Se ne salvò solo una (forse)

Verso la fine degli anni ’70, mentre si iniziarono diversi tentativi per il recupero di giovani disagiati (furono gli anni di Basaglia) a Udine fu concepito un “modello” sperimentale per accogliere ragazze in condizioni precarie (con l’LSD e l’eroina che divagavano da tempo) ma anche sole e orfane coinvolte nel mercato della prostituzione. L’istituto dava a queste ragazzine (provenienti anche da altre Regioni) libertà di movimento, salvo orari precisi per i pasti e il rientro serale. Pure a chi proveniva da un carcere, alle quali si voleva offrire una seconda opportunità.

All’epoca avevo una cara amica che faceva l’istitutrice presso questo centro, alla quale un giorno venne l’idea di coinvolgermi (naturalmente con il consenso della direzione). Fu così che cominciai a frequentare quell’istituto, andando a visitarla, ma lo scopo era (avrebbe voluto essere) intrattenermi con loro, ovvero “imporre” una figura maschile tranquilla, equilibrata, fuori dall’ambiente che avevano vissuto.

 

Achille Molinè – Cartoline dal disagio
Achille Molinè – Cartoline dal disagio

 

Erano circa una quindicina. Ora, dopo tanto tempo, non le ricordo tutte, solo alcune, molte minorenni, ma con pochi anni di differenza, perché anche io ero giovane. Ricordo ancora le battute volgari nei miei confronti da parte di alcune, l’indifferenza da parte di altre e la ricerca di un contatto di poche.

Fu una specie di volontariato (quando quella parola non esisteva ancora). Ci andavo quando il lavoro me lo permetteva e, se all’inizio fui diffidente nei loro confronti, considerandola solo una visita all’amica istitutrice, poco a poco mi feci coinvolgere, anzi, furono loro che mi trascinarono. (Onestamente non fu difficile per un ventenne, farsi coinvolgere da un gruppo di giovani ragazze). Pur sempre restando nei limiti, essendo informato del loro passato e della loro situazione.

Un giorno mi fu chiesto di accompagnare una di queste ragazze a Venezia, presso l’allora carcere minorile, perché doveva ritirare dei documenti o firmare qualcosa, non ricordo. Una bella responsabilità perché non facevo parte dell’istituto e mi venne chiesto come un favore, per non farla andare da sola. Fu la prima e unica volta che entrai in un carcere, se pur minorile, non credo diverso dagli altri. Tutto filò liscio, anche se la ragazzina era dura, non ha mai parlato durante il viaggio in treno, nonostante i miei tentativi di dialogo. E quella durezza la ricordo ancora, a distanza di molto tempo perché non era normale. Ho dimenticato il suo nome, non ho mai saputo cosa avesse fatto, né la sua storia, ma ricordo che aveva 16 anni.

 

Carcere minorile
Carcere minorile

 

C’era una ragazza che conoscevo già, ormai fatta di eroina, alla quale le parole “responsabilità” o “libertà” non interessavano nulla.

Un’altra (più di una) ma questa in particolare, era talmente assorbita dal ciclo della prostituzione, come fosse un vizio.

Nessuna di loro si salvò, anche perchè negli anni successivi, l’AIDS se ne prese una parte, altre nel frattempo morirono di overdose, per cui l’esperimento “responsabilità” e libertà, fallì. Di conseguenza il centro venne chiuso.

Forse sembra facile giudicare ora, ma in quegli anni le conoscenze su droga, prostituzione erano agli inizi, dal punto di vista dell’impatto sociale e del recupero. Senza dimenticare il successivo, ancora sconosciuto, arrivo dell’AIDS. Lì si cercò di attuare un’educazione libertaria con un approccio diverso dalla repressione, creando una casa-famiglia, in quanto quelle ragazze, abbandonate a sé stesse, sarebbero cadute nel baratro comunque.

In realtà la storia non è finita, perché una si salvò: S. la ricordo ancora carinissima, simpatica che poco tempo dopo la chiusura del centro, mi trovai casualmente come vicina di casa. In una casa frequentata da persone dubbie. Era sempre stata diversa dalle altre perché non si prostituiva, non faceva uso di droghe pesanti, a parte gli spinelli, non era mai stata arrestata, ma proveniva da una situazione familiare disastrosa. Avevamo un bel rapporto di amicizia (era di una simpatia unica, amava mia mamma e da lei molto contraccambiata, nel periodo di vicinato) anche se un giorno, mi invitò a casa sua ed aprì un armadio facendomelo vedere pieno zeppo di panetti di hashish.

Naturalmente in una piccola città di provincia non sfugge nulla, tanto che quella casa era tenuta d’occhio dalle forze dell’ordine. Lo scoprii perché avevo un amico nella GdF che un giorno mi chiese interrogò riguardo al traffico che c’era in quel luogo. E gli mentii spudoratamente (non penso mi credette) dicendogli che non ne sapevo nulla, perché l’amicizia con S. era contagiosa e contava di più, lei amava il mondo e probabilmente ne ero un po’ innamorato, tanto che le comunicai la cosa. (Come si dice? Feci la spia.) S. a breve se ne andò, lasciando la casa al suo compagno e a tutta la banda di sballati che probabilmente fu arrestata, perché non me ne interessai più, finché la casa fu riaffittata con nuovi vicini.

Ebbi in seguito sue saltuarie notizie di seconda mano negli anni a seguire, più o meno positive. Poi io sono partito e non l’ho mai più rivista. Non so nulla di lei, spero solo abbia trovato il suo equilibrio. Unica sopravvissuta da quel centro, mi sono sempre augurato abbia trovato la sua strada e che sia ancora viva.

 

Aidez la personne aimée quand elle est prête
Aidez la personne aimée quand elle est prête

 

A me resta un ricordo (non facile da riesumare) di questa esperienza dal finale tragico, nella quale sono stato coinvolto in un’età dove non si capiscono le cose fino in fondo, soprattutto l’idea della morte. All’epoca ho voluto bene a tutte quelle ragazze che se ne sono andate troppo presto. Tutt’oggi, a distanza di tanti anni, provo ancora commozione pensando a quelle giovani, giovanissime vite perse.