Storie dal grande fiume – Tre

Il mattino dopo, corroborati da una buona colazione (che comprende anche il Pho, la squisita zuppa vietnamita in cui si possono far mettere ingredienti a piacere), prima di prendere la barca che ci porterà verso la successiva tappa del nostro viaggio ci facciamo una passeggiata lungo la riva del Mekong.
Ecco, camminare sulla sabbia è sicuramente faticoso, però che incanto la mattina presto sul lungofiume, con le persone che vanno a lavorare agli orti lungo la riva e le vacche che prendono posizione sulla spiaggia:

Eppoi si prende il catamarano della sera precedente e, nel fresco del mattino ed attraversando paesaggi da favola, si va a riprendere l’auto che ci porterà all’imbarcadero per le 4000 isole.
Sulla riva è ormai troppo tardi per assistere all’arrivo delle barchette che portano le mercanzie in vendita al mercato, ma il mercato c’è ancora ed è la consueta festa di colori:

Eppoi si va ad esplorare la zona delle 4000 isole, c’è la consueta pace ultraterrena dei luoghi d’acqua nel sudest asiatico:

e muovendoci tra ciuffi d’alberi, bufali, barchette dei locali arriviamo alle isole di Don Kone e Don Det, che son vicine e collegate da un ponte, fatto dai francesi nella seconda metà dell’Ottocento, su cui un tempo passava anche la ferrovia, e questa è la locomotiva del treno che i francesi hanno usato dal 1870 al 1930:

(nel 1945 sono arrivati i giapponesi con una ferrovia a scartamento ridotto che però è durata pochi anni).
Sempre a bordo di una specie di triciclo a motore che ci scarrozza per ogni dove (e meno male, ché faceva un caldo ciciòn) visitiamo un piccolo tempio eppoi andiamo ad una cascata, nel punto in cui il Mekong smette di colpo di essere un placido fiume navigabile per diventare una trappola mortale di rapide:

Il posto è, neanche a dirlo, bellissimo, con una bellezza tutta sua ch’è completamente differente da quella delle cascate viste il giorno prima:

Ci son gruppetti di scellerati che si buttano con una teleferica:

e passano sopra alla cascata facendosi i selfie con l’aggeggio apposito, e intanto vengono a loro volta fotografati dai turisti a terra (mentre l’omo dal canto suo fotografa tutti loro):

Mentre visitiamo questo luogo bellissimo, l’omo provvede alle fotine di rito e nell’infrattempo rallegra la nostra visita intrattenendomi con un’ispirata esecuzione de “L’oselìn de la comare” (e intanto io mi auguro che non ci sia in giro nessuno da Trebaseleghe o da San Pietro in Gù che ci faccia fare una figuraccia).
Poi si va a pranzo, pesce del Mekong e verdure cotte a vapore in foglie di banana:

(bono, ma non come il pesce stufato della sera precedente).
Eppoi si prende la barchetta per tornare indietro:

e, ripresa l’auto, si va a visitare una ‘fabbrica’ di spaghetti di riso, i famosi noodles che da queste parti sono pressoché onnipresenti.
In realtà la fabbrica di spaghetti è costituita da una famiglia che lavora alla loro produzione preparando una pappetta con la farina di riso e l’acqua e facendone dei dischi che vengono cotti a vapore eppoi messi su dei telai di bambù ad asciugare all’aria, e alla fine passati per una macchinetta che li riduce a spaghetti:

Lo spettacolo è molto interessante ma un po’ schifosante: mosche dappertutto, polvere, cani che si aggirano liberamente tra i dischi di pasta messi ad asciugare; come al solito, qui vale il principio che ‘quel che non strozza ingrassa’ (e, d’altro canto, i noodles vengono sempre cotti in acqua bollente eqquindi si spera che un bel po’ di schifezze vengano eliminate).
Riprendiamo la nostra strada e ci dirigiamo verso l’albergo in cui pernotteremo, passando accanto ai campi in cui le giovani piante di riso stanno crescendo:

e alle rive del Mekong, in cui i pescatori stanno gettando le reti:

E per cena, Hot pot, ma di quello abbiamo già parlato…

Pubblicato da Bee

Ape per scelta e antigrillista per DNA, ama parlare di sé in terza persona, spargere serenità e buffezza e raccontare le meraviglie del mondo che ci circonda.