Tina 2 – Messico, il periodo estridentista

Robo era morto e Tina sentì quanto lo amasse, riunendo tutte le sue poesie per raccoglierle in quel libro che da vivo non aveva mai pubblicato. Partì in Messico con la suocera, Rose Richey, per il funerale e per commissionare una tomba. A Città del Messico, trovarono a riceverle Robelo e tutti gli amici che Robo si era fatto in quel periodo: Robo in Messico non era rimasto nell’anonimato, ma aveva lasciato un vivo ricordo della sua opera e della sua umanità. La prima cosa che Tina conobbe di Città del Messico fu il Panteòn de Dolores, lo sterminato cimitero nella periferia della capitale. Poi entrambe le donne rimasero commosse quando visitarono i luoghi descritti da Robo: aveva ragione, in Messico c’era la grandezza e la magnificenza di una tempesta.

Tramite gli amici del defunto marito che le si strinsero intorno, Tina venne trascinata nel ritmo convulso di un Paese appena resuscitato, con l’ardore a cui tutti partecipavano a una società utopica. Robelo, appena nominato direttore del dipartimento di Belle Arti dopo il suo ritorno, la guidò nel vortice di iniziative che avvolgevano la metropoli. Gli artisti di ogni campo erano rientrati dalle file degli eserciti guerriglieri o dall’esilio in Europa, dove avevano assistito allo scempio della Grande Guerra. Appoggiati i fucili, diedero vita a scuole improvvisate e laboratori di strada. Gli stessi contadini dipingevano trattori e trebbiatrici a vapore. Le pareti di palazzi, caserme, chiese e università si riempivano di murales.

 

Jose Vasconcelos e Diego Rivera durante un evento a Chapultepec Park. (Città del Messico 1921, Tina Modotti)

 

Alla presidenza era salito Álvaro Obregòn, che affidò il Ministero dell’educazione a José Vasconcelos, tornato dopo un esilio di cinque anni. Vasconcelos credeva nel coinvolgimento dell’artista in tutti i livelli della vita sociale e abolì ogni forma di censura e di pressione ideologica. Città del Messico divenne polo di attrazione per le avanguardie del mondo intero. E Tina ritenne di non poter più tornare alla vita di Los Angeles, a fronte di un mondo che pulsava con la sua stessa frenesia. Aveva con sé alcune fotografie di Weston, le mostrò e rimase stupita dall’interesse che suscitarono. Gli artisti messicani scoprirono l’espressività della fotografia, venne organizzata un’esposizione e un numero impressionante di persone si accalcò per vedere le opere di Weston. Ma ancora una volta la morte la coinvolse: nel marzo 1922 papà Giuseppe venne a mancare e Tina tornò negli Stati Uniti. Per un mese si dedicò esclusivamente alla famiglia, la perdita di Robo e del padre nell’arco di due mesi l’aveva sconvolta. Evitò di vedere Weston cercando rifugio nella famiglia dal turbine dei sentimenti.

Ma la fotografia riuscì a prendere il sopravvento su di lei. A San Francisco, Tina ristabilì un contatto con Johan Hageneyer, fotogafo, intellettuale, anarchico e musicista, amico di Weston. Così riprese ad usare la macchina fotografica e la vicinaza di Hageneyer la spronò a lavorare intensamente. Rivide Weston che venne accolto con affetto dalla sua famiglia e la loro relazione tornò ai livelli di coinvolgimento precedenti. Ma mentre Tina voleva trasferirsi in Messico, Weston sentiva ancora il peso delle responsabilità familiari. In ottobre sembrò che la rottura fosse irrimediabile, perché Tina rispettò il travaglio di Weston dal separarsi dai figli. Ma la separazione durò solo qualche mese, e per non perderla, lui compì quel passo troppo rimandato. Lasciò la moglie e con il figlio tredicenne Chandler, il 30 luglio 1923 si imbarcò con Tina a bordo del Colima, diretti a Monzanillo. Dopo un interminabile viaggio in treno, giunsero a Città del Messico, dove affittarono una grande casa a Tacubaya, sobborgo non ancora assorbito dalla metropoli. Un’hacienda di dieci stanze con un patio interno. Dalla terrazza del tetto si scorgevano i campanili della cattedrale dello Zocalo e la vista dell’immensa vallata sovrastata da vulcani.

 

Tina alla finestra della casa di Tacubaya (Messico 1923, Edward Weston)

 

A differenza di molti nord-americani che andarono in messico per vedere la rivoluzione, Tina e Weston, si immersero nella vita del Paese, entrando in contatto con gli innumerevoli personaggi del “Nuovo Messico”: conobbero Diego Rivera, in seguito inseparabile dal loro gruppo, Savid Alfaro Siqueiros, José Clemente Orozco, e Tina rivide Xavier Guerrero, che aveva conosciuto a Los Angeles.

Il movimento artistico messicano si era dimostrato come ribellione, prima ancora che si sviluppasse la rivolta. Orozco aveva riunito un gruppo di studenti d’arte, avviando l’insurrezione contro la dittatura di Huerta, e nel 1919 s’era formato un congresso di artisti combattenti che avrebbero proclamato l’unione fra l’espressione culturale e la rivoluzione. Rivera era stato a Parigi durante il periodo cubista, lì conobbe Picasso, Klee, Matisse, Braque, poi si spostò in Italia, dove conobbe Amedeo Modigliani, per studiare i mosaici e gli affreschi bizantini, riscontrando molte affinità fra i reperti etruschi e le antiche arti indigene del Messico. Siqueiros, dopo aver combattuto nell’esercito di Carranza, intraprese alcuni viaggi in Europa, dove pubblicò, nel 1921 il manifesto sul suo concetto di pittura murale. Tornati in Messico fondarono il sindacato rivoluzionario dei tecnici, pittori e scultori, fondando il giornale El Machete.

 

Staircase (Mexico City 1924, Tina Modotti)

 

L’arte si trasformò in un vento collettivo, rifiutando la tela in favore dei murales che restavano di proprietà pubblica. La meta estetica era socializzare la creatività, distruggendo l’individualismo borghese. Tutto avveniva all’aperto, in spazi improvvisati o strappati alle istituzioni. Le attività si mescolavano e si sovrapponevano: si dipingeva mentre altri suonavano, insegnavano, discutevano. Un’intensità di stimoli che coinvolsero Tina in scuole, parchi, giardini, spedizioni archeologiche, riunioni e partecipazione a gruppi. Inoltre feste interminabili, balli, bevute e un continuo contatto con la gente. Fece da guida a Weston e la sua facilità nell’apprendere le lingue, ma anche l’affinità latina, la fecero diventare un personaggio pubblico.

Abbandonarono la casa di Tacubaya e si trasferirono nella centrale colonia Juàrez. Nel giro di qualche mese il loro appartamento si trasformò in uno dei punti di riferimento della vita culturale e artistica. Fra i frequentatori assidui di nottate tumultuose, c’erano gli scrittori Juan de la Cabada e Anita Brenner, il pittore Jean Charlot, il fotografo Manuel Àlvarez Bravo, la moglie di Rivera, Lupe Marin e il fratello Federico Marin, oltre a José Vasconcelos, e agli altri già citati muralisti. Da alcune fotografie di Weston traspare ciò che definirono “ambiente bohemio” e non tardarono le crisi di gelosia di Weston.

 

Roofs of Mexico City. (1923, Tina Modotti)

 

In un’epoca di stravolgimenti, essendo l’esagerazione la norma, il fascino di Tina scatenò, in certi casi, atteggiamenti deliranti. Ad una festa, uno dei tanti artisti conosciuti, innamorato perdutamente e da lei respinto, tornò con una pistola pregandola di ucciderlo. Federico Marin così scrisse: “Una bellezza misteriosa, priva di volgarità… Ma non allegra, bensì austera, terribilmente austera. Non malinconica né tragica, ma ci sono uomini che si innamorano follemente di lei, e qualcuno è arrivato a suicidarsi…”

Anche Vasconcelos, nelle memorie che scrisse più tardi, ritrasse Tina come una donna in grado di portare involontariamente gli uomini alla pazzia: “Di una bellezza scultorea e depravata, teneva unito il gruppo col comune desiderio e lo divideva con le feroci rivalità…” E non si limitò a questo, secondo lui anche la morte improvvisa di Ribeiro, avvenuta il sei agosto 1924, avrebbe avuto origine dall’amore non corrisposto per Tina (della quale era follemente innamorato): “Quella passione malsana gli assottigliava il corpo e gli narcotizzava l’anima…finché si spense, divorato dal desiderio”.

Lo stesso Weston, combattuto tra la libertà sessuale proclamata e i suoi istinti, annotò nel suo diario: “La prossima volta, sarà meglio che mi trovi una donna brutta come l’inferno”.

 

Portrait of Jean Charlot (1923, Tina Modotti)

 

Furono gli anni in cui la cultura messicana fu pervasa dal movimento “estridentista”. Tina conobbe uno dei fondatori, Germán List Arzubide, eseguendone alcuni ritratti. L’Estridentismo aveva in comune con il Futurismo europeo, il tratto tagliente della grafica, l’attrazione per le macchine e soprattutto gli aerei, con la dichiarazione di guerra al “passatismo”. Ma i poeti estridentisti usavano ironia e feroce sarcasmo, con provocazione burlesca, anziché la scrittura automatica delle parole in libertà. La poesia estridentista fu musica delle idee, esaltando il contrasto fra note oscure e note luminose, paragonando il suono delle parole a quelle del sassofono e della batteria nel Jazz. La radio venne considerata come mezzo per la diffusione poetica, tanto che le pubblicazioni estridentiste non si definirono “organi”, ma “irradiazioni”.

L’incontro fra List Arzubide e Tina non fu una folgorazione reciproca, lei stava sperimentando tecniche fotografiche sulla esposizione, ottenendo effetti che Àlvarez Bravo definì: “impressione di cristallo”, e alcuni suoi lavori vennero riconosciuti come fotografie estridentiste. Gli estridentisti si scagliarono contro gli accademici, ridicolizzarono i critici corrosi dalle piaghe del vecchiume letterario agonizzante. Si dichiararono figli della rivoluzione messicana, attaccarono violentemente i maestri dei vari campi creativi e culturali, denunciandone il trasformismo da porfiristi (Porfirio Diaz, Presidente del Messico, 1830 -1915) a seguaci della dittatura Huerta. Ciò provocò l’ostracismo degli estridentisti dal mondo editoriale legato alle università e ministeri.

 

Fili del telegrafo (Messico 1924, Tina Modotti)

 

Apagaremos el sol de un sombreazo (spegneremo il sole con un colpo di sombrero) titolò la rivista di List Arzubide, sulle cui pagine, ricevettero accoglienza le fotografie di Tina, che venne subito trascinata alle feste estridentiste, dove si esaltava il potere sovversivo della risata, traendone linfa per le nuove provocazioni.

Per gli estridentisti, il rinnovamento politico non poteva avanzare con i vecchi dogmi culturali, da cui lo stravolgimento dei costumi sociali, senza escludere i comportamenti sessuali e le relazioni personali. Era lo stesso cammino che Tina stava percorrendo da qualche anno. La sua “bellezza oscura”, che contrastava con l’energia con la quale contagiava chi le stava vicino. Ma, rispetto ai luoghi, anche l’originalità del vestire: indossava quasi sempre blue jeans, inusuali per le donne dell’epoca. Mentre Weston era indeciso se farsi coinvolgere o trattenerla: per un periodo subì il fascino dell’estridentismo, e una sua foto comparve in copertina sul giornale “Irradiador“.

 

Tina Modotti ed Edward Weston nel loro anniversario (Messico 1924, Anonimo). Photo courtesy Galerie Bilderwelt di Reinhard Schult.

 

Ma Tina cominciò a sentirsi indipendente nella fotografia. Non era più l’assistente di Weston, cominciò a spostarsi negli Stati vicini cercando volti e immagini di vita, sviluppando per conto proprio i negativi, affinando alcune tecniche per il risultato finale. Weston vide ammirato i progressi che stava compiendo, ma avvertì sempre più una sensazione di lontananza. Nel maggio 1924 si trasferirono in una nuova casa, nella colonia Roma. A luglio, anniversario della loro unione, andarono nello studio di un fotografo per farsi immortalare. Il 1924 fu anche l’anno della prima mostra di Tina, che espose le sue foto nel Palacio de Minerìa. I critici apprezzarono la sua opera, non considerandola più allieva di Weston, mettendone in risalto l’espressività. Le venne offerto il primo lavoro su commissione, illustrando un libro di Anita Brenner sul Messico e cominciò a pubblicare sulla rivista “Forma” diretta da Gabriel Fernández Ledesma.

Ma più otteneva riconoscimenti in ambito fotografico, maggiore era il suo bisogno di fondere la fotografia con ciò che le succedeva attorno. L’interesse per i problemi sociali, diventò passione politica e crebbero in lei dubbi fra l’arte e l’impegno militante. La sperimentazione e la ricerca non le bastavano più, convincendosi che la fotografia dovesse esprimere qualcosa che andasse oltre il formalismo estetico e l’astrattismo. Sentì di dover incidere sulla realtà, rappresentandola nei suoi controversi aspetti, cogliendo il malessere ed esaltando la forza di ribellione, ovunque si manifestasse.

 

Nude (ritratto di Tina Modotti) 1923, Edward Weston

 

Contemporaneamente il divario con Weston si acuì. Il loro rapporto, già incrinato, stava subendo i contrasti di due concezioni artistiche divergenti, quasi contrapposte. Forse per un presentimento, Weston si dedicò a una serie di ritratti di Tina, come la volesse catturare nell’imminenza di una separazione. Tina posò anche per alcuni nudi (che anni dopo le arrecarono diversi problemi) adagiata sul pavimento, sulla terrazza in pieno giorno che trasmisero una sensazione di morbidezza in rilievo, di una pelle che contemporaneamente assorbiva e rifletteva la luce del sole. Nessun’altra immagine di Tina rappresentò in maniera così profonda il suo rapporto con il Messico: la naturalezza della trasgressione, il sensuale abbandono illuminato dal sole, una fisicità che emanava tenerezza e malinconia. Fu un periodo che volgeva alla fine. Negli anni seguenti Tina non riuscì più a vedere il Messico con gli occhi di quei giorni spensierati, unici e irripetibili.

 

Fonti:

Pino Cacucci: Tina
Elena Poniatowska: Tinissima