Storie dal grande fiume – Due

Stamattina, rinvigoriti da un’ottima colazione, si parte alla volta dell’altopiano di Bolaven, rinomato per la coltivazione del caffè, e lungovìa ci fermiamo in un piccolo villaggio dove quasi tutti si dedicano alla fabbricazione di coltelli e di attrezzi per l’agricoltura:

vuoi forgiando le lame:

vuoi affilandole:

Anche se qualcuno che fa eccezione c’è, come questo pescatore che sta mettendo una catenella metallica sull’orlo della rete da pesca:

Arriviamo sull’altopiano:

e andiamo nel villaggio di Ban Phaleng Neua, in cui vengono coltivate alcune varietà di caffè.
Nel periodo in cui siamo stati, alla fine di gennaio, era la stagione del raccolto di una varietà di caffè destinata all’uso locale perché per noi occidentali ha un sapore troppo forte.
Ecco le bacche di caffè ancora sul ramo:

ed eccole stese a seccare:

Guardandole da vicino si notano i diversi colori assunti dalle bacche:

che diventano via via sempre più scure.
Qui il caffè era disposto su un tavolato sollevato dal terreno, se invece viene steso a seccare su teli direttamente per terra è necessario fare la guardia muniti di opportuna fionda:

per evitare che i maiali, di cui il villaggio è ricco:

vadano a pasteggiare con il prezioso prodotto.
E comunque anche del caffè, come dei maiali, non si butta via nulla: le scorze derivanti dalla lavorazione delle bacche vengono utilizzate come fertilizzante per favorire la crescita delle piante di caffè:

E per finire, la particolarità di questo villaggio: la Casa degli Spiriti, un edificio in legno decorato a mano che si trova al centro del villaggio, in cui si portano le parti del bufalo sacrificale che vengono offerte agli dei dopo la macellazione rituale per propiziare la buona fortuna:

Dopo il villaggio riprendiamo la strada e ci fermiamo a rifocillarci in una graziosa caffetteria con un bel giardino, in cui sono esposti dei tabelloni che raccontano l’origine e la lavorazione del caffè:

eppoi andiamo alle cascate di Tad Yeung, posto incantevole a cui si arriva per una bella strada decorata con bandierine e con lanterne rosse per l’imminente capodanno cinese:

Prima d’incamminarci ci fermiamo un attimo a fotografare un gruppetto di signore nei coloratissimi abiti tradizionali:

eppoi iniziamo a vedere uno spettacolo di acque e di prati, di capanne e di ponti:

Scendiamo lungo un percorso con un’enormità di gradini scavati tra terra e roccia (e fortunatamente muniti di ottimi corrimani) ed arriviamo alla base della spettacolare cascata:

e lì ci fermiamo un bel po’ ad ammirare e a fotografare, e a farci venire i brividi guardando quelli che son rimasti in alto che si spergolano sulla sommità della cascata:

Poi risaliamo in auto e ci spostiamo alla cascata di Tad Fane, molto meno camminereccia dal momento che qualche minuto a piedi ci permette di arrivare ad un grazioso ristorante dove pranziamo sulla terrazza che dà sulla cascata, così mentre mangiamo ci possiamo godere lo spettacolo:

e intanto sostentarci con del buon pollo:

con una zuppa buonissima di carne e verdure assortite:

e con altri piatti di verdure e pesce, oltre all’immancabile riso (in questo caso nel bel cestino di bambù intrecciato):

E dopo aver ben pranzato e un po’ riposato andiamo alle rovine dell’antico tempio di Vat Phou, una splendida zona archeologica in cui un maestoso viale bordato di colonne di pietra:

conduce ad un pianoro in cui ci sono le rovine di due palazzi, uno per gli uomini e uno per le donne, in cui stavano il re con il suo seguito quando veniva qui da Angkor viaggiando su elefanti e percorrendo una strada lunga 240 chilometri, in occasione di una grande festa che si svolgeva in gennaio:

Proseguendo e lasciandosi alle spalle i due palazzi si arriva alla scalinata che porta sulla sommità del venerato monte Phou Kao dove ci sono le rovine del tempio, ed è ornata da un doppio filare di frangipani in fiore, così al gentile spettacolo si aggiunge anche il soave profumo di quei fiori bellissimi:

Al ritorno, ripassando davanti ai palazzi per il re e la sua corte, troviamo una coppia di sposetti che si stan facendo fare le foto e un filmino che verrà proiettato durante la festa di matrimonio:

La sposa indossa l’abito tradizionale laotiano, ha le orecchie un po’ a sventola ma è carina, e mentre io guardo gli sposetti l’omo commenta sfavorevolmente l’uso che il fotografo sta facendo dell’attrezzatura.
E dopo tante avventure (e senza la noce di cocco che tanto desiavamo perché s’era fatto tardi e il bar all’inizio della zona archeologica aveva chiuso) abbiamo ripreso l’auto che ci ha portati all’imbarcadero dove una specie di catamarano ci ha portati all’isola di Don Daeng:

mentre andava in scena un meraviglioso tramonto sul Mekong:

Arriviamo all’albergo e la prima cosa che vedo è una bella collezione di porcellane su cui immantinente si posa il mio sguardo concupiscente:

ché le porcellane sono una delle mie passioni:

E dopo le porcellane, un po’ di riposo e una doccia (con l’acqua fredda, sgruntissimo, mi sa che la comitiva di turisti francesi che abbiamo visto a cena ha deciso di lavarsi proprio quando ci si stava lavando pure noi) siamo andati a cena, e lì ho avuto l’occasione di mangiare una delle migliori squisitezze che io abbia mai assaggiato, il pesce stufato nel bambù, con contorno di verdurelle sante e l’immancabile riso:

A seguire della buona frutta (il frutto in primo piano è il dragonfruit, per i miei gusti è più bello che buono, però è bellissimo):

eppoi l’amato sticky rice with mango, qui con l’inusuale accompagnamento di gelato al cocco:

Eppoi a dormire, ché il giorno seguente altre avventure ci attendono.

Pubblicato da Bee

Ape per scelta e antigrillista per DNA, ama parlare di sé in terza persona, spargere serenità e buffezza e raccontare le meraviglie del mondo che ci circonda.