Tina 11 – Trockij

L’accoglienza dei rifugiati spagnoli in Francia non fu calorosa. Erano reduci da una guerra che tutti volevano dimenticare e crearono grossi problemi ai traballanti equilibri di un Paese che stava uscendo dalla disastrosa esperienza del Fronte Popolare di Leon Blum. Tina fu costretta alla spiacevole realtà dei militanti francesi imbarazzati e schivi davanti alle richieste dei rifugiati.

Il consolato spagnolo era affollatissimo, così Tina e Vidali optarono per un albergo, trovandovi molti altri compagni. Arrivò l’alba fra interminabili discussioni, soprattutto rancori e dubbi sul ruolo svolto da Mosca in Spagna. Con la tristezza di appartenere a un capitolo ormai chiuso della Storia. Solo Vidali si dimostrò ottimista, sicuro di aver compiuto la sua missione e di poter guardare al futuro, mentre Tina ascoltava in silenzio nella sua rassegnazione.

 

Rifugiati civili spagnoli in Francia.

 

L’ordine di Mosca fu quello di recarsi a Parigi per coordinare, attraverso Soccorso Rosso francese, il controllo dei rifugiati che a migliaia vi si riversavano. Vietato tornare in Spagna. Tina e Vidali alloggiarono presso un avvocato e si misero subito al lavoro. Alla prima riunione un delegato parigino dichiarò senza mezzi termini: “i profughi spagnoli hanno perso la loro guerra, e ora non possono avanzare pretese da noi!” Contrariamente alle sue abitudini, Tina controbatté con rabbia: “E voi avete perso quella contro il nazismo! Mettetevi in testa che la sconfitta della Spagna è l’inizio della fine per l’antifascismo in Europa.

Un altro duro colpo per lei fu la morte del poeta Antonio Machado. Gravemente malato, aveva attraversato la frontiera a piedi sotto la pioggia. Fu stroncato in breve tempo dalla polmonite. Lo andò a trovare trovandolo agonizzante. La morte dell’amico le creò uno stato di prostrazione dal quale voleva uscire recandosi in Italia per combattere il fascismo. Non pareva una scelta politica, ma la ricerca di un epilogo drammatico. Naturalmente non le fu permesso. Giuseppe di Vittorio spese giornate intere per convincerla in quale isolamento si sarebbe trovata recidendo tutti i legami con il Comintern. Decise così di restare in Francia, ma pochi giorni dopo arrivò il comunista inglese Tom Bell, con una missione della Stassova per Tina e Vidali: dovevano andare negli Stati Uniti, ufficialmente per coordinare l’afflusso di altri rifugiati spagnoli. Potevano anche scegliere di rientrare un breve periodo a Mosca per riposarsi.

 

Antonio Machado

 

Entrare illegalmente negli Stati Uniti con passaporto e visti falsi, nel caso di venir scoperti significava l’arresto, ma Tina lo considerava ormai un male minore, piuttosto che tornare in Unione Sovietica. Inoltre continuare a dichiararsi comunista, aveva poco da spartire con il delirio paranoide che infuriava a Mosca. Avendo deciso di viaggiare separati Vidali arrivò a New York il 23 marzo 1939, Tina viaggiò con la Queen Mary tre settimane dopo. Aveva un passaporto intestato a Carmen Ruiz Sanchéz con un visto di transito di tre mesi. Ma quando lo presentò alle autorità portuali ebbe l’amara sorpresa che il suo arrivo era già stato segnalato. Questa volta si preferì non pubblicizzare la faccenda, niente stampa né fotografie, né arresto: le venne offerto di ripartire immediatamente, destinazione Veracruz. Dopo nove anni, durante i quali aveva consumato tutte le illusioni e le delusioni di una vita intera, Tina Modotti si ritrovò di nuovo in Messico. Vidali la raggiunse giorni dopo: la sua nuova missione prevedeva il trasferimento a Città del Messico, dov’era già stato avviato un “delicato lavoro per tessere un’invisibile rete attorno all’obiettivo“. Coperto dalla massima segretezza, l’incarico proveniva direttamente da Stalin, che richiese l’impiego di agenti tra i più fidati.

Un anno prima Lev Trockij aveva ottenuto asilo politico dal presidente della repubblica messicana Làzaro Càrdenas, trasferendosi definitivamente nella capitale con la moglie e pochi seguaci, che gli facevano anche da guardia del corpo.

A Città del Messico Tina venne inizialmente ospitata in una casa appartenente a dei conoscenti di Vidali (che continuava a farsi chiamare Carlos Contreras). Soccorso Rosso provvide a farle arrivare una piccola somma con cui mantenersi i primi mesi. L’ex ambasciatore messicano a Madrid intervenne presso il governo per farle revocare il mandato di espulsione, così Carmen Ruiz Sànchez tornò a essere Assunta Modotti, anche se fra i pochi amici, tutti la chiamavano ancora Marìa. In seguito trovò un minuscolo appartamento in un quartiere modesto poco distante dal centro. Era un’azotea, una soffitta trasformata in appartamento. Dalla terrazza si vedevano i vulcani e i campanili della cattedrale, ma le infiltrazioni di acqua e le crepe sui muri avevano poco da spartire con le case vissute un tempo. Trovò un lavoro come traduttrice, mentre Vidali ottenne un’ottima copertura come giornalista del quotidiano “El Popular” legato ai comunisti messicani.

 

Lev Trotsky, la moglie Natalia Sedova, e il nipote Sevold Volkov (Messico 1939, collezione Gilles Walusinski)

 

Ma la politica ribussò alla porta: Tina tornò a New York per valutare una più lunga permanenza di Vidali negli Stati Uniti collaborando con il comunista Earl Brower. Stavolta passò inosservata, con un aspetto dismesso che la faceva più anziana, non venne riconosciuta dalle foto segnaletiche. Rischiò molto, in quanto l’ambasciata americana in Messico aveva trasmesso un “rapporto confidenziale” a Washington, dal quale l’FBI avviò una pratica su di lei come “agente dei servizi segreti sovietici”. Due mesi dopo tornò con l’ordine di Earl Browder che Vidali doveva rimanere in Messico e proseguire con il lavoro intrapreso…

 

Trotskij e Frida Kahlo nella Casa Azul della pittrice a Città del Messico con alcuni amici – 1937

 

A ricevere Trockij il 9 gennaio 1937 nel porto di Tampico, ci fu Frida Kahlo che lo ospitò nella sua residenza, la Casa Azul. Ma la casa non offriva i requisiti di sicurezza richiesti. Tantopiù che nel gennaio 1938 Trockij ricevette la notizia della morte del figlio Liova, che si aggiunse alla precedente scomparsa del figlio Sergej nel 1935. La Gpu stava eliminando le persone a lui più care. Non riuscendo a creargli attorno il vuoto politico, Stalin cercò di piegarne la resistenza uccidendo i figli. Così gli stessi collaboratori lo esortarono a trovare una residenza più difendibile da attacchi. Trovarono un’abitazione recintata, sulla Calle Viena, nello stesso quartiere, che in pochi mesi di lavoro venne trasformata in un fortino. Il giardino divenne l’unico spazio dove Trockij poteva stare all’aperto, il resto del tempo lo passava nel suo studio.

Ma tutte le scrupolose misure di sicurezza, non impedirono di penetrare a una ventina di assalitori la notte del 23 maggio 1940. La reazione dei difensori fu immediata, tanto da respingerli in poco tempo. A guidare il gruppo c’era David Alfaro Siqueiros che riuscì a introdurre la canna del suo mitra attraverso la finestra della camera di Trockij e la moglie, ma essendo il davanzale molto alto fu costretto a sparare senza mirare. Le raffiche spazzarono le pareti, mentre l’anziana coppia si gettò a terra, senza gravi danni. Gli attaccanti, certi di aver raggiunto l’obiettivo, si ritirarono senza perdite. L’unico ferito fu il piccolo Sevold Volkov, nipote di Trockij, colpito al piede da una pallottola di rimbalzo. Uno dei collaboratori era scomparso.

Nei giorni seguenti prese corpo la tesi di un complice all’interno, data la scomparsa del collaboratore. I vari interrogatori sui sospetti portarono a David Alfaro Siqueiros e a un’altra persona dall’accento straniero che aveva coordinato l’operazione, mantenendo i contatti con chi aveva svolto il ruolo di collegamento e dettando gli ordini. Durante un sopraluogo presso una casa di Siqueiros trovarono il corpo del collaboratore, con due colpi alla nuca, di cui venne incolpato lo tesso Siqueiros. Trockij non credette al tradimento, tanto che, per la prima volta, l’ex comandante dell’Armata Rossa pianse in pubblico davanti al suo cadavere. L’arresto di Siqueiros non chiarì nulla, godeva di tale fama che venne recluso ai domiciliari in una residenza privilegiata, da dove poteva ricevere e parlare con chiunque.

 

David Alfaro Siqueiros imprigionato per l’attentato a Trockij

 

“Posso sapere dove te ne stai andando?” chiese Vidali con un’incrinatura nervosa, mentre lei infilava i pochi vestiti nella valigia di cuoio sdrucito.
Tina si fermò a squadrarlo, con espressione infastidita. “Cosa sei venuto a fare, qui?”
“A vedere come stavi… e ti trovo con la valigia pronta, che te ne stai andando senza neanche avvertirmi.”
“Non preoccuparti”, rispose
con un sorriso di scherno. “Non ho alcuna intenzione di sparire.”
“È successo forse qualcosa che…”
“Ma no, per carità!”
esclamò lei quasi urlando. “Non è assolutamente successo nulla. E tutto sotto controllo, no?”
“Avanti, non crederai mica alle carognate che hanno messo in giro quelli…”
“Io non credo più a niente. È da un pezzo che non credo a niente e a nessuno. Ma non puoi pretendere che non veda e non senta.”
“Ascolta, Tina… David ha combinato questo disastro di testa sua, io non potevo immaginare che…”
“Non potevi immaginare?! Ma se sono mesi che prepari il terreno! Non ti servono gli pseudonimi con me: tu hai gestito la campagna contro quel vecchio disgraziato, tu hai scritto decine e decine di articoli per additarlo come il peggior nemico rimasto in circolazione… E adesso che un manipolo di scellerati ha compiuto l’eroico gesto che tutti si aspettavano, mi vieni a dire che non potevi immaginarlo!”

“Tra scrivere sul giornale e sparargli addosso c’è una bella differenza.”
“Risparmiati la fatica. Ti conosco troppo, Vittorio. E conosco quell’esaltato di David quanto basta a capire che non può aver organizzato tutto da solo. E’ abbastanza fanatico da farlo, ma non è abbastanza intelligente da gestirlo.”
“Be’… in tal caso, non sarebbe finita com’è finita, no?”
“Sì”, replicò Tina con un gesto rabbioso, “lo so che ti considerano una garanzia. Oltre alla propaganda, dovevano farti dirigere anche le operazioni sul campo. Tu hai mai fallito un obiettivo, vero? Bella impresa… Un bambino ferito e un poveraccio con due pallottole nella nuca. Adesso scrivici anche l’editoriale, sulla bravata dei tuoi macellai.”
“Hai bisogno di curarti i nervi. Mi auguro che tu non sia tanto imprudente da dire in giro simili sciocchezze…”
Tina si bloccò. Lasciò cadere la valigia sul pavimento guardò negli occhi Vidali: “non voglio avere piu niente da spartire con te e quelli della tua specie,” sibilò tremando. “Ma quello che sento e penso me lo tengo dentro. Come ho sempre fatto”
Vidali annuì, alzando una mano come per dire che non lo metteva in dubbio.

 

Geranium, Città del Messico, 1924 (Tina Modotti)

 

“Allora è definitiva…” dlsse dopo un po’ lui, cambiando tono “la decisione di non rinnovare la tessera…”
“Se ti serve una scusa per i compagni, dì pure che il permesso di soggiorno mi impedisce di svolgere attività politica. Ricordagli la legge messicana al proposito e fa in modo che si scordino che io esista. Anzi, puoi fare di più: lasciami perdere, una volta per tutte, e magari sposati la tua Isabel… So che lei non aspetta altro. Ti adora come un dio, e sarà felice di darti il figlio maschio che ti manca tanto… L’erede del Comandante Carlos! Non potrà che essere un eroe…”
“Isabel è soÌtanto una compagna in gamba”,
la interruppe Vidali, parandosi sulla porta e impedendole di entrare ln camera. “Come lo eri anche tu, una volta”
Lei gli lanciò un’occhiata di disprezzo e aggiunse: “una volta ero cieca e sorda, oggi al massimo posso restare muta”
“Vuoi dire che non ti farai neanche vedere, al partito?”
“Con quello che ho dovuto ingoiare l’altro giorno, qualsiasi sforzo è inutile. E se vuoi che te lo dica in termini più chiari, mi avete stancato.”

Piantala, Tina… stai solo cercando scuse”
“Scuse?!”
Urlò Tina. “Allearsi con la Germania nazista, e sputare sui morti, sul sacrificio di un’intera generazione…tutto questo è solo una questione diplomatica, non è così!?”
“Ti fermi alle apparenze, non riesci a vedere le cose nel loro insieme. E’ sempre stato il tuo limite, del resto.”
Tina gli si avvicinò, lo guardò fisso negli occhi e gli mormorò: “Nella tua visione d’insieme…c’è posto anche per quei duecento, trecento comunisti tedeschi che Stalin ha restituito a Hitler in segno di amicizia?” Vidali si ritrasse, ma lei continuò: “Centinaia di uomini e donne che sono finiti con una corda al collo…Le loro vite offerte come omaggio, come merce di scambio tra assassini della stessa razza.” Poi prese la giacca e la valigia.
“Torni?”
chiese Vidali.
“Ma sì, dove vuoi che vada.”
“Quando?”
“Due o tre mesi, mi hanno offerto un lavoro di fotografia per illustrare un libro di Constancia de la Mora, sulla gente di Oxaca.
Poi si voltò: “Puoi dormire tranquillo, Vittorio. Coi pochi amici che mi restano, parlo solo di fotografie… e altre sciocchezze che non ti riguardano. Ma non contarci più sul mio aiuto. In nessun caso!”

 

Calla Lilies (Mexico City 1925, Tina Modotti)

 

La sorte mi ha concesso una tregua. Sarà di breve durata.” Scrisse Trotskji il 24 maggio 1940. Il 20 agosto, solo tre mesi più tardi, Ramòn Mercader del Rio lo uccise sfondandogli il cranio con una picozza.

 

Fonti:

Pino Cacucci: Tina
Elena Poniatowska: Tinissima