Tina 1 – Gli Stati Uniti

Assunta Adelaide Luigia Modotti, chiamata Tina, nacque a Udine il 17 agosto 1896, seconda di quattro sorelle e due fratelli. Papà Giuseppe manteneva la numerosa famiglia facendo il muratore, trasferendosi spesso per lunghi periodi in Austria, quando non trovava lavoro in Friuli. I sei figli aiutavano come potevano la madre con lavori saltuari, finché il padre non li portò con sé a Klagenfurt. Giuseppe Modotti era di idee socialiste e partecipava spesso a manifestazioni e riunioni, tanto che fra i ricordi più vivi dell’infanzia, Tina conservò sempre quelli dei grandi cortei del Primo Maggio, con un mare di teste e bandiere rosse viste dall’alto, dalle spalle di papà Giuseppe che la portava a cavalcioni sul collo. Quando tornarono a Udine, Tina aveva nove anni e il problema più grosso della famiglia rimaneva quello di portare a casa qualcosa per cena, oltre alla polenta e un po’ di legna per riscaldare la casa. Tina abbandonò la scuola dopo la terza elementare e cominciò ad aiutare la madre nei lavori di sartoria. A dodici anni venne assunta nelle filerie Raiser, alla periferia di Udine. La sorella Yolanda la ricordò sempre con l’espressione malinconica e lo sguardo sofferente, ma l’unica dei figli a non lamentarsi mai per la mancanza di cibo e il freddo.

 

Casa natale di Tina Modotti, attualmente adibita a ricovero notturno per senzatetto – Udine

 

Fu così che Giuseppe Modotti decise di avventurarsi negli Stati Uniti (miraggio comune per i nostri diseredati connazionali dell’epoca). Arrivò a San Francisco dove intraprese ogni sorta di lavoro per mandare soldi alla famiglia non solo per vivere, ma anche per poter pagare il viaggio della primogenita Mercedes prima, e Tina poi, la quale alla vigilia dei suoi 17 anni, nel 1913, si imbarcò da sola su una nave stipata di migranti, lasciandosi alle spalle un’adolescenza da dimenticare, perché secondo la questura di Udine, Tina si sarebbe prostituita per mantenere la famiglia: diversi anni dopo, il 7 agosto 1929, la prefettura di Udine inviò una nota al Casellario politico centrale di Roma, presso il Ministero degli Interni, riguardante le attività “antifasciste” del fratello Benvenuto Modotti, dove si legge: “Egli viveva a carico delle sorelle Assunta e Valentina, le quali esercitavano la prostituzione clandestina. Di esse la prima emigrò, mentre l’altra, che ha un figlio, frutto di illeciti amori, per non distaccarsene preferì rimanere a Udine, ove attualmente risiede.

Se ciò fosse stato vero, imbarcarsi da sola verso gli Stati Uniti, significò sfuggire alle degradanti umiliazioni patite in una piccola città, dove prostituirsi significava perdere qualsiasi dignità. Nei commossi racconti di Yolanda, che all’epoca aveva dodici anni, si legge che Tina a volte tornava dalla fabbrica con un pacchetto di meraviglie: salame, formaggio e pane che secondo lei otteneva con la vendita di una sciarpa o di una maglia. Forse erano “compensi” di caporeparto o dirigenti della Raiser per aver barattato il suo corpo, diffondendo in seguito le voci giunte in questura e causandole una schedatura per “esercizio della prostituzione”.

O forse tutto ciò fu solo opera di denigrazione da parte delle autorità locali che, sotto il fascismo, avviarono contro tutti i membri della famiglia Modotti, nell’interesse di presentarli come privi di alcun principio morale e quindi, “antisociali e antifascisti”.

 

Il piroscafo Moltke

 

Il 22 giugno 1913, Tina prese un treno da Udine diretto a Genova, dove si imbarcò sul piroscafo tedesco Moltke, che fece scalo a Napoli e intraprese la traversata atlantica. Trascorse quasi tutto il tempo, fra puzzo di sudore e di vomito, in posizione fetale piena di paura, nel ventre di quel mostro marino, senza oblò perché la terza classe stava sotto il livello del mare, immaginandosi che fra lei e il fondo marino c’era solo uno strato di lamiera (e i passeggeri di terza classe, quasi tutti italiani, non potevano accedere alle classi superiori). Giunta negli USA, affrontò un altro interminabile tragitto via ferrovia che la condusse a Oakland. Infine il traghetto, che attraverso la baia, la portò a San Francisco, risorta dal terribile terremoto del 1906. Qui trovò subito lavoro in una fabbrica di camice tramite la sorella Mercedes, che aveva già un buon posto come cucitrice.

In quegli anni crescevano i movimenti sindacali dell’epoca. Gli Industrial Workers of the World organizzarono la resistenza alle bande armate del padronato e promossero scioperi a cui parteciparono decine di migliaia di operai. Los Angeles e San Francisco divennero le roccaforti dell’opposizione repressiva. Proprio dall’industria tessile dilagò l’ondata di scioperi che dal Massachusetts dilagò in tutto il Paese. Non essendo stata fondata da protestanti anglofoni, San Francisco si sviluppò senza influenze puritane, con ritmi europei, concentrando personalità spregiudicate che favorirono innovazioni radicali, e una “salutare” indifferenza alla moralità convenzionale. Per cui si distinse dalle altre città americane per i sui fermenti culturali e artistici. Così Tina cominciò a frequentare circoli operai e gruppi teatrali nel quartiere italiano. Lasciò la fabbrica e si mantenne come sarta in casa, dedicando il tempo libero alla filodrammatica, dove si distinse per la passione nella recitazione.

 

Tina con il marito Robo

 

Allo stesso tempo Tina seguì dibattiti, riunioni, mostre, in un vortice di nuove conoscenze. L’inquetudine e la voglia di indipendenza la coinvolsero in modo contradditorio: le interessava tutto, ma niente la soddisfava. Il teatro la attraeva, ma non più di altre attività. Voleva liberarsi dal ghetto dei lavori precari per sopravvivere. All’esposizione internazionale Pan Pacific del 1915, Tina conobbe il primo importante uomo della sua vita: Roubaix de l’Abrie Richey, detto Robo, pittore e poeta originario del Quebec, il quale si innamorò subito di lei per la sua bellezza triste, il suo carattere indecifrabile, nella quale vide lo stesso sottile malessere che lo rendeva estraneo alla vita. Robo era un uomo alto e magrissimo, con viso affilato e capelli lunghi, baffi e occhi neri, sguardo smarrito in un mondo immaginario dal quale venivano esclusi anche gli amici intimi. Due anni dopo Tina tagliò i ponti con il mondo protettivo del quartiere italiano sposando Robo e trasferendosi con lui a Los Angeles. Gli voleva bene e forse sarebbe riuscita ad amarlo, fosse stata in grado di colmare quel vuoto che si si frapponeva fra lui e il mondo e impedire la sua chiusura ogni volta che la sensibilità rischiava di ferirlo.

Los Angeles stava vivendo il dopoguerra come esaperazione di contrasti, un’antitesi fra il conservatorismo e la ricerca di nuovi valori. La casa di Robo divenne luogo di ritrovo per artisti e scrittori radicali, dove si accendevano discussioni infuocate sul socialismo e sulla rivoluzione, ma anche sulla libertà sessuale e l’indipendenza individuale, come requisiti fondamentali per l’espressione politica e artistica. Gli attacchi alla morale vigente si mescolavano alla curiosità per le filosofie orientali. Alle teorie marxiste e al fascino per gli ideali anarchici, si sovrapponevano l’interesse per la psicanalisi e la crisi della religione cristiana. Cambiare il mondo non significava solo rifiutare il potere, ma soprattutto trasformare sé stessi mettendo in pratica ciò a cui si credeva. Anche i rapporti chiusi, il principio di coppia, venivano incrinati dal dubbio della loro ineluttabilità. A fungere da collante c’erano anche Ezra Pound con la sua poesia, l’induismo, le nuove scienze, la meditazione, la sensualità, l’esoterismo e la sensazione di essere, l’uno per l’altro, l’unico baluardo contro la “volgarità” del mondo.

 

Tina Modotti nel film: “The Tiger’s Coat”- Hollywood, 1920

 

Nella grande casa di Robo, Tina aveva continuato il lavoro di sarta e la libertà dalle incertezze economiche le aveva dato modo di esprimere la propria creatività, realizzando modelli secondo la sua fantasia. Ma non si accontentò più delle stoffe. L’ambiente del quale era circondata accrebbe in lei il bisogno di lasciare la macchina da cucire per affermarsi individualmente. Ormai cosciente del fascino che esercitava la propria bellezza su coloro che la conoscevano, decise di sfruttare l’esperienza teatrale per coronare un sogno accarezzato da tempo: Hollywood era a pochi passi e tutti i giorni si tenevano provini alla ricerca di nuove stelle. Si meravigliò della facilità con la quale entrò a far parte nel mondo del cinema, ma l’esperienza durò poco. Nonostante cercasse di farsi notare per la sua espressività e la sua disinvoltura (era l’epoca del cinema muto) ben presto si accorse fosse unicamente il suo corpo a interessare. Le offrirono solo parti da donna fatale e amante voluttuosa. Nel 1920 lasciò tutto, più divertita che delusa, tanto da ridere riguardando i suoi film.

Nello stesso anno la famiglia Modotti si ritrovò unita: la madre si trasferì a San Francisco con i figli Benvenuto, Giuseppe e Yolanda. Valentina rimase a Udine: nel 1917 aveva avuto una relazione con un soldato dal quale ebbe un figlio, Tullio. L’uomo tornò al fronte e di lui non si ebbero più notizie, così Valentina scelse di rimanere, nell’illusione che il padre del bambino un giorno tornasse.

Dopo l’esperienza hollywoodiana, Tina sentì la necessità di trovare altre fonti creative. In quel periodo la fotografia era ancora artisticamente giovane, dove sperimentazione e ricerca avevano molti spazi vuoti da esplorare. Fra i frequentatori della casa di Robo, ci fu anche Edward Weston, già fotografo affermato. Quando Weston conobbe Tina, era davanti a un bivio esistenziale: insofferente nei confronti del lavoro di routine, asfissiato dalle responsabilità familiari e tentato di lasciare moglie e figli attratto dal Messico postrivoluzionario. Uomo dal carattere stravagante, possedeva un carisma e un’energia magnetica, indubbiamente favorito dall’essere la persona più realizzata e famosa, fra la cerchia di amici che frequentavano Robo. Tina si appassionò subito alle tecniche fotografiche, posò per lui e nel frattempo chiedeva, studiava, osservava senza perdere alcuna parola nel tempo che Weston le dedicava, gettandosi con bramosia in tutte le attività. Fu probabilmente questo a catturare la sensibilità di Weston, oltre al suo ardore e la sua bellezza, tanto che se ne innamorò, dimenticando ogni senso di colpa nei confronti di Robo, che considerava uno dei suoi migliori amici. Dapprima si comportarono come amanti clandestini, ma non durò a lungo, ben presto diventò impossibile nascondere l’evidenza da parte di entrambi. Bastava poco tempo di lontananza per innescare un frenetico scambio di lettere passionali.

 

Edward Weston – Fotografia di Tina Modotti

 

Il rapporto con Robo sfuggiva nell’ombra, mentre lui si accorgeva di ciò che stava accadendo, ma per la sua natura passiva e il suo sfiorare le cose, senza mai inciderle, si tirò in disparte. Mentre Tina trovò in Weston l’esatto contrario: un’irruenza anticonformista accompagnata dal contrasto fra la dolcezza nel modo di parlare e il furore quando toccava argomenti che lo appassionavano; condita da un’innata gelosia possessiva, nonostante le teorie discusse. Tina aveva venticinque anni, Weston trentaquattro. Orfano di madre a cinque anni, era cresciuto nel Middle West con la sorella maggiore e il padre, che al suo sedicesimo compleanno gli aveva regalato una macchina fotografica Bulls-Eye. Sopravvisse anni con il precario lavoro di fotografo ambulante, lavoro che lo portò a Chicago, in Nevada e in California. Come Tina, aveva conosciuto bene la lotta quotidiana contro la povertà. Il successo arrivò dopo lunghi anni di privazioni e testarda fede nella fotografia. Quando giunse il momento di raccoglierne i frutti, ebbe una crisi repulsiva nei confronti delle fotografie commerciali, che gli venivano richieste internazionalmente da riviste specializzate. Il suo matrimonio con Flora May Chandler, una donna dall’educazione convenzionale e interessi opposti, si risolse in un’unione di puro interesse per il bene dei quattro figli. Le sue relazioni con altre donne duravano poco e contribuirono a demolire il rapporto con Flora. Era solo il senso di colpa nei confronti dei figli, che adorava, ad impedirgli di intraprendere quel viaggio in Messico che vedeva come unica possibilità di rinnovamento artistico.

Per Tina fu determinante l’attrazione fisica, il fascino che emanava e durante la sua relazione con Weston, acquisì tutto ciò che riusciva di quel mezzo espressivo che la affascinò e la coinvolse. Nel frattempo Robo tornò nella solitudine, dove in fondo aveva sempre vissuto. La sua condizione esistenziale era la lontananza dalla materialità delle cose. Fra la passione per Weston e il suo rapporto con Robo, Tina sentì il bisogno di riportare un po’ di equilibrio nella sua mente, così partì per San Francisco, presso la sua famiglia, per ritrovare un po’ di concretezza. Qui trovò il padre Giuseppe turbato dagli eventi: il 3 maggio 1920 Andrés Salcedo, tipografo, anarchico del Massachusetts, amico di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, era precipitato dal quattordicesimo piano del tribunale di New York, dove lo stavano interrogando. Le fu positivo stare con la madre e con il fratello Benvenuto, sempre impegnato nella lotta ai lavoratori. Si vergognò dei suoi conflitti piccolo borghesi e la famiglia la riportò alla ragione.

 

«Ritratto di Tina Modotti nella casa di Weston a Glendale, California», 1922. Photo courtesy Galerie Bilderwelt di Reinhard Schult

 

Tornata a Los Angeles, prestò molta attenzione agli elogi sul Messico da parte di Ricardo Gomez Robelo (anche lui innamoratissimo di lei) critico d’arte espulso dal Messico pre-rivoluzionario, che frequentava la casa. Poi un giorno il marito Robo, spinto anche dallo stesso Robelo, comunicò a Tina la decisione di partire con lui per il Messico a fine anno (1921) dedicandole un’ultima poesia: “Tina è il rosso del vino, così prezioso da lasciarlo posare con delicatezza perché diventi ancor più prezioso“. Arrivato in Messico Robo si trasformò: dalle lettere che inviò a Weston apparve una nuova figura, una persona piena di interessi, che tramandava emozioni prima sconosciute. Robo cercò di convincere Weston a raggiungerlo, mentre con Tina era già d’accordo di vedersi laggiù, fremendo all’idea di mostrare a entrambi ciò che stava vivendo. Fece solo un breve accenno al loro rapporto, rassicurando Weston che nulla era cambiato nella loro amicizia. Ma mentre stava partendo per raggiungere il marito, Tina ricevette un telegramma: il 9 febbraio 1922 Robo era morto di vaiolo all’ospedale inglese di Cowdray.

 

Fonti:

Pino Cacucci: Tina
Elena Poniatowska: Tinissima