Sul pensiero anti-occidentale e sul Venezuela

Pensieri di una notte insonne I.

 

– Versione lunga

Ripensando alla rabbia, all’indignazione provate dopo l’intervento americano che diede inizio alla Seconda Guerra del Golfo, devo ammettere che allora non avrei immaginato che un giorno avrei scritto in difesa degli Stati Uniti, del suo esercito, e dell’intervento armato in Venezuela. Eppure, se la mia opinione sul Venezuela e la Rivoluzione Bolivariana è cambiata molto in questi anni, passando dalla speranza ingenua ed entusiasta alla delusione senza attenuanti, quella sulla Seconda Guerra nel Golfo non è cambiata. Solo, troppe volte ho sopportato l’anti-americanismo a priori che vede negli Stati Uniti l’origine di tutti i mali—condannati qualsiasi cosa facciano—ed assolve i peggiori carnefici. Così, di fronte al penoso spettacolo di chi difende ancora Maduro, magari ipocritamente nel nome del principio di non ingerenza, ho perso la pazienza ed ho deciso di scrivere qualche frase fuori dalle righe, come piace tanto ai populisti. Queste note non sono però solo uno sfogo arrabbiato, ma anche una riflessione, serena, ma dolorosa, sui miei errori del passato, Come è facile seguire qualcuno solo perché si mette il cappellino con su scritto  “amico dei poveri!” È facile e ci fa sentire bene, dalla parte dei giusti, anche se nulla rischiamo. A volte però l’amico dei poveri si trasforma nella loro rovina. Farsi vincere dal fascino del condottiere di turno è un’ingenuità commessa in buona fede, ma anche per arroganza, e non priva di colpe. Jorge Amado che, a differenza mia, ha combattuto per ciò in cui credeva rischiando e pagando in prima persona, in una meravigliosa intervista ricordava come avesse pianto il giorno della morte di Stalin, salvo poi essersi odiato qualche anno dopo, quando i crimini del despota comunista vennero resi pubblici e noti anche fuori dall’URSS.

2001, L’anno della distruzione delle due torri gemelle. In conseguenza dell’attentato, George W. Bush decide di invadere prima l’Afganistan, poi l’Iraq. Fui favorevole al primo intervento, anzi sostenevo già da anni la necessità di porre fine al pericoloso regime dei talebani. Oggi i talebani sono ancora lì anche se forse non costituiscono più un pericolo per gli Stati Uniti e l’Occidente [1]. Se l’obiettivo era quello di liberare il Paese, l’Occidente ha però fallito e c’è il rischio che l’Afganistan sprofondi presto di nuovo nel Medioevo [2]. Non è comunque una sconfitta solo statunitense: né la Russia né i Paesi limitrofi amano i taliban, eppure tutti, in qualche modo, sono venuti a patti con loro, anche prima degli americani.

All’invasione dell’Iraq reagii viceversa con sdegno. Sin dall’inizio era chiaro a che l’Iraq nulla aveva a che vedere con l’attentato alle torri gemelle così come era chiara l’assenza di prove dell’esistenza di arsenali di distruzione di massa in mano all’Iraq. Saddam Hussein è stato senza alcun dubbio un dittatore sanguinario, ma dopo la Prima Guerra del Golfo non costituiva più un pericolo per i paesi limitrofi, e mi chiedevo quante vite irachene ed americane sarebbe costata quella guerra, quanta distruzione, e se una vittoria avrebbe davvero portato la pace e la democrazia o se avrebbe invece rafforzato gli estremisti e l’Iran.

In quegli anni Chávez era all’apice della sua popolarità in patria ed all’estero. Ammetto che per un certo periodo guardai con ammirazione a quell’uomo che appariva come un liberatore dei poveri e che sfacciatamente si prendeva gioco di Bush. Col senno di poi, mi rammarico della mia ingenuità.

Criticare gli Stati Uniti, non condividere alcune scelte in politica estera, non significa essere anti-americani. Se aver criticato la guerra in Vietnam fosse anti-americano, allora anche un veterano come John Kerry sarebbe anti-americano. Se criticare la Seconda Guerra del Golfo fosse anti-americano, allora anche Barack Obama e Donald Trump sarebbero anti-americani. (Quest’ultimo ha asserito di essere stato da subito contrario alla guerra, cosa che non corrisponde alle affermazioni del periodo bellico [3], ma questa discrepanza fra i fatti ed il loro ricordo, per lui non inconsueta, non ha qui importanza.) All’epoca della guerra in Iraq i miei sentimenti andavano però oltre la critica: provavo rabbia genuina. Avevo dimenticato, ed oggi me ne vergogno, che se anche il Presidente degli Stati Uniti e quello britannico avevano mentito, pure chi combatteva lì lo faceva non solo per servire la propria Patria, ma anche nella speranza che sconfiggere un despota avrebbe potuto aiutare i suoi sudditi. La speranza era sin dall’inizio forse ingenua, ma ciò nulla toglie alla generosità ed al coraggio di chi lì ci ha creduto. Giudicare sbagliata la guerra in Vietnam o la Seconda Guerra del Golfo–ed io sono convinto che entrambe fossero sbagliate–non deve farci dimenticare l’eroismo dei soldati americani che lì hanno combattuto, sono rimasti feriti, e sono morti.

John Kerry, candidato democratico alla Presidenza nel 2004 e Segretario di Stato dal 2013 al 2017, combattente decorato durante la Guerra del Vietnam, e membro dei Vietnam Veterans Against the War (VVAW)
John McCain, eroe della guerra del Vietnam, ricordato con onore anche nel Paese dove ha combattuto
Donald Trump, attuale Presidente degli Stati Uniti: la sua opposizione alla Guerra del Vietnam fu subito fermissima, tanto da procurargli una patologia temporaneamente invalidate al ginocchio; la sua opposizione alla Seconda Guerra del Golfo fu immediata, almeno secondo le sue dichiarazioni successive di qualche anno
Tulsi Gabbard, veterana della Seconda Guerra del Golfo, membro del Congresso, candidata alla nomina democratica per le Elezioni Presidenziali, e fiera oppositrice della Guerra in Siria

Criticare la politica estera degli Stati Uniti è lecito, talora doveroso, ed il dibattito interno è stato in molti casi aspro. Alcuni però nella loro smania anti-americana mostrano una grottesca asimmetria. È una storia vecchia. Come sono state tiepide le reazioni di molti di fronte all’invasione sovietica dell’Ungheria, della Cecoslovacchia, e della Polonia! In quanti hanno criticato, giustamente, l’ingerenza statunitense in America Latina fino agli Anni Settanta, ma poi non solo non hanno condannato, ma hanno addirittura elogiato la dittatura castrista. In occasione della morte di Fidel Castro, Jean-Luc Mélenchon ci ha regalato un commosso omaggio al limite dalla venerazione [4]. L’intervento occidentale in Iugoslavia non fu privo di errori: ad esempio, forse una soluzione diversa, o almeno in tempi diversi, per il Kossovo sarebbe stata auspicabile. Eppure furono in tanti a scandalizzarsi, dimenticando che quell’intervento almeno ha posto fine al caos inter-etnico ed al genocidio. Dimenticando anche che dopo la guerra le forze di interposizione occidentali permisero ai serbi di continuare a vivere in Kossovo, proteggendoli dal risentimento albanese. Il leader di un partito della destra italiana descrisse, in un discorso al Parlamento, i bosniaci come “immigrati.” Peter Handke partecipò alle esequie di Milošević. Non troverete gli stessi sdegnati campioni del principio di non ingerenza mostrare altrettanta indignazione di fronte alle ingerenze russe in Georgia, ai decenni di guerre civili fomentate da Mosca, che in Abkazia arrivò a spalleggiare un tagliagole come Shamil Basayev [5]. Anzi, Kusturica accettò persino il ruolo di ambasciatore russo di buona volontà in Abkazia [6]. Non troverete una parola di sdegno di fronte alla pulizia etnica di mezzo milione di persone permessa dal Cremlino. Facile chiamare “pace” un deserto, com’è oggi la regione di Tskinvali. Provate a prendere un secchio pieno di sabbia. Uno ad uno, prendete un granello di sabbia e deponetelo in un altro contenitore, fino a quando non avrete spostato mezzo milione di granelli di sabbia. Per ognuno di essi, immaginate il volto di una persona che ha perso tutto. Non credo che riuscirete a completare l’esperimento. L’ex-parlamentare europeo Giulietto Chiesa però a chi dà la colpa di questo crimine? Ma all’Europa ed all’Occidente ovviamente [7]! Bisogna riconoscere per altro che, per convenienza economica, anche i Governi occidentali di fronte alla tragedia georgiana si limitarono a qualche timido mugugno, e che i grandi organi di stampa si disinteressarono di ciò che lì accadeva, lasciando il campo alla disinformazione di testate schierate. Quando il termine “fake news” non era ancora popolare, ma la menzogna già diffusa, quanta informazione distorta sulla Georgia giornali di parte hanno vomitato da noi, ed a quante falsità ho creduto!  In Ucraina le cose sono andate un po’ meglio, almeno qualche reazione c’è stata, ma quanto disprezzo e quante menzogne hanno dovuto subire gli ucraini, e su quanta poca solidarietà hanno potuto contare! E la disinformazione è oggi anche peggiore, più organizzata, più sfacciata. D’altronde, sostengono i putinisti, la verità non può essere determinata, e la Storia solo la ”versione su cui ci si è accordati,” come recita una frase attribuita a Stalin. Ne consegue che gli articoli sul New York Times o di giornalisti rispettati come Paul Salopek o Marie Colvin hanno lo stesso valore del ciarpame che troll mercenari diffondono sui social. O almeno a qualcuno così farebbe comodo.

Persino il tributo di sangue americano per liberare l’Europa dal giogo nazista viene sminuito e gli eroi di del D-Day vilipesi. In internet è possibile trovare le teorie più disparate. Infondo, alcuni pensano che senza gli americani avremmo vinto la guerra, ed il dettaglio che a vincerla in realtà sarebbe stato Hitler è trascurabile. Altri rimpiangono la felicità che ci avrebbe portato la liberazione russa: la stessa che ha portato in fortunatissimi Paesi come l’Albania, la Romania, e la Polonia. A proposito dei primi, recentemente, in occasione delle ridicole tensioni con la Francia provocate dai i populisti nostrani, sempre in cerca di distrazioni dai loro fallimenti economici, ho notato una certa aria di revanscismo. Sostanzialmente, vengono rivangati vecchi rancori che già tanto male hanno portato ad entrambe le Nazioni e si rinfaccia alla Francia di non aver vinto la guerra con l’Italia. Vero, la Francia ha avuto l’aiuto fondamentale statunitense e britannico, ma è anche vero che noi abbiamo avuto quello tedesco, altrettanto fondamentale nella sconfitta francese nella prima parte della guerra. Si dimentica poi che Germania ed Italia erano dittature, ma, di nuovo, questo è un dettaglio: nel mondo postmoderno delle verità speciali chi può distinguere fra democrazia e dittatura [8]?

Fra i critici a priori gli Stati Uniti non vanno dimenticati i maestri dell’anticonformismo, pronti a smascherare tutte le ipocrisie e gli orrori della Democrazia occidentale, dall’alto delle loro sicure cattedre in università americane. Il campione indiscusso di questi maestri è Noam Chomsky, venerato santo laico in vita dei perenni contestatori. Critico fermissimo della Guerra del Vietnam, fu assai meno fermo nel condannare i regimi comunisti che insanguinarono il Sud Est asiatico, regimi che spesso ancora oggi sono al potere, e continuano a sopprimere brutalmente ogni forma di dissenso. Chomsky arrivò a negare in diverse sue opere il genocidio cambogiano. I poveri e le vittime hanno sempre torto; alcune però pare non meritino nemmeno il ricordo.

Se il male sono gli Stati Uniti, dove trovare il bene? Ma nella Russia, ovviamente. Sarebbe più corretto dire ‟in Putin,” ma per i suoi sostenitori Putin è la Russia. Il leader si identifica col suo popolo. Al sovranista non piacciono i distinguo, le minoranze, le critiche, a meno che, ovviamente, non sia lui a criticare. Chi è contro l’Uomo Forte è quindi contro la Patria, un traditore. In altri tempi ovviamente anche Pertini ed i fratelli Scholl sarebbero stati dei traditori, e magari, con un po’ di revisionismo ed un po’ di uno-vale-uno, qualcuno potrà tornare presto ad affermarlo pubblicamente e sfacciatamente.

Per alcuni la Russia è la continuazione dell’URSS; per altri un modello di difesa della tradizione e dei valori cristiani. I primi, pronti a descrivere Macron come un affamatore aristocratico nemico del popolo, probabilmente rimarrebbero delusi realizzando che la Russia di oggi è un Paese a tutti gli effetti capitalista e quello fra i Paesi evoluti con il più ampio divario sociale fra ricci e poveri [9]; i secondi rimarrebbero delusi nel sapere che nel 2020 un quinto dei cittadini della Federazione Russa sarà di religione islamica [10], che i cittadini dei Paesi dell’Asia Centrale a maggioranza mussulmana che facevano parte dell’URSS possono entrare in Russia senza visto, e che le leggi contro il proselitismo in Russia colpiscono anche la Chiesa Cattolica. O forse no: forse sanno tutto ciò benissimo, ma hanno comunque bisogno di un modello da contrapporre all’odiata Democrazia Liberale, un po’ come i comunisti di un tempo che sognavano il paradiso dei lavoratori, una Nazione dove lo sciopero era illegale.

Un esempio di questo amore populista per la Russia, o forse solo per il suo leader, è dato dalle reazioni dei leader sovranisti alla guerra in Ucraina. Per giustificare l’invasione russa si è parlato dell’interferenza occidentale negli affari ucraini; si sono citate le promesse non mantenute di non allargare ad Est la NATO, promesse forse anche vere, ma mai scritte; si è descritto il referendum separatista votato nella Crimea sotto occupazione russa come esempio di scelta democratica (come Putin lo ha definito). Si ci è dimenticati, però, che le interferenze non sono state solo occidentali: si è dimenticata la cura di bellezza alla diossina del Presidente Viktor Yushchenko ed il processo farsa a Yulia Tymoshenko. Si è dimenticato che la Federazione Russa non si è limitata ad interferire nella vita politica dei Paesi limitrofi, ma che in quella dei Paesi dell’Unione, finanziando partiti dell’estrema destra come il Front National [11]. Si ci è scordati del Memorandum di Budapest, con cui la Federazione Russa, insieme ai Paesi occidentali, si impegnava a rispettare l’integrità territoriale ucraina, in cambio della cessione dell’arsenale nucleare ucraino [12]. Si ci è dimenticati che oggi Ucraina e Georgia non possono entrare nell’Unione Europea e nella NATO, nonostante la volontà di larga parte della popolazione, perché l’Europa ha paura di Putin. Si è dimenticato che non basta un referendum per violare l’integrità territoriale di uno Stato: certamente la maggioranza degli abitanti di Danzica avrebbe votato per l’annessione al Reich nel 1939. Si è dimenticato che i referendum separatisti sono proibiti nella Federazione Russa. Anzi, solo parlare di maggiore autonomia può portare a severe condanne [13]. Si è dimenticato che l’arroganza russa è arrivata a trasformare il Regno Unito in un terreno di caccia per dissidenti e disertori russi, con anche qualche vittima collaterale britannica: i sovranisti hanno rispetto per la sovranità nazionale solo quando fa loro comodo.

Marine Le Pen, che ha ricevuto nove milioni di euro dal Cremlino
Viktor Yushchenko, dopo la cura di bellezza alla diossina

Che cosa voleva Putin? Come ci ricorda Nemtsov [14], in Georgia come in Ucraina, una guerra a fini elettorali. In questo c’è forse qualche affinità con le scelte di George W. Bush con la Seconda Guerra del Golfo; solo, non è possibile trovare alcun onore nelle azioni dell’esercito russo, o dei mercenari che al soldo di Mosca hanno portato morte in Ucraina: l’esercito russo non ha combattuto un despota; ha solo riaffermato la propria forza, scegliendo vittime quasi inermi. Dov’è la gloria nel bullismo? Vero, Putin avrebbe potuto conquistare i due Paesi, ma il prezzo politico da gestire sarebbe stato ben più alto. Eppure molti fra coloro che hanno criticato Bush hanno lodato, o almeno giustificato, Putin. Bisogna capirli: per quanto la guerra di Bush fosse basata su menzogne e pretesti, Saddam era pur sempre un nemico dell’Occidente ed un manesco Uomo Forte, e questi per alcuni sono comunque dei pregi. Al contrario, Putin ha combattuto gente che voleva e vuole ancora essere più simile all’Occidente, che vuole allontanarsi dal modello autocratico di Mosca, e tanto basta a chi disprezza la nostra Democrazia per rendere le vittime del despota moscovita colpevoli e sacrificabili. Gli stessi che ancora oggi ricordano continuamente le interferenze statunitensi in Sud America negli Anni Settanta rivalutano la teoria delle “sfere di influenza,” quando la sfera di influenza è quella russa. Come ci ricorda Svetlana Alexievich [15], nonostante il disprezzo dei sovranisti, e nonostante il debole sostegno occidentale, l’Ucraina, dopo aver pagato un prezzo altissimo, guarda comunque al futuro cercando, fra mille difficoltà, di rafforzare la propria democrazia. La Russia invece guarda al passato, perduta nei suoi sogni imperiali. E i Paesi dell’ex-URSS che sono rimasti vicini alla Russia sono in buona parte governati da amatissimi presidenti eletti con percentuali sopra il 90% dei voti. Comunque, se domani Putin dovesse invadere la Bielorussia, sono certo che i valorosi campioni della sovranità nazionale troverebbero una valida giustificazione per l’annessione di un’intera Nazione [16].

Boris Nemtsov, autore di un memoriale sulle guerre di Putin, ed una delle tante vittime, fra gli oppositori di Putin, di tragici incidenti (in questo caso al piombo). La sua memoria fu infangata da troll professionisti, putinisti per passione, e Melenchon. Per l’omicidio la Federazione Russa ha condannato cinque cittadini ceceni di cui almeno uno faceva parte delle forze di sicurezza di Kadyrov. I cinque si erano radicalizzati e non hanno trovato di meglio che andare ad ammazzare un politico dell’opposizione a Mosca.
Anna Politkovskaya. Recitare il ruolo del “giornalista” rivelatore di verità alternative o dell’intellettuale anti-occidentale in Occidente può portare fama, denaro, successo; aprire le porte delle case editrici e della politica. La verità è così noiosa e faticosa: a noi piacciano, nella politica come nella scienza, gli esteti delle teorie alternative ed i venditori di miracoli. È molto più furbo e più sicuro ed a noi i furbi piacciono, anche quando si arricchiscono alle nostre spalle. Criticare il Governo russo in Russia spesso porta alla pace eterna. Ma non è colpa di Putin: lui fa quel che può per evitare simili incresciosi incidenti, ma la Provvidenza si accanisce su di lui, come su Giobbe, l’uomo probo di cui vuole provare la fede. Lui è la “prima vittima” di queste fatalità. Se le vittime secondarie (quelle che sono crepate) si fossero rese conto di quanto male avrebbero portato a quel brav’uomo, non se la sarebbero andata a cercare.
Il gelsemio, omaggio floreale ricevuto dall’esule russo riparato nel Regno Unito Aleksandr Perepilichny. Fra le sue proprietà curative c’è anche quella di portare al paziente una calma irreversibile. Di nuovo, la malasorte si abbatte sui critici del Cremlino (o del figlio ceceno prediletto dello Zar) nelle forme più disparate: piombo, piante esotiche, gas nervino, polonio, diossina, tritolo…. Ma abbiamo già stabilito che si tratta solo della provvidenza, o forse sono gli oppositori del di Putin che vogliono screditarlo. Oppure è solo una coincidenza, seguita da un’altra, seguita da un’altra, …. Certo, quando i morti si contano a parecchie decine, chi è in malafede può avere qualche dubbio. Ma poi infondo la cosa non ci riguarda, giusto? Nemmeno quando queste cose avvengono in Europa, a casa nostra, e quando, come nell’incidente di Salisbury, ci rimettono la pelle anche cittadini europei. L’importante è continuare a fare affari: anche i putinisti hanno il loro lato pragmatico, capitalista. E poi anche la CIA lo fa: non si contano i giornalisti ed i politici statunitensi ammazzati dalla CIA. Ad esempio c’è… c’è… humm… in questo momento non mi viene in mente nessuno. Ah, sì, Kennedy! Lo dice persino il film di Oliver Stone! E se lo dice Oliver Stone, mica può essere una balla.

Ricordo la pessima intervista di Jean-Claude Juncker prima del referendum olandese sul trattato fra Unione Europea ed Ucraina. Juncker sostenne che il trattato andava votato perché altrimenti l’Unione sarebbe stata in pericolo. Niente di più falso, anche se forse questa prospettiva avrà indotto qualche elettore di estrema destra a votare contro. Il trattato andava votato perché non farlo significava sputare in faccia non ai politici ucraini, spesso mediocri, ma a milioni di ucraini che hanno creduto in noi. Invece la Destra olandese si è schierata dalla parte di un despota i cui sicari hanno le mani insanguinate anche di sangue olandese. Non aver votato quel trattato non ha indebolito le istituzioni europee, ma ha umiliato i cittadini dell’Unione e dell’Ucraina.

Un esempio ancor più grottesco viene dall’atteggiamento dei putinisti verso la Turchia di Erdoğan. Il nemico dell’Europa, l’uomo che, a sentir Mosca ed i suoi sostenitori, finanziava lo Stato Islamico comprando petrolio dai terroristi, è stato purificato da ogni peccato con una stretta di mano scambiata col collega Uomo Forte del Cremlino e con l’acquisto di qualche missile. Tanto poco ci vuole per redimersi! I metodi brutali del Sultano hanno cessato di essere metodi criminali e, tanto simili a quelli dello Zar, sono diventati una prova del carattere risoluto di una guida sicura. Del resto, anche Mohammed bin Salman ha riscattato la crudele Arabia Saudita amica degli americani e finanziatrice dei terroristi islamici con un semplice abbraccio con Putin.

Nemmeno lo sport è rimasto illeso. Per negare l’evidenza del doping durante le olimpiadi invernali di Sochi, i nostri putinisti hanno elaborato un vasto campionario di fantasiose teorie complottiste, salvo poi essere smentiti dalle ammissioni del Governo russo. Durante le olimpiadi del 2016 ricordo persino gli insulti putinisti sul web a Lilly King e la difesa di Yulia Efimova che qualche troll nostrano definiva ‟pulita” [17].

L’anti-americanismo ha una lunga tradizione in una parte della Sinistra europea. Il Partito Comunista italiano ad esempio per lungo tempo ha fatto uso di una retorica ostile alle istituzioni atlantiche dai toni fortemente anti-americani. La propaganda serviva ad attirare elettori ed a rafforzare l’identità politica, come oggi la propaganda anti-globalista del M5S e della Lega. Allora come oggi, agli strepiti dell’estremismo non corrispondeva il pragmatismo dei dirigenti. Le bandiere rosse ed i canti rivoluzionari non portarono alla rivoluzione proletaria, così come le bandiere verdi ed i raduni celtici della Lega Nord di Bossi non portarono alla secessione del Nord Italia, e nemmeno alla fine dello statalismo assistenzialista e parassitario, che anzi si è rafforzato negli anni. Così, difficilmente gli strepiti sovranisti del M5S e della nuova Lega di Salvini porteranno all’uscita dell’Italia dall’Unione Europea o dall’Euro. La chiassosa coreografia comunista non fu però senza danni: contribuì al sorgere del terrorismo in Italia, e contribuì al mantenimento di una cultura politica statalista e dirigista, e soprattutto diffidente della democrazia. Ugualmente, oggi non è senza danni la coreografia di diverso colore che ha sostituito quella marxista: contribuisce alla sfiducia nelle istituzioni europee, al senso di isolamento italiano, al rancore ed alla paranoia verso i “nemici esterni,” su cui la classe politica italiana da sempre scarica le colpe della propria inefficienza; contribuisce alla xenofobia, alla sfiducia nella scienza, al bigottismo. Allora come oggi, la diffidenza verso la cultura liberale e quella socialdemocratica serve a rendere più coesa la base elettorale, ma nuoce alla vita democratica ed all’economia del Paese.

L’anti-americanismo classico, con la sua retorica anti-capitalista, sopravvive in alcuni partiti dell’Estrema Sinistra come La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, così come in una parte del M5S. Quest’ultimo è però una forza dall’ideologia ambigua e contraddittoria, che ha mostrato spesso sensibilità agli interessi economici di Washington in Italia. Nella Lega, così come in molti partiti della destra populista europea, prevalgono un’affinità ideologica col nazionalismo internazionalista di Bannon ed un’affinità propagandistica con le tesi e le forme comunicative di Trump. Non si tratta di simpatia per gli Stati Uniti in quanto Nazione, come modello della società aperta liberale che sopravviverà anche al quarantacinquesimo Presidente, ma unicamente verso il leader e quella parte della Destra americana che lo sostiene. Anche se non anti-americani, molti di questi partiti hanno spesso una forte diffidenza sia verso le istituzioni europee sia verso quelle atlantiche. Questo idillio basato sul fascino del leader potrebbe venir meno se la situazione politica statunitense cambiasse. Nel frattempo, comunque, i partiti nazionalisti europei cercano un rapporto diretto con l’amministrazione Trump e le forze affini, scavalcando ed indebolendo le istituzioni europee, e facendo il gioco di chi, nella Destra repubblicana, vede nell’Europa unita un pericoloso concorrente economico.

Nonostante queste differenze, la politica estera di questi partiti ha una solida base ideologica comune. Filosofi come Dugin—ed altri meno inclini all’azione—hanno contribuito a sviluppare l’idea di “mondo multipolare” [18,19]. Dietro la bella espressione c’è il sogno di una grande alleanza mondiale contro la Democrazia Occidentale. La loro ideologia sostiene che anche modelli di governo lontani dal nostro sistema democratico possano avere un largo consenso popolare. Ciò è, sfortunatamente, spesso vero. Nell’Italia fascista il sostegno a Mussolini era forte. Così quello di Putin in Russia, almeno fino al varo delle necessarie, ma impopolari, recenti riforme economiche. Probabilmente persino il sostegno ad un leader fallimentare sul piano economico come l’Uomo Forte del Turkmenistan, Gurbanguly Berdimuhamedow, od all’istrionico quanto brutale leader ceceno, Ramzan Kadyrov è maggioritario, anche se forse non quanto confermerebbero le elezioni che questi cari leader vincono con percentuali grottesche. Il pensiero debole e la dottrina multipolare, però, nel dare uguale dignità alla democrazia ed alla dittatura (o forse persino minore dignità alla democrazia, visto che alcuni usano la libertà concessa per indebolirla), rendono impossibile condannare qualsiasi sopruso verso le minoranze, politiche o culturali. Del resto il sovranismo tende alla mediocrità, e non vede di buon occhio il dissenso e la diversità. Qualche volta comunque manca persino il sostegno di larga parte della popolazione e regimi magari un tempo popolari sopravvivono oggi solo con l’oppressione violenta da parte di un’oligarchia che controlla l’esercito, ma è odiosa ai più. È questo il caso del Venezuela, dove ormai le elezioni presidenziali sono una farsa ed il regime continua a governare solo con brogli ed intimidazione. Paradossalmente, il populismo che tanto blatera di lotta contro le élite alla fine giustifica i soprusi di una minoranza di ammanicati del Partito di Governo e di suoi clienti. Il pensiero debole, nato anche come reazione all’eurocentrismo culturale coloniale, fallisce miseramente come strumento di liberazione dei Paesi più poveri e si trasforma in giustificazione delle oppressioni più brutali. Anzi, nell’assolvere il dittatore di turno—in questo caso Maduro—rende possibile anche la collaborazione col suo regime. In questo modo legittima una forma di colonialismo non molto diverso da quello che pure spesso le Potenze occidentali hanno esercitato dopo aver abbandonato formalmente le colonie: un colonialismo per interposta persona, dove a fare il lavoro sporco era il dittatore locale. La dottrina di Dugin poi resuscita gli orrori dello storicismo: anche i crimini peggiori sono giustificabili, purché perpetrati in nome dell’ideale multipolare ed anti-americano. “Uccidi, uccidi, uccidi” era il consiglio di Dugin in Ucraina. (La frase gli costò il posto di Direttore della Facoltà di Sociologia dell’Università Lomonosov: la Russia non è solo Dugin, per fortuna.)

Gurbanguly Berdimuhamedow, gioviale ed amatissimo leader del Turkmenistan, eletto col 97% dei voti
Ramzan Kadyrov, gioviale ed amatissimo leader della Cecenia, eletto col 98% dei voti, uomo con due padri essi pure leader amatissimi, glorioso combattente che tanto ha fatto per la sua Patria, premuroso anche coi concittadini espatriati. Come nel caso del suo secondo padre, criticare il leader costituisce un fattore di rischio.
Asexandr Dugin, filosofo e politico neo-eurasiatico, già leader nazional-boscevico, teorico del multipolarismo e della quarta teoria politica. Nel tempo libero sogna di ridisegnare le mappe di due continenti.

C’è quindi in alcuni partiti europei un sentimento di diffidenza verso gli Stati Uniti che esprime una più generale diffidenza verso la Democrazia Liberale. Non sorprende dunque che il sostegno a Maduro non sia limitato solo a parte all’Estrema Sinistra, dove pure si trovano i campioni più determinati. Fra questi, non poteva mancare Jean-Luc Mélenchon. Del resto, Mélenchon ha fatto di peggio. Pur sostenendo di non essere un ammiratore di Putin, si è rifiutato di condannare l’omicidio politico di Boris Nemtsov, dandogli persino dell’antisemita, e definendo Putin “prima vittima” di quell’omicidio. (In realtà Nemtsov era di origini ebraiche, per parte di madre, e fiero di esserlo.) Poi Mélenchon si è giustificato dicendo di aver confuso Nemtsov con Navalny. Il problema, al di là della tragicomica impreparazione del politico francese, sta nel fatto che non condividere le idee di un politico non giustifica il suo omicidio. Un dettaglio. Mélenchon però non è solo nella sua difesa di Maduro. Ecco da noi Fusaro elogiare Putin, Kim Jong-un, e Maduro e schierarsi contro gli Stati Uniti e l’Unione Europea [20]. Fusaro piace soprattutto nel M5S, ma anche nella Destra. In Italia poi, tradizionalmente si cerca di tenere il piede in due staffe, di essere membri delle istituzioni atlantiche, ma anche amici della Russia. Non stupisce quindi che i Partiti di Governo–e, colpevolmente, alcuni deputati del PD—si siano astenuti nel voto del Parlamento Europeo per riconoscere Guaidó come legittimo Presidente del Venezuela. Peggiori di Fusaro, che almeno si schiera, questi degni eredi della politica italiana del compromesso invocano il principio di non ingerenza. Nella pratica però ciò significa lasciare che il dittatore che ha in mano il fucile continui ad affamare il suo popolo.

Teorizzatore dell’alleanza fra le destre europee, le peggiori dittature mondiali, e la Russia, campione della destra postmoderna italiana ed europea (insieme, in Italia, ad altri: ogni Paese ha gli intellettuali che si merita, anche se tutti i campioni della Destra alla fine sembrano dei divulgatori e banalizzatori di Evola), è nuovamente Dugin, filosofo che piace tanto alla Lega [21,22,23,24], e che ricambia l’affetto, ma che piace anche a parte dell’Estrema Sinistra, in una confusione ideologica che ricorda gli albori del Fascismo e del Nazionalsocialismo. (Guardando il simbolo della Gioventù Eurasiatica di Dugin  [25] o del GRECE di De Benoist [26] si può forse avere qualche dubbio su quale sia il riferimento culturale di questi pensatori, forse anche il sospetto che la “quarta teoria politica” [27] assomigli tanto alla terza posizione.) ll filosofo russo, che non si limita alla teoria, ma nei giorni antecedenti il conflitto georgiano era nelle regioni separatiste a predicare pace a modo suo, nel suo “Fondamenti di Geopolitica” anni prima della guerra in Georgia teorizzava la destabilizzazione e la spartizione del Paese, così come teorizzava la necessità di destabilizzare l’Ucraina, la spartizione dell’Azerbajan, l’annessione della Finlandia, ed altre amenità [28]. Da notare che anche la Cina viene vista come un pericoloso concorrente ed un nemico: un’alleanza con la Cina ha dunque un valore meramente tattico, in attesa di ulteriori conflitti. La dottrina eurasiatica di Dugin è quindi molto diversa da quella del Blocco Continentale di Haushofer a cui talora viene paragonata: il progetto del nuovo Rasputin non è altro che il sogno dell’egemonia russa su due continenti.

Alexander Lukashenko, amatissimo leader della Bielorussia, eletto con l’83.47% dei voti

Che cosa potrebbe guadagnare l’Europa da una simile egemonia? Nulla. Putin ha portato il suo Paese fuori da una crisi economica tremenda, quando il crollo del prezzo del petrolio ha messo in ginocchio un Paese già stremato dal drammatico, anche se necessario, passaggio dal sistema comunista a quello capitalista. I successi di un Paese e del suo leader vanno però sempre confrontati con quelli degli altri Paesi. La Russia, nonostante un sistema d’istruzione secondaria eccellente, tecnici preparati, economisti validi, e risorse energetiche immense, oggi ha un’economia mediocre: un russo guadagna meno di un rumeno, e la Romania è uno dei Paesi più poveri d’Europa [29]. Mentre Macron, nemico del popolo, secondo i sovranisti, taglia la spesa militare, e l’Europa spende cifre relativamente basse in armamenti, la Russia spende il 15% del bilancio pubblico [30] (senza contare i fondi al Ministero degli Interni, che dispone delle sue truppe, ed alla cosiddetta Guardia Nazionale, che non dipendono dal Ministero della Difesa): una cifra immensa, per un Paese che non ha alcun rischio concreto di invasione, denaro dilapidato a scapito del welfare e dello sviluppo economico. I Paesi satelliti della Russia sono tutti poverissimi, e nella maggior parte di essi un cittadino ha il diritto-dovere di dire solo ciò che vuole l’amato leader locale. Si critica spesso l’allargamento ad Est dell’Unione, eppure la democrazia in quei Paesi, persino nell’Ungheria di Orbán, non può essere paragonata ai regimi della Bielorussia, del Turkmenistan, etc. Del resto, anche se i governi liberali fanno spesso colpevolmente affari con Putin sulla pelle dei Paesi che la Russia bullizza, ben pochi in Occidente, al di là della propaganda,  si fidano dello Zar, e Putin ha perduto una possibilità di integrazione e di leadership europea che forse la Russia avrebbe avuto in un momento in cui l’isolazionismo e l’istrionismo di Trump e l’inerzia europea nel provvedere alla propria difesa hanno indebolito la coesione atlantica [31,32]. Eppure, da noi molti spauriti patrioti, sgomenti di fronte alla perdita dell’italianità e dell’identità culturale, annacquata dall’immigrazione e dall’integrazione europea, anelano divenire servi di una Nazione più asiatica che europea. Infondo, semplicemente, chi combatte la democrazia liberale ha solo una cosa da offrire, il suo contrario: la servitù.

Il simbolo della Gioventù Eurasiatica, organizzazione giovanile del Partito Eurasiatico di Dugin
Il simbolo del GRECE (Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne), think-tank etnonazionalista fondato dal teorico della Nouvelle Droite A. De Benoist
Il simbolo di Terza Posizione. Esercizio: continuare la serie.

E veniamo al Venezuela. 1998, Il petrolio raggiunge il suo minimo storico (anche aggiornato all’inflazione) [33]. Nello Stesso anno, Hugo Chávez viene eletto Presidente del Venezuela. (Nel 1992, Chávez aveva già provato a prendere il potere con un colpo di Stato.) L’anno successivo il petrolio ha già ripreso buona parte del suo valore per poi rimanere per diversi anni a livelli relativamente alti per l’epoca. Nei primi anni di Governo, Chávez cerca di distribuire la ricchezza dei proventi del petrolio alla parte più povera del Paese ottenendo anche dei successi. Nel realizzare il suo programma però il Presidente non si cura di mantenere la coesione sociale del Paese. Soprattutto, dopo il tentato colpo di Stato ai suoi danni del 2002 e lo sciopero dei lavoratori del settore petrolifero del 2002–2003, Chávez attua un programma di epurazioni di chiunque non condivida le sue idee politiche. Gradualmente il settore petrolifero cade nelle mani di personale politicamente affidabile, ma spesso incompetente. Mosso dalla sua mancanza di fiducia verso gli Stati Uniti, Chávez intrattiene rapporti amichevoli coi regimi più brutali del pianeta, da quello nordcoreano a quello di Ahmadinejad. Chávez incarnò una speranza di riscatto per i poveri di Paesi sfruttati prima dal colonialismo e poi da governi inefficienti e corrotti. Purtroppo, la speranza si è rivelata infondata. La crisi economica venezuelana comincia nel 2010. A quell’epoca il Venezuela è già un Paese vittima di corruzione dilagante, che ha mancato l’occasione di diversificare la sua economia, e con un sistema di estrazione che non è stato adeguatamente rinnovato e comincia ad essere antiquato, per poi collassare di lì a qualche anno. Chávez viene rieletto per il suo terzo mandato a gennaio del 2013. Due mesi dopo il leader del Socialismo del XX secolo scompare. È difficile dire quanto il Presidente, segnato da una grave malattia, fosse lucido nei suoi ultimi anni e quanto forte invece fosse il potere dei suoi luogotenenti. Il suo successore, Nicolás Maduro, ha tutti i difetti e nessuno dei pregi del carismatico colonnello. Durante il suo governo, grazie ai facili miracoli della MMT, la moneta nazionale diventa carta straccia. Bolívar soberano è il nome più recente, dopo l’ennesima rimozione di diversi zeri, un nome che dovrebbe servire da monito per tutti i sovranisti monetari nostrani. A Novembre 2018 l’inflazione su base annua ha raggiunto quota 1,300,000%; a gennaio è arrivata a 2,688,670%; e non ci sono segni di rallentamento della crescita, più implacabile dell’entropia. La produzione petrolifera è crollata per un misto di mancata manutenzione, gestione approssimativa, prodotto poco attraente in questo momento, e, solo recentemente, anche a causa delle sanzioni americane [34]. Quanto al fantomatico embargo americano che da decenni affamerebbe i venezuelani, di cui spesso si sente blaterare, si tratta di una leggenda: le prime sanzioni contro il Governo venezuelano sono arrivate con l’amministrazione Trump.

Dal punto di vista politico, economico, sociale, l’esperimento bolivariano era un insuccesso ormai palese da prima che a Chávez subentrasse Maduro. Va detto che quella che prese in mano Chávez non era una Nazione del terzo mondo sconvolta dalla dittatura. Questo è l’oggi. Allora, sia pure fra problemi economici e di ingiustizia sociale, il Venezuela era comunque lo Stato più ricco del Sud America e con una lunga tradizione democratica [35]. Altro mito fa sfatare, non fu Chávez a nazionalizzane l’industria petrolifera: la PDVSA (la compagnia petrolifera statale venezuelana) è stata fondata nel 1976 [36]. Già prima di Chávez i problemi economici ed i fattori di crisi potenziale non mancavano (R. Hausmann (ed.), “Venezuela Before Chávez: Anatomy of an Economic Collapse”, Penn State University Press, 2014), ma la direzione presa dal Paese nel tentativo di risolvere questi problemi è stata catastrofica. Oggi la criminalità dilaga (Caracas è una delle città più pericolose al mondo) ed il regime sostiene bande armate (collectivos) che hanno lo scopo di intimorire l’opposizione. Il voto a sostegno del Governo è spesso comprato con poco cibo che una popolazione ridotta alla fame accetta disperata [37,38]. Per essere sicuri che l’elettore non sbagli a votare, funzionari del Governo lo assistono durate il voto. Da qualche parte ho letto “la fame è contro Maduro,” ma in realtà è il suo migliore alleato. Un uomo con la pancia vuota è disposto a tutto pur di sopravvivere. In altri tempi ed in altri luoghi la disperazione avrebbe portato ad una rivoluzione. Le rivoluzioni però spesso costano molto sangue, ed i venezuelani hanno preferito fuggire: tre milioni sono scappati dal Paese, più dei profughi siriani. Anche così Maduro mantiene il potere, con la fuga di chi in Venezuela non riesce più a sopravvivere. Nonostante tutti gli espedienti del regime, nel 2016, quando la situazione democratica non era ancora compromessa come oggi, i chavisti persero il controllo dell’Assemblea Nazionale. L’anno successivo l’Assemblea fu de facto esautorata da Maduro, privandola di ogni potere. È dunque corretto sostenere, come hanno scritto alcuni sostenitori di Maduro, che in Venezuela ci sia stato un colpo di Stato. Solo, il colpo di Stato non consiste  nell’elezione di Guaidó alla Presidenza da parte dell’Assemblea Nazionale, ma in un colpo di Stato presidenziale operato da Maduro per liberarsi del Parlamento. Perché l’Assemblea Nazionale reagisce solo oggi? Forse perché la situazione politica in America Latina è cambiata. A cambiarla non è solo l’elezione di Bolsonaro, ma anche l’irritazione dei Paesi limitrofi che hanno dovuto affrontare l’emergenza dei profughi venezuelani. Forse anche perché sempre più il Venezuela sta perdendo la sua indipendenza e diventando una colonia.

Nel magico mondo dei sovranisti, basta auto-esclusi dalle organizzazioni internazionali e poter stampare moneta per essere liberi. La sovranità monetaria ha portato il Venezuela al disastro, seguendo le ricette degli stregoni della MMT, facendo esplodere l’inflazione a livelli che difficilmente chi vive in un altro Paese può anche solo immaginare. Basta tenere in mano per qualche minuto una banconota perché il suo valore sia sensibilmente ridotto. La sovranità monetaria non ha però salvato il Paese dal soccombere sotto una montagna di debiti. Seguendo uno schema già visto altre volte [39,40,41], la Cina ha finanziato il Governo venezuelano in quella che con linguaggio giornalistico viene definita una “trappola del debito.” Più alla buona, si può parlare di “tecnica dello strozzino:” lo Stato indebitato viene lasciato libero di spendere come gli pare i soldi prestati, ed in questo modo continua ad indebitarsi, fino a quando la Cina, per rifarsi dei debiti, si appropria delle risorse più preziose del Paese che ha ricevuto il denaro. Nel caso del Venezuela, non parliamo solo petrolio, ma anche metalli preziosi e diamanti, mentre i prodotti Made in China sono spesso i soli disponibili, anche per il loro prezzo più basso rispetto a quelli occidentali. Solo che, a differenza dell’Unione Europea, gli standard minimi di qualità e sicurezza non sono garantiti. Anche la Russia ha investito molto nel Venezuela, anche se meno della Cina, e per motivi diversi: non solo economici, ma anche nel tentativo di Putin di ritagliare per la Russia un ruolo di Potenza in grado di fronteggiare gli Stati Uniti. (Per maggiori informazioni sull’esposizione di Cina e Russia in Venezuela e sugli interessi economici statunitensi è possibile consultare [42].) Naturalmente si tratta di una politica coloniale, ma gli auto-certificati campioni dei popoli oppressi dagli Stati Uniti non useranno mai questo termine riferito ad altri che alla Nazione che nel loro mondo è, nei loro incubi, l’origine di tutti i mali. Il problema di questa politica, dal punto di vista dei creditori, è che i loro debiti potrebbero non essere riconosciuti in caso di un cambio di regime. Da qui il sostegno cinese e russo al dittatore di Caracas. La Russia ha anche inviato alcuni mercenari a protezione di Maduro [43] e recentemente ha bloccato alcuni conti delle industrie petrolifere venezuelane [44]. Guaidó potrebbe essere in una posizione più forte se prendesse impegni per riconoscere il debito, e sembra che sia tentato da questa soluzione [45]. Questo però renderebbe molto più difficile per il Venezuela risollevarsi dal disastro economico in cui è sprofondato. Non c’è dubbio che tornare ad un’economia che possa offrire dignità alla maggior parte dei cittadini sia un’impresa molto difficile. Il passaggio dall’economia dirigista ad un’economia di mercato nel breve periodo potrebbe rivelarsi anche più traumatico della situazione attuale. Resta comunque un passaggio necessario, perché non ha alcuno senso insistere per una via che non offre altro che un continuo degrado delle condizioni di vita della maggior parte dei cittadini.

L’appoggio degli Stati Uniti tiene anche conto di fattori economici e geopolitici. Trump è un uomo privo di compassione che in patria ha spesso usato la paura e fomentato le divisioni per ottenere consenso e che non si è commosso nemmeno di fronte al disastro provocato dall’uragano Maria a Portorico. In lui nulla c’è dell’uomo guidato da rigidi principi morali come McCain. Eppure mettere sullo stesso piano Stati Uniti da un lato e Russia e Cina dall’altro in questo caso sarebbe un nonsense. Non sono gli Stati Uniti oggi ad opprimere il Venezuela, ed i poveri venezuelani, gli oppressi, non stanno con Mélenchon, con Fusaro, e con Di Battista, che inneggia a Putin [46]. I poveri sognano unicamente una vita decorosa, senza la paura della fame, un sogno che può realizzarsi solo liberandosi del chávismo. E mentre loro sognano, gli ammanicati del regime vivono nel lusso [47,48].

María Gabriela Chávez Colmenares, figlia del (secondo) “comandante eterno.” Secondo Forbes potrebbe contare su un patrimonio di almeno quattro miliardi di dollari. Ma non chiamate i politici venezuelani ‟casta!”
Tareck El Aissami, uno degli uomini forti del Partito al potere, attualmente Ministro dell’Industria e della Produzione Nazionale, indagato per corruzione, riciclaggio, vendita di passaporti a membri di Hamas ed Hezbollah, traffico di droga…
Diosdado Cabello, un altro degli uomini forti del regime, con el mazo dando!

Non so quale sarà il futuro del Venezuela nei prossimi anni. Un intervento armato statunitense secondo me avrebbe ottime possibilità di successo. Vincere una guerra per un esercito forte come quello americano è facile. Il problema è vincere anche la pace dopo aver rovesciato un regime. Gli Stati Uniti non possono permettersi il metodo russo della pulizia etnica. A differenza dell’Afganistan o della Siria, qui però le condizioni sembrano estremamente favorevoli: obbiettivi ben definiti; un Paese con una lunga tradizione democratica e con un’opposizione forte; un progetto per il futuro. L’ideologia bolivariana non ha la forza ottenebrante della Fede, sia essa fede religiosa o sia comunque una dottrina capace di promuovere un sogno di redenzione nel cui nome sacrificare la vita, come fu il Comunismo. In realtà, il Partito al Governo non ha nemmeno un’ideologia dietro: è un Partito arrivato al potere con promesse materiali immediate che in piccola parte agli inizi ha anche saputo mantenere; oggi questo Partito ha interamente esaurito la sua spinta rivoluzionaria e si è trasformato in un’oligarchia invisa ai più. Il Venezuela però, a differenza ad esempio della Libia, può contare su un’opposizione ben organizzata e, soprattutto su una tradizione culturale fondata su una lunga democrazia. Qualcuno forse, fuori della cricca di ammanicati che dissangua il Paese, sostiene ancora il PSUV perché ha paura di perdere le briciole che il regime gli concede, ma, se un’ultima spallata dovesse rovesciare la dittatura, i più cambierebbero casacca prima ancora della fuga di Maduro. Nessuno vuole morire per salvare i conti esteri degli affamatori. Il socialismo bolivariano si scioglierebbe come neve al sole come in Italia fece il fascismo. (Ad essere onesti, il fascismo è scomparso dalle parate, ma è sopravvissuto nella cultura italiana, ed oggi in parte è riemerso alla luce del sole. Il populismo fa danni per generazioni, ma nell’immediato un cambio di regime sarebbe credo rapido come lo è stato anche quello nell’Europa dell’Est con la fine del Comunismo.)

Non credo però che gli Stati Uniti siano interessati ad un’invasione. Temo che, semplicemente, per loro il Venezuela non sia abbastanza importante. Siamo anche troppo lontani dalle elezioni, ed i vantaggi propagandistici di una rapida vittoria potrebbero non durare fino al momento del voto. Del resto, anche la reazione dell’opinione pubblica statunitense potrebbe oggi non essere favorevole di fronte ad un intervento in un Paese dove gli Stati Uniti non hanno interessi primari. Difficilmente i Paesi dell’America Latina si lasceranno coinvolgere in un conflitto armato. Nuove elezioni presidenziali poi sono un’incognita in un Paese dove il Governo ha un potere enorme di intimidazione. Non ho dubbi che in un voto libero l’esito sarebbe scontato, ma il voto in Venezuela, semplicemente, non è libero. Anche l’esodo di tre milioni di cittadini ha indebolito l’opposizione a Maduro, ossia la maggioranza parlamentare.

D’altro canto, difficilmente i boiardi chávisti lasceranno facilmente il potere senza violenza. Lo fece Pinochet, ma si era assicurato l’amnistia. Pinochet era responsabile di crimini tremendi e questi crimini erano ben noti. L’amnistia però funzionò perché l’economia cilena non era al collasso, le ruberie del generale non erano ancora note, e, anche se i crimini non si dimenticano, si può accettare che, per assicurare la pace e la democrazia, dei colpevoli rimangano impuniti. È quindi meno paradossale di quanto possa apparire superficialmente l’opinione di Milton Friedman secondo cui le riforme economiche di Hernán Büchi hanno reso possibile la fine della dittatura. Il caso del Venezuela è del tutto diverso. Anche se un’amnistia venisse concessa, un popolo affamato non potrebbe dimenticare i facili arricchimenti di chi lo ha portato alla rovina. Prima o poi, più prima che poi, chi si è arricchito dovrebbe saldare il conto, ed anche se fuggisse all’estero il Governo cercherebbe comunque di riavere indietro il maltolto. Maduro non lascerà il potere pacificamente, perché ha troppo da perdere; non lascerà il potere sconfitto in elezioni democratiche, perché le elezioni in Venezuela non sono democratiche; non lascerà il potere a causa di un intervento armato esterno, perché nessuno rischierà la pelle per le sue vittime. Restano solo un colpo di Stato o una sanguinosa rivoluzione. Naturalmente, nell’ultimo caso, i campioni dell’anti-americanismo sarebbero subito pronti a gettare fango sul popolo che finalmente si è liberato di un despota, come hanno fatto con l’Ucraina ed in mille altre occasioni.

Il campo democratico non è in una situazione facile. Eppure, almeno da fuori, si ha la sensazione che ormai il sistema sia fradicio, pronto al collasso, che semplicemente la stragrande maggioranza dei venezuelani non ne possa più di Maduro. Non ci si può rassegnare all’idea che la fame, la miseria, la disperazione siano il solo futuro possibile per i venezuelani. Perché finalmente i chávisti lascino il potere l’appoggio internazionale all’Assemblea Nazionale è dunque oggi fondamentale. Per questo dobbiamo condannare senza riserve chi tentenna permettendo all’oppressore di continuare ad umiliare i cittadini venezuelani. Basta ipocrisie! Quantomeno Russia e Cina devo sapere che stanno scommettendo su un cavallo morente, e che non gli conviene. Mi auguro che la fine del regime avvenga senza grande spargimento di sangue, ma temo che non sarà così. Comunque vada, anche il dopo-Maduro sarà difficile, ed uscire dalla crisi economica richiederà anni, forse decenni. Il nostro aiuto sarà essenziale ora come nel prossimo futuro.

– Versione lacedemone

Mentre i venezuelani crepano di fame, M5S e Lega aspettano.

Riferimenti bibliografici

Ho scritto queste note, per quanto prolisse, in una notte, aggiungendo in seguito solo qualche frase e qualche fotografia, visto che qualcuno mi ha chiesto un articolo con delle immagini, e cambiando qualche dettaglio. Ho scritto di getto, col cuore, trascurando la forma. Così la bibliografia è un po’ carente, ma dovrebbe poter fornire i riscontri necessari. Wikipedia non è sempre la fonte più affidabile, ma è usata qui unicamente per delle informazioni di base facilmente verificabili (oltre che per le immagini, tutte prese da quel sito). Ad esempio, la pagina di Wikipedia sul reddito medio russo (e dei Paesi europei) [30] riporta il link all’Ufficio Federale di Statistica della Federazione Russa, dove si possono trovare i dati necessari per controllare le cifre riportate da Wikipedia.

[1 A. Lieven, It’s Time to Trust the Taliban, ForeignPolicy
[2 R. Mellen, What a peace deal with the Taliban could mean for women in Afghanistan, The Washington Post
[3 E. Kiely, Donald Trump and the Iraq War, FactCheck
[4 Mort de Fidel Castro: l’hommage de Jean-Luc Mélenchon rassemble 200 personnes à Paris, BFM TV
[5 Wikipedia, Shamil Basayev
[6 Emir Kusturica Joins Moscow-Founded “Goodwill Ambassadors of Abkhazia,” Tabula
[7 Giulietto Chiesa e la Georgia: «Europa imprudente,» CafèBabel
[8 Dugin e la “nostra verità speciale,” YouTube
[9 S. Walker, Unequal Russia: is anger stirring in the global capital of inequality?, The Guardian
[10 Islam in Russia, AlJazeera
[11 G. Gatehouse, Marine Le Pen: Who’s funding France’s far right?, BBC
[12 Wikipedia, Budapest Memorandum
[13 A. Luhn, Russia toughens up punishment for separatist ideas – despite Ukraine, The Guardian
[14 B. Nemtsov, Putin. War
[15 S. Alexievich, “Kill Ideas, Not People,” RFE/RL
[17 I. Herbert, Rio 2016: Lilly King launches attack on Yulia Efimova after winning gold and takes aim at USA teammate Justin Gatlin, Independent
[18 Shanghai Dugin’s Lecture. Theory of Multipolar World
[19 A. Dugin, The Multipolar World and the Postmodern
[20 D. Fusaro, intervista, Il Foglio
[21 M. Andriola, Dugin, il filosofo antiliberale che ha stregato la Lega, Lettera 43
[22 L. Steinmann, Alexander Dugin, il “Rasputin” di Putin, arriva in Italia, Huffington Post
[23 A. Dugin, intervista a D. Ronzoni, Linkiesta
[24 M. Stefanini, Storia dell’asse tra Salvini e Putin, neXt
[25 Wikipedia, Eurasian Youth Union
[26 Wikipedia, GRECE
[27 The Fourth Political Theory (opera di A. Dugin)
[28 Foundations of Geopolitics (opera di A. Dugin)
[29L. Bershidsky, Putin Is Finally Ready to Look Homeward, Bloomberg Opinion
[30Wikipedia, List of European Countries by Average Wage
[31L. Bershidsky, Even Trump Can’t Drive Europe Into Russia’s Arms, Bloomberg Opinion
[32J. Heilbrunn, Munich Conference Exposes the Decline of the West, The National Interest
[33InflactionData, Historical Crude Oil Prices (Table)
[34B. Scheid e H. Wang, ‘Glory days’ long past, Venezuela will struggle to recover its lost oil production, S&P Global
[35J. Niño, Venezuela Before Chavez: A Prelude to Socialist Failure, Mises Wire
[36Wikipedia, PDVSA
[37N. Casey e W. Neuman, ‛I Give and You Give’: Venezuela’s Leader Dangles Food for Votes, The New York Times
[38A. Aponte e A. I. Martinez, For poor Venezuelans, a box of food may sway vote for Maduro, Reuters
[39J. Pomfret, China’s debt traps around the world are a trademark of its imperialist ambitions
[40H. Davidson, Warning sounded over China’s ‘debtbook diplomacy’
[41D. Gerstel, It’s a (Debt) Trap! Managing China-IMF Cooperation Across the Belt and Road, CSIS
[42L. Bershidsky, Maduro’s Fall Would Be a Defeat for Putin, Too, Bloomberg Opinion
[43M. Tsvetkova e A. Zverev,
Exclusive: Kremlin-linked contractors help guard Venezuela’s Maduro, Reuters

[44Russian bank freezes accounts of Venezuela’s state oil firm, Business Day
[45M. Armas e C. Pons, Venezuela’s Guaido courts Russia; powers divided on Maduro, Reuters
[46F. Corradetti, Per la pace mondiale «meno male che c’è Putin», dice Di Battista, il Post
[47A. Baverstock e P. Foster, Venezuela: the wealth of Chavez family exposed, The Pelegraph
[48Venezuelan ‘daughters of Chavismo’ exposed living lavishly overseas, Fox News

Pubblicato da John Baskerville

Mordo peggio di un mastino.