in laboratorio le molecole principalmente responsabili del profumo di tante sostanze (pensiamo per esempio alla vanillina, che si ottiene facilmente per sintesi e che è la principale responsabile del profumo di vaniglia dei baccelli dell’orchidea Vanilla planifolia), e siamo diventati bravi perfino a creare nuove molecole profumate (esiste una molecola che profuma di mare, una che profuma di erba tagliata e molte altre che ricreano profumi e sensazioni) non siamo ancora capaci di capire per bene e di descrivere esattamente come funzioni il meccanismo della nostra reazione ai profumi, il meccanismo evocativo di ricordi e sensazioni per cui ogni persona reagisce in modo personalissimo ad un profumo, ogni persona ‘sente’ qualcosa di unico e di differente in un profumo, e ciascuno di noi ha profumi che ama e profumi che detesta.
Quando sono stata all’Orto Botanico di Padova per Straordinario sentire, la splendida manifestazione organizzata dall’Orto in collaborazione con l’Accademia del Profumo, ho assistito alla conferenza di un giovane ‘naso’ che ha fatto fare ai partecipanti un esercizio straordinariamente interessante: venivano distribuite delle striscette su cui era stato messo del profumo e bisognava indovinare di che profumo si trattasse.
La prima striscetta era profumata alla rosa e la prima cosa che ho provato annusandola è stata la sensazione del sole caldo sulla pelle e dell’erba fresca sotto ai piedi e l’immagine di una rosa sbocciata, coi petali languidi sotto al sole e col suo profumo dolce ed avvolgente.
Come si fa a combinare questo misto di ricordi e di sensazioni con delle formule chimiche e con dei meccanismi di reazione?
Ne sappiamo ancora troppo poco per poterlo fare, però intanto è già affascinante pensare che spesso l’odore di una molecola è legato alla presenza di particolari atomi (se c’è zolfo, potete star sicuri che la molecola puzza, se c’è azoto, è possibile che puzzi come no) oppure di particolari gruppi funzionali (la presenza di un carbonile, cioè di un carbonio legato con un doppio legame ad un ossigeno, dà spesso molecole profumate, anche se il carbonile si trova all’interno di un gruppo estereo, ma se il carbonile è invece all’interno di un acido carbossilico è molto probabile che il composto puzzi (le molecole responsabili del peculiare odore dei caproni sono acidi carbossilici, e così lo è la molecola responsabile dell’odore del burro rancido)), e allora cosa succede nel nostro organismo quando percepiamo gli odori, cos’è che fa sì che l’odore dell’acetato di etile venga percepito come gradevole, mentre l’odore dell’acido acetico (che differisce di pochissimo dall’acetato di etile) venga percepito con fastidio più o meno pronunciato?
Per non parlare del discorso a cui ho accennato sopra, e cioè dei meccanismi complessissimi che legano i ricordi agli odori e che ce li fanno percepire addirittura come odori tristi o allegri, o che ci permettono di richiamare ricordi così sepolti dal tempo che non sapevamo più di averli.
Se avete letto ‘Il ritratto di Elsa Greer’ di Agatha Christie avrete letto che ad un certo punto Poirot, per richiamare alla memoria di un testimone dei fatti avvenuti una ventina d’anni prima, gli fa chiudere gli occhi e gli sventola vicino al naso un fazzoletto profumato all’essenza di gelsomino, e magicamente i ricordi ritornano alla mente, ché la potenza evocativa del profumo è grandissima.
E in questo senso, quindi, nessuno ancora è riuscito a spiegare l’essenza di una rosa, ma questo non è certo l’unico significato che possiamo attribuire alla poesia.

E a questo punto ho fatto una pausa ed ho cominciato a chiedermi se fosse il caso di fare un piccolo inciso per parlare dell’essenza di rosa, che viene ottenuta soltanto da due tipi di rose, la damascena e la centifolia, però poi ho pensato che sarebbe andata a finire che mi sarei persa a raccontare delle rose antiche a fioritura unica e dello scalpore che nel Diciannovesimo secolo provocarono le rose rifiorenti dalla Cina e degli ibridi ottenuti da queste, ibridi che erano anch’essi rifiorenti e l’entusiasmo fu tale che li chiamarono ‘ibridi perpetui’ e diventarono così popolari che venivano messi anche in testa ai filari di vite come ‘canarini’… e insomma vedete bene che sarei andata platealmente ottì.
E allora ho lasciato perdere quell’idea e mi preparavo a tornare in carreggiata parlando del nominalismo di Shakespeare quando fa dire a Giulietta “Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo” eppoi a passare al discorso dell’eterna questione se la bellezza sia una proprietà intrinseca o meno (citando ovviamente Kant con la sua famosa affermazione “Bello è ciò che piace universalmente senza concetto”), quando ho scoperto che in realtà il tema assegnato agli studenti di maturità non riguardava la poesia sulla rosa, ma quest’altra poesia, sempre dello stesso autore:

“Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.”

E a quel punto ho messo insieme le parti finali delle due poesie ed ho realizzato che trattavasi molto probabilmente del caso di uno di quei bagg malaccorti che ritengono che ‘naturale è sano’ (sì, citofonare Socrate per referenze…) e che la chimica sia brutta sporca e cattiva, e allora m’è passata la poesia e mi son messa a pensare alla superbia immensa (roba che il povero Lucifero je spiccia casa, a questi) che ci vuole per ritenere che sia compito degli esseri umani il controllo degli equilibri sulla Terra quando pure noi di quegli equilibri facciamo parte, e che controllo vuoi esercitare quando ancora siamo ignorantissimi sui meccanismi di quegli equilibri che costoro pretenderebbero di controllare?
Eppoi, prendiamo gli ultimi versi della poesia che i fioi si son trovati a dover commentare:
Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.

Ora, a parte che non mi pare proprio un’idea geniale quella di assecondare il cupio dissolvi che, se è come ai miei tempi, spesso e volentieri affligge gli studenti in età da maturità, a me pare evidente che un’affermazione di quel tipo rappresenta una fallacia logica: senza stare a scomodare l’interpretazione di Copenhagen (quella secondo cui la realtà esiste solo in presenza di qualcuno che la osservi), mi spiegate com’è possibile stabilire una graduatoria di bellezza di qualcosa in assenza di qualsivoglia osservatore di questo qualcosa?
Che senso ha parlare di bellezza più o meno grande se non c’è nessuno che di questa bellezza può stabilire l’entità?
E comunque, che discorso è quello di pretendere che un qualsivoglia vegetale sia superiore all’essere umano?
Che ne è del buon vecchio Blaise Pascal, quello che scriveva “L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa”?
Ci siamo dimenticati che “Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero” e perdiamo tempo a divinizzare la natura, convinti di poterla controllare.
Vedete bene, dunque, che se io quella volta mi fossi trovata a svolgere un tema del genere m’avrebbero bocciata per direttissima, ma per fortuna (o per sfortuna, dipende dai punti di vista) io la maturità l’ho passata da mo’, e mi son pure laureata da mo’, così adesso posso deliziare (o cruziare, dipende sempre dai punti di vista) i miei studenti raccontando loro che la chimica non è brutta sporca e cattiva e che la scienza non è né buona né cattiva, è l’uso che se ne fa che può esserlo eqquindi la prima cosa da fare è conoscere bene quello che si vuole usare (di solito a questo punto faccio l’esempio del fuoco, che è sia utilissimo che pericolosissimo, ma questo non significa che devo mangiare la pizza cruda perché il fuoco potrebbe bruciare la pizzeria se non si sta attenti).

E allora ecco che diventa importante mostrare ai fioi che la scienza ci dà dei mezzi che sta a noi adoperare con oculatezza e criterio, e che la chimica è in un certo senso ‘democratica’ perché mette alla portata di tutti quello che un tempo era privilegio di pochi (i profumi, un tempo appannaggio dei ricchi, sono adesso alla portata di tutte le tasche, e perfino i colori dei tessuti non sono più un modo per discriminare e per incasellare le persone all’interno delle classi sociali, ché un tempo esistevano delle leggi suntuarie che stabilivano i colori indossabili a seconda del sesso, dell’età, della professione e del livello sociale, leggi che adesso son diventate prive di senso grazie alla disponibilità di coloranti adeguati).
Eppoi, mica ci dimenticheremo quel discorso là, quello famoso del “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, vero?

Pubblicato da Bee

Ape per scelta e antigrillista per DNA, ama parlare di sé in terza persona, spargere serenità e buffezza e raccontare le meraviglie del mondo che ci circonda.