RASPUTIN, IL DIAVOLO SANTO – Parte terza

Mentre nelle alte sfere ci si organizzava per far fuori Rasputin, due anni prima qualcuno ci aveva già provato e per poco non ci era riuscito. Nel giugno del 1914, negli stessi giorni delle pistolettate di Sarajevo, in Siberia una sconosciuta accoltellò Rasputin al ventre. Si trattava di Hionja Guseva, una giovane con la faccia sfigurata dalla sifilide, che dichiarò di avere tentato di uccidere lo starec perché lo considerava “un anticristo”. Rasputin, che per diversi giorni rimase tra la vita e la morte, era convinto che dietro il gesto della ragazza ci fossero persone potenti ma la Guseva sostenne sempre di avere agito da sola. L’attentatrice fu dichiarata insana di mente e rinchiusa in manicomio con la prospettiva di marcire là dentro per sempre; l’avrebbe liberata tre anni dopo la Rivoluzione.

A detta di molti, non fu casuale che Rasputin fosse stato messo fuori gioco proprio in quei giorni: contrario alla guerra, in quel momento era l’unico che poteva influenzare lo zar a non intervenire nel conflitto. Del resto, già nel 1908 aveva persuaso Nicola a non entrare in guerra dopo l’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Austria. Lui stesso ha sempre sostenuto: «Se fossi stato a Pietroburgo anziché in ospedale, la guerra non ci sarebbe stata».

Rasputin in ospedale dopo l’accoltellamento subito dalla Guseva nel 1914

Tornato nella capitale, verso la fine dell’anno Rasputin fu al centro di un altro strano episodio: un’automobile, oggetto raro per quei tempi, finì contro la sua carrozza. Data l’eccezionalità dell’evento, lo starec si convinse che si trattava di un altro chiaro avvertimento da parte dei suoi nemici: il messaggio era che la smettesse di ficcare il naso nelle questioni politiche.

Dopo l’attentato della Guseva e lo strano incidente d’auto, Rasputin cominciò a bere smodatamente per soffocare la paura. Nel biennio 1915-1916 il sant’uomo si dette ad eccessi di ogni tipo, tra sbornie colossali e scandali sessuali, il più famoso dei quali è il cosiddetto “scandalo dello Jar”, un ristorante dove si denudò davanti a tutti, mostrano i genitali. Non aveva più freni perché sentiva di avere i giorni contati. Con una guerra in corso Pietroburgo (ora russificata in Pietrogrado) era piena di gente armata e chiunque poteva organizzare il suo assassinio. Tuttavia, di tutti i progetti di eliminazione di Rasputin tramati dalla corte, dai servizi segreti o dallo stato maggiore, solo il piano di un dilettante finì col riuscire: quello del principe Feliks Jusupov.

Il principe viveva all’insegna del lusso e del vizio ed era molto chiacchierato per la sua ambiguità sessuale: di aspetto effeminato, frequentava i night-club vestito da donna ed era talmente convincente da fare strage di cuori maschili. Nel 1914, forse anche per far cessare le dicerie sulla sua omosessualità, aveva sposato Irina, la bella figlia della sorella dello zar, e quel matrimonio aveva imparentato le due famiglie più potenti del paese.

Da tempo Jusupov si era convinto che Rasputin stesse distruggendo la monarchia e che dovesse essere eliminato.  All’indomani di un celebre j’accuse  del deputato monarchico Vladimir Puriskevic di fronte alla Duma, il quale affermò senza mezzi termini che «Rasputin è l’origine di tutti i mali della Russia e della monarchia», Feliks lo andò a trovare e i due decisero che lo starec doveva sparire.

Jusupov era compagno di bagordi del giovane granduca Dimitri Pavlovic, cugino dello zar, famoso in seguito come amante di Coco Chanel. All’epoca dei fatti si vociferava che il principe e il granduca fossero molto più che amici, voci naturalmente mai confermate dai protagonisti. Questi due controversi animatori della vita notturna pietroburghese, ai quali si aggiunsero il già citato Puriskevic, il capitano Suchotin  e il medico Lazavert, esperto di veleni, furono gli artefici del complotto per assassinare il contadino che aveva ormai in mano la Russia.

Feliks Jusupov e la moglie, granduchessa Irina Aleksandrovna.

Un delitto (im)perfetto

L’omicidio fu programmato per la metà di dicembre del 1916; nei mesi precedenti, Jusupov aveva fatto in modo di entrare nella cerchia di Rasputin fingendosi un suo seguace, e aveva recitato così bene la parte che il mistico si fidava di lui ciecamente. Conoscendo la lascivia dell’uno e la bisessualità dell’altro, non mancarono pettegolezzi circa i mezzi usati dal principe per entrare in così breve tempo nelle grazie del contadino.

Il piano prevedeva che Rasputin fosse attirato da solo a Palazzo Jusupov e qui avvelenato con il cianuro durante un festino. Ciò però non era semplice: Rasputin, che viveva nel terrore di essere ucciso, era stato messo sotto scorta e nelle ultime settimane usciva di casa raramente. Sentendosi braccato dalla morte, ripeteva spesso lugubri profezie come: «Mi uccideranno presto, ormai non sono più tra i vivi». Per vincere i sospetti dello starec, Feliks gli disse che voleva fargli “guarire” sua moglie Irina, una delle bellezze della capitale. Rasputin, che non si tirava mai indietro di fronte alla possibilità di conoscere una nuova adepta, soprattutto se giovane e bella, perse ogni cautela ed accettò con fiducia ed eccitazione l’invito del suo futuro assassino. Quindi per attirare in trappola il contadino fu usata come esca sessuale nientemeno che la nipote dello zar; la sua libidine fece il resto.

E infine arrivò la sera del 16 dicembre; qui finisce la storia ed inizia la leggenda, perché sulla notte dell’omicidio rimangono ancora aspetti poco chiari e tutto ciò che abbiamo è la versione  di Jusupov la quale, sebbene alquanto romanzata, non è mai stata smentita da nessuno. Nelle sue memorie il principe scrive che andò a prendere Rasputin in macchina intorno a mezzanotte, eludendo la scorta. Entrarono a Palazzo Jusupov da un accesso secondario e il contadino fu fatto accomodare in un seminterrato, arredato per l’occasione come un lussuosissimo salotto. Qui lo starec attese per due ore di fare l’agognata conoscenza dell’affascinante Irina, che in realtà si trovava in Crimea. Jusupov gli disse che la moglie stava intrattenendo alcuni amici al piano superiore, dal quale arrivavano le note allegre di Yankee Doodle suonata da un grammofono, e che sarebbe scesa non appena gli ospiti se ne fossero andati. Il sempre più impaziente Rasputin venne distratto dal principe con musica, pasticcini imbottiti di cianuro e Madera avvelenato.

Ma ben presto Jusupov si rese conto con sgomento che il mugik resisteva in modo inspiegabile al cianuro che aveva assimilato in quantità industriale, soprattutto col vino. Ai primi segni di debolezza, si precipitò al piano di sopra con la scusa di cercare un dottore e qui, in preda al panico, si sfogò con i suoi complici: Rasputin non moriva! Fu convenuto quindi di ucciderlo con una rivoltella. I fatti a questo punto si fanno confusi e contrastanti: restano tuttora dubbi su chi premette davvero il grilletto, se fu lo stesso Jusupov, il deputato Puriskevic o il granduca Dimitri.

Jusupov sostiene di essere tornato nel seminterrato e di avergli sparato vicino al cuore, dopodiché, convinto che fosse morto, raggiunse gli altri per decidere come disfarsi del cadavere. Rasputin, benché gonfio di veleno e con una pallottola nel petto, riuscì a riprendere conoscenza, ad aggredirlo e a trovare le forze per correre fuori in cortile, mentre lui terrorizzato fuggiva su per le scale. Rincorso da Puriskevic, lo starec fu colpito a pochi passi dal cancello d’uscita con altre scariche di pistola, cadde nella neve agonizzante e qui, infine, venne ripetutamente colpito alla testa con una spranga da Jusupov, ormai in preda ad una crisi isterica.

Con l’aiuto di alcuni domestici il corpo di Rasputin (ma in realtà vedremo che non era ancora morto) fu avvolto in una tenda, trasportato nel bagagliaio dell’automobile e gettato nella Neva attraverso un buco nel ghiaccio, dimenticando però di zavorrarlo con dei pesi. Gli omicidi giurarono quindi solennemente che non avrebbero mai parlato ad anima viva di quella notte.

Epilogo

Il 19 dicembre 1916 il corpo congelato di Rasputin affiorò in un canale presso l’isola Krestovskij. Il cadavere era crivellato di colpi e aveva il viso sfigurato, ma le sue braccia erano sinistramente tese verso l’alto, segno che laggiù, nell’acqua gelata, quella persona era stata gettata ancora viva e benché ferita a morte, aveva lottato per liberarsi dalle corde.

Il cadavere di Rasputin ritrovato nella Neva

Dall’autopsia risultò che vi era acqua nei polmoni e questo confermò che, nonostante le numerose revolverate, il decesso era avvenuto per annegamento e non per le pallottole. Era una cosa a dir poco sconcertante, ma non era l’unica: nello stomaco di Rasputin non c’erano tracce di veleno! Questo fatto dette luogo a numerose supposizioni circa la causa della morte: secondo alcuni storici, nonostante la ricostruzione di Jusupov, l’avvelenamento non fu messo in atto e si procedette all’eliminazione dello starec con metodi più spicci, sparandogli appunto. Secondo altri, l’effetto del cianuro sarebbe stato annullato dagli zuccheri presenti nei pasticcini. Infine, si disse che il dottor Lazavert all’ultimo momento non se la fosse sentita di macchiarsi di un simile peccato e così non mise il veleno nelle pietanze.

Rasputin fu pianto lungamente dai suoi adepti e dalla zarina, che invocava la forca per gli assassini. La sua ultima profezia, pronunciata poco prima di morire, la terrorizzava: «Zar di Russia! Sento che morirò prima dell’anno nuovo… Se il mio assassinio sarà compiuto dai tuoi parenti, sappi che nessuno della tua famiglia sopravvivrà per più di due anni. Li ucciderà il popolo russo». Il “diavolo santo” aveva ragione…

Ma nonostante la rabbia della zarina, gli autori dell’omicidio se la cavarono tutti con qualche mese di esilio in terre lontane senza neanche un processo. Se a Pietrogrado la notizia della morte dell’Anticristo suscitò un’ondata di euforia, in provincia la punizione blanda degli assassini provocò invece grande malcontento, poiché questi privilegiati erano sfuggiti alla giustizia e perdonati dei loro crimini in quanto parenti dello zar.

Rasputin fu sepolto in segreto in una cappella, ma la sua tomba venne profanata da un gruppo di soldati durante la Rivoluzione di Febbraio. Il cadavere fu dissotterrato e dato alle fiamme sul ciglio di una strada. Il corpo bruciò per più di sei ore, mentre soffiava un vento gelido e si alzavano nugoli di fumo acre. Alla fine le sue ceneri furono disperse. Rasputin aveva predetto che sarebbe stato ucciso, il suo corpo bruciato, e le sue ceneri sparse al vento… un’altra delle sue profezie si era avverata.

Pubblicato da Lady Viper

Strega Wicca. Restituisco per tre volte quello che ricevo, nel bene e nel male. Quindi occhio...