Sarà due volte Natale

 

Fu a San Pietroburgo una delle poche volte in cui riuscii ad infilarmi fra coloro che sarebbero tornati a casa per il Natale e l’unica dove, appena rientrato, ri-festeggiai Natale e Capodanno un paio di settimane dopo, circa. Generalmente il Natale a casa significava abbandonarsi ad ogni indecenza alcolico-gastronomica, consci che l’aereo del ritorno avrebbe riportato al rigido salutare assetto precedente, ma in quelle festività, tornare in Russia significò ricominciare da capo con un nuovo Natale e altrettanto Capodanno. I russi avevano una cucina povera e carente con brodini, verze e patate, ma nelle feste è risaputo che con gli alcolici non scherzano. E fu per colpa del calendario Giuliano che il mio fegato aumentò ancor più la sua massa.

 

Dopo aver appurato che i calendari lunari provocavano confusione, Giulio Cesare nel 47 a.c. decise di mettere ordine incaricando l’astronomo alessandrino Sosigene di redigere un nuovo sistema di misura basato sul sole e le stagioni, chiamato successivamente calendario Giuliano. Il 46 a.c. per una serie di riallineamenti fu un anno di 456 giorni, per cui il calendario Giuliano entrò ufficialmente in vigore l’anno successivo, nel 45 a.c. con dodici mesi alternati di 30 e 31 giorni, salvo febbraio con 29 e ogni quattro anni un giorno in più (bis-sextum). L’anno aveva quindi la durata di 365 giorni e sei ore, alcuni minuti in più della realtà che Sosigene considerò trascurabili, ma non Ipparco, che già allora aveva calcolato 365 gg, 5h e 55 minuti, sbagliando di poco. Gli anni successivi contarono un errore di 11 minuti e 14 secondi ciascuno, forse secondari, ma nel 1582 si erano accumulati 10 giorni di ritardo e la Chiesa si pose il problema che con tale errore, prima o poi il Natale avrebbe potuto coincidere con la Pasqua, quindi nello stesso anno il calendario fu riformato da Gregorio XIII prendendo il nome di calendario Gregoriano, quello che usiamo attualmente. La Chiesa Ortodossa non aderì alla riforma e continuò ad usare il calendario Giuliano, che dopo due millenni si differenzia di due settimane (circa) da quello Gregoriano.

 

Ma il titolo era solo un pretesto per introdurre ad altri Paesi, altre feste natalizie e capodanni, alcuni vissuti in ambienti quasi innaturali dalla tradizione di freddo, neve e palline colorate, come l’Equatore, i Caraibi o Stati islamici, con altre date e altri calendari.

 

Berlino è una città unica e affascinante per sé stessa, ma in particolare a Natale assume una caratteristica magica con i suoi mercatini disseminati in ogni angolo della capitale (come le innumerevoli feste della birra estive). È una città con una storia peculiare fin dalla sua formazione, quando diverse cittadine si riunirono per agglomerarsi in un unico centro urbano. Infatti Berlino non ha un solo centro storico, ma vari centri storici disseminati nei tanti quartieri cittadini, gli stessi (ora anche più) che organizzano i mercatini natalizi (e le feste della birra). Ma è stato il fine anno che mi ha sbalordito a Berlino: mi avevano avvertito di non ritrovarmi a mezzanotte in strada, e non avendo seguito il consiglio mai avrei immaginato la Capitale teutonica peggio di Napoli. A mezzanotte è esploso tutto e diversi petardi/fuochi/missili hanno colpito la mia macchina mentre cercavo “disperatamente” di raggiungere la destinazione. Fu un anno in cui credevo molto all’unione dei popoli europei, in quella macchina bombardata dai petardi c’erano quattro nazionalità europee diverse.

 

Le feste caraibiche sono “feste” per antonomasia. L’allegria, la vitalità, la spensieratezza dei centroamericani raggiungono il massimo in ogni ricorrenza arrivando all’apice durante il carnevale. L’isola di Aruba è un protettorato olandese ed è l’unica nelle Antille con maggioranza bianca. (Fu un centro di detenzione per i condannati olandesi, come la Guyana per i francesi) Grazie alla sua vicinanza con il Venezuela, ospitò anche la più grande raffineria del mondo (della “Esso” – “ExxonMobil”) negli anni ‘60/’70 ed ebbe un grande coraggio a riconvertire l’economia nel turismo dopo la sua chiusura, assumendo il motto: “Don’t worry, be happy!”, con grande successo. Quindi per la gran parte di olandesi, nordamericani ed europei, assieme alla minoranza caraibica, il Natale era una festa non dissimile dalla nostra, anche se con riti poco diversi, essendo in maggioranza Protestanti. Ma lo spettacolo più avvincente, in quel pezzo di roccia lungo 15 km e largo 8, era salire in altura e vedere alla mezzanotte di fine anno l’isola completamente illuminata dai fuochi artificiali che ogni abitante acquistava in quantità massicce.

 

Il Rwanda, assieme al suo cugino Burundi, è un Paese profondamente Cristiano in tutte le sue sfaccettature, con una maggioranza Cattolica dovuta al gran numero di missioni e missionari, mentre Gheddafi finanziava opere pubbliche a raffica per ampliare l’islam attraverso il suo potere o viceversa. In quei luoghi di povertà, il Natale assumeva un aspetto completamente diverso dal nostro abituale consumismo. Per i bianchi era un momento di tradizione e di comunione lontano da casa, ma dentro le missioni e le chiese locali veniva praticato nella sua pienezza. D’altronde lo spirito natalizio era spurgato dalle luci e dai brillantini a cui, per la loro miseria, non potevano avere accesso (anche se oggi è diventato uno dei Paesi più sviluppati dell’Africa) Eppure ho sempre avuto la sensazione che non fosse cosa loro, come l’islam e tutto ciò che gli è stato portato da fuori. Durante il genocidio non hanno esitato a sterminare preti e vescovi, solo perché appartenenti a un’etnia differente, come sono state denunciate diverse responsabilità della Chiesa nel massacro rwandese. La nostra favola del bambino Gesù non è universale.

 

Anche in Algeria era una festa che per gli europei assumeva più i contorni di celebrazione occidentale, piuttosto che un intimo sentimento religioso. Il 25 dicembre si chiudeva tutto e i lavoratori algerini restavano a casa contenti. Di rimando anche alla fine del Ramadan, Aid al-Fitr, si chiudeva tutto e mentre gli algerini si sollazzavano dopo un mese di stenti (non proprio digiuno per chi lavorava) noi rispettavamo il loro giorno festivo (chi polemicamente, chi tacitamente e chi solidariamente). In Algeria ho anche trascorso un bel 31 dicembre ad una festa in una piccola locanda situata in un minuscolo villaggio di pescatori chiamato Chetaibi, sul mar Mediterraneo, di fronte alla Sardegna. Non era il capodanno islamico ed era organizzato da algerini. Molti franco-algerini che preferivano festeggiare lontano da occhi polemici.

 

L’anno zero islamico inizia il 16 luglio 622 e si snoda in 12 mesi lunari di 29 e 30 giorni per 354/355 giorni con l’aggiunta degli anni bisestili ogni tre anni, in un calcolo complesso che comprende un ciclo di trent’anni. La sequenza lunare non si sincronizza con le stagioni, che seguono i cicli solari, per questo non esiste un sistema matematico preciso per calcolare una sincronia fra l’anno Ambrosiano e quello islamico. Il capodanno dell’islam cambia ogni anno rispetto al nostro, essendo basato sui cicli lunari mentre la festività islamica che si avvicina al nostro Natale è il Mawlid che cade il giorno 12 del terzo mese (rabia al awal) dell’anno, dove si onora la nascita di Maometto. Essendo l’islam orientato a celebrare il divino, resta sempre in discussione la celebrazione di un essere umano, per cui il giorno della natività di Gesù per i Cristiani non può essere paragonata a quella di Maometto per gli islamici.