Tina 5 – Messico, l’espulsione

Nel 1928, anno nel quale José Vasconcelos tentò inutilmente di sconfiggere in campagna elettorale l’ascesa al potere di Pascual Orliz Rubio, uno dei più autoritari e corrotti presidenti del Messico, Frida Kahlo si avvicinò al Partito comunista, trovando in Tina una referente e un legame di amicizia immediato.

La vita di Frida fu segnata dal dolore: nel 1925, a 18 anni, alla periferia di Città del Messico salì su un autobus che si scontrò con un tram. Fra le lamiere contorte Frida era rimasta cosciente e immobile, ma quando i soccorritori cercarono di spostarla, emanò un grido disumano: il passamano dell’autobus le era entrato nella schiena trapassandola da parte a parte. I medici l’avevano data per spacciata e quando si avvinghiò alla vita, con i funerali già organizzati, tutti pensarono sarebbe rimasta paralizzata su una sedia per sempre. Frida s’era costretta a sopravvivere in un busto che la torturava senza sosta, ricorrendo spesso alla morfina, quando il dolore era insopportabile. Ma mese dopo mese, fra gemiti, lacrime e sudore, riconquistò le forze, lasciando perplessi i medici. Due fratture alle vertebre, undici alla gamba destra, lussazione del gomito sinistro, perforazione dell’addome e peritonite acuta. Eppure, dopo novanta giorni dalla sua morte mancata, uscì dalla Casa Azul di Coyoacàn reggendosi sulle stampelle, stretta nel busto, fino alla fermata dell’autobus.

 

Frida Kahlo e Tina Modotti (Anonimo)

 

Al prodigioso miglioramento sarebbero seguite acute sofferenze, con ricadute che le avrebbero reso insopportabile la propria immagine allo specchio. Ma con il tempo, si costruì un rapporto indissolubile con il dolore dal quale trarne linfa per la sua creazione artistica. Pittrice onirica, dal surrealismo intriso di quella messicanità che irride alla morte con macraba ironia, Frida dipinse molti autoritratti dove il suo volto dal sorriso enigmatico, sovrastava un corpo lacerato, sdoppiato fra la bellezza della propria nudità, che sovrastava lo scempio di un busto in gesso e una protesi per la gamba. Con Tina condivise più un passato trasgressivo, che le rinunce di un presente da militanti. Le era più giovane di undici anni e l’ambiente comunista fu per lei più una ribellione che una scelta sacrificale. Tina ne fu attratta dalla forza che si avvertiva in lei, dalla determinazione con la quale s’era riappropriata della sua vita. In Frida nulla rispondeva al bisogno di attrarre l’attenzione, nulla era frutto della posa di un momento, ma solo dall’istinto indipendente e avverso a qualsiasi convenzionalismo.

 

Diego Rivera and Frida Kahlo in the May Day Parade of 1st May (Mexico City 1929, Tina Modotti)

 

Diego Rivera e Frida Kahlo si conobbero durante una delle solite riunioni a casa di Tina e Diego le chiese di posare per lui. Il 23 agosto 1929, il quotidiano “La Prensa” annunciò il matrimonio avvenuto due giorni prima fra il maestro Diego Maria de la Concepciòn Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodriguez, e la pittrice Magdalena Carmen Frida Kahlo, de Rivera. Diego era al suo terzo matrimonio e al principio i genitori di Frida non furono d’accordo, per la sua fama di donnaiolo e bevitore, oltre al fatto che aveva vent’anni più di lei con un aspetto gigantesco, brutto, sgraziato e girava sempre con la pistola. Ma Diego Rivera possedeva insospettabili doti di gentilezza e affabilità, così i genitori di Frida in breve si convinsero che non poteva esserci uomo più tenero e sensibile a cui affidare la figlia. La strana unione, a dispetto delle chiacchiere salottiere, durò tutti i ventisei anni che rimasero alla vita di Frida, senza peraltro influenzare i rispettivi percorsi artistici.

E non li divisero neppure i tradimenti. Frida sapeva che Diego era un donnaiolo seriale e lo tradì a sua volta, ma la crisi maggiore si acutizzò quando lui la tradì con sua sorella, Cristina Kahlo. Divorziarono per un anno, per poi risposarsi. Nel suo diario Frida annotò anche i suoi amanti, che neppure all’epoca potevano passare inosservati, come, fra altri, Lev Trockij e il poeta André Breton. L’unico rimpianto che ebbero fu quello di non aver potuto avere figli, a causa delle condizioni di salute di lei. Le opere di Frida Kahlo, come le sue ceneri, sono conservate nella Casa Azul, in Calle Londres 247, a Coyoacán, un po’ fuori dal centro di Città del Messico, dove trascorse l’intera esistenza. (Raffigurata nell’immagine in evidenza dell’articolo).

 

Frida Kahlo e Lev Trotsky

 

Dopo la morte di Mella, Diego Rivera sentì che il partito, dov’era ancora uno dei dirigenti, stava tradendo l’essenza rivoluzionaria. Il comunismo per lui era soprattutto l’affermazione di valori umani e sociali, finalizzati a una indipendenza non solo politico-economica, ma anche culturale. inteso come rispetto delle esigenze e dei modi di vita di ogni individuo e di ogni singolo Paese. La rottura fu inevitabile, dopo la svolta autoritaria e accentratrice di Mosca. L’amicizia con Tina evitò  lo scontro da parte di Diego e Frida, sapendo che lei si era allineata con la nuova dirigenza.

Poco dopo il loro matrimonio organizzarono una festa a casa di Tina, che rovinò a causa di una crisi di gelosia di Lupe Marin, la ex moglie di Diego Rivera. E mentre Frida scappò via, Diego ubriaco perse la testa, si mise a sparare al soffitto, urlando che: “tutti i compagni sono vigliacchi e traditori che farebbero impiccare i figli per un briciolo di potere…” Tina lo bloccò, tenendogli stretti i polsi e gli rispose tra i denti a bassa voce: “Tu, Diego, riuscirai a fare più danni con la lingua, che con la tua stramaledetta pistola“. Diego uscì, ma prima si voltò e le rispose: “Sono ubriaco…e forse sono anche pazzo. Ma ciò che ho detto è la verità. E tu… lo sai maglio di me. Hai scelto il silenzio e posso capirti… Ma non puoi pretendere che io faccia lo stesso“.

 

The Arsenal – Diego Rivera (Ministero Istruzione Città del Messico, 1928). Da destra Tina Modotti che porge un caricatore a Julio Antonio Mella, seminascosto a fianco Vittorio Vidali e al centro Frida Kahlo.

 

Nell’ottobre 1929 Diego Rivera venne espulso dal Partito comunista messicano con motivazioni pretestuose, come l’aver accettato affreschi per il governo controrivoluzionario cedendo alle proprie “ambizioni individualiste e piccolo-borghesi”. In realtà Diego si era ormai schierato con l’opposizione di sinistra, ma non nascose mai le sue simpatie per Trockij. Mentre Tina, a soli otto mesi dall’accorata difesa che Diego aveva sostenuto per la sua libertà e la sua reputazione dopo l’omicidio di Julio, non fece nulla per contrastare le accuse di Vidali e degli altri dirigenti. Con glaciale estraneità scrisse a Weston: “Credo che la sua uscita sarà più dannosa a lui che al partito. E’ considerato un traditore. Non è necessario precisare che, a questo punto, anche io lo vedo come tale…” Anche l’amicizia con Frida finì allo stesso modo, cancellandola dalla sua vita in nome della fede. Non si rividero mai più.

 

Autoritratto con collana di spine e colibrì (Frida Kahlo, 1940)

 

Nonostante tutto, il 1929 fu un anno di grosso impegno nell’attività fotografica di Tina. Il tre dicembre si inaugurò nelle sale della Biblioteca nazionale, un’esposizione interamente dedicata alle sue opere, la prima dopo le tante collettive dove Weston era sempre in primo piano. Inaugurata dal rettore dell’Università nazionale autonoma del Messico, ottenne un notevole successo. Gli stessi giornali che avevano scritto di lei come una figura ambigua dalle abitudini indecenti, esaltarono la sua opera e ne declamarono la sensibilità artistica. Una delle fotografie destinata a diventare celebre fu quella che ritraeva la macchina da scrivere di Julio Antonio Mella. Sulla parte in alto si leggono frammenti di frasi sul foglio inserito nel rullo, che fanno pensare a un saggio di ispirazione artistica. Tina le stampò sul manifesto che annunciava la sua mostra, ma quando ne spedì una copia al “Mexican Folkways” per pubblicarlo, le cancellò accuratamente: ciò che stava scrivendo Mella era un passo tratto da un libro di Trockij sul rapporto fra arte e tecnica moderna…

 

La Tecnica – the Typewriter of Julio Antonio Mella (Mexico 1928, Tina Modotti)

 

Anche il comitato “Manos fueras de Nicaragua” rappresentò in quell’anno un grosso impegno politico per Tina. Nonostante gli sforzi del Comintern per sedare qualsiasi tendenza insurrezionale, l’invasione statunitense del piccolo Paese centroamericano, alimentò lo spirito indipendentista di tutto il continente. Augusto Cesar Sandino godeva di particolari appoggi in Messico, dove aveva vissuto nel 1921 e vi aveva lavorato nelle installazioni petrolifere di Cerro Azul, Veracruz, appartenenti alla Huasteca Petroleum Company, statunitense.

La martoriata storia del Nicaragua fu (e lo è ancora) un incessante susseguirsi di guerre civili e invasioni, dove persino un avventuriero psicopatico come William Walker, nel 1855, sceso dal Tennessee con un esercito di mercenari, stipendiato dal gruppo finanziario Vanderbild, si autoproclamò presidente. Nel 1912 gli Stati Uniti diedero il via all’ocupazione militare con i primi contingenti dei marines. Il Paese rappresentava un punto strategico, dove i progetti per l’apertura di un canale transoceanico, risalivano a molto prima di quello Panamense. Si sarebbe trattato di ampliare una via già esistente, costituita dal Rio San Juan che collega l’Atlantico al Gran Lago, dal quale il Pacifico è facilmente raggiungibile. Gli stessi pirati inglesi e olandesi lo avevano già percorso. Vennero pagati tre milioni di dollari per i diritti, che avrebbero giustificato l’insediamento di una commissione di controllo, diventata la vera amministratrice del Paese. Quando poi la scelta ricadde su Panama, Washington non poteva permettere che qualcun’altro realizzasse un secondo canale, per cui il destino del Nicaragua subì l’applicazione pratica della dottrina Monroe. Dal momento in cui il “cortile di casa” manifestò tendenze destabilizzanti, i marines intervennero a ripristinare l’ordine. Il loro sbarco a Veracruz nel 1914, ne aveva dato un assaggio al Messico, con la popolazione della città portuale in rivolta.

 

Esposizione di Tina Modotti (Città del Messico 1929, Anonimo)

 

Nel 1926 Sandino raggruppò il primo nucleo di combattenti, definito dispregiativamente “l’esercito dei pazzi”, in quanto l’alto comando statunitense la considerava una follia. Con pochi uomini pretendeva di resistere a un esercito nettamente superiore per numero, equipaggiamento e armi. Ma Sandino si dimostrò in breve un esperto stratega e un avversario da non sottovalutare. Scelse l’aspra regione montagnosa di Las Segovias (rifugio degli indios che secoli prima resistettero alla dominazione spagnola) come base per i suoi attacchi. E quando poté contare su 800 guerriglieri, tenne per anni in scacco i cinquemila marines statunitensi.

Il 12 luglio 1927 il capitano G.D. Harfield inviò un ultimatum a Sandino, la cui risposta fu “Patria libre o morir“. Gli americani risposero inviando navi d’assalto, un incrociatore e trasportatori stipati di marines. L’uso dell’aviazione e l’impiego massiccio dell’artiglieria, per la prima volta rasero al suolo centri abitati con strage di civili. Pur combattendo secondo gli schemi della I Guerra mondiale, gli statunitensi subirono enormi perdite dai guerriglieri che conoscevano il terreno e la tattica del disimpegno rapido. L’appoggio della popolazione fu determinante offrendo cibo e riparo, ma subendo feroci rappresaglie dagli americani che si sfogarono sui civili, non riuscendo a piegare l’esercito “dei pazzi”.

 

Youth Communist League with members of the ‘Manos fuera de Nicaragua Committee’ Hands Off Nicaragua… (Messico, Tina Modotti)

 

Nel 1929 Sandino si recò in Messico, il suo maggior alleato, ma si trovò di fronte alle richieste di Mosca di rompere tale relazione da parte del PCM. Il Comintern aveva deciso di boicottare con ogni mezzo la lotta dei nicaraguensi. Stalin voleva ingraziarsi gli USA, mantenendoli il più lontano possibile dall’Europa, e la politica della dottrina Monroe poteva diventare un tacito accordo sulle rispettive aree di influenza. Tra l’altro il sandinismo aveva poco da spartire con l’ideologia bolscevica. Pur cantando l’Internazionale, gli scritti di Sandino propugnavano una società socialista con un’azione diretta e pensiero profondamente antiautoritario, basato sul rispetto delle differenze individuali, e sull’affermazione indiscutibile della sovranità nazionale. L’autodeterminazione dei popoli era per lui un punto irrinunciabile e sacro, non avrebbe mai accettato le imposizioni di Mosca.

Durante la permanenza di Sandino a Città del Messico, Tina Modotti si offrì per unirsi ai suoi guerriglieri. Voleva lasciare il Messico per combattere sulle montagne del Nicaragua, che provocò una sfuriata fra lei e Vidali. Tina voleva andarsene perché si sentiva asfisiata, mentre Vidali cercò di dissuaderla con ogni tipo di motivazione, soprattutto il fatto che il partito (il Comintern) aveva già preso una scelta. Tina gli rispose che solo andandosene avrebbe potuto vedere le cose con chiarezza. Pur riluttante, Vidali glielo concesse, dicendole che avevano già diversi compagni fra le fila di Sandino e che avrebbe potuto lavorare con loro, in pratica fornire informazioni, suscitando lo stupore e lo sdegno di Tina.

 

Augusto Nicolás Calderón Sandino

 

Giorni dopo Tina incontrò Sandino, amareggiato perché gli aiuti che sperava erano svaniti. Riguardo la proposta di Tina non l’accettò: sopravvivere nei territori che frequentava, era arduo anche per i più induriti guerriglieri che erano con lui da sempre. Tina non avrebbe potuto fare niente, non erano i guerriglieri che mancavano in Nicaragua, ma l’aiuto di chi, usando la parola “rivoluzione”, gli aveva voltato le spalle.

Al silenzio subentrò il linciaggio: Stalin, resosi conto che Sandino non si sarebbe mai sottoposto ai voleri del Comintern, ordinò una violenta campagna denigratice, tramite El Machete, che dedicò la prima pagina al “tradimento di Augusto C. Sandino”. In un crescendo di menzogne e insulti, il giornale che era stato di Diego Rivera e Julio Antonio Mella, definì Sandino “lacché dell’imperialismo”. Ma nonostante l’isolamento e il boicotaggio, l’indio di Niquinohomo continuò a infliggere sconfitte alle truppe americane, rinunciando ogni accomodamento. Fu trascinato in un tranello con un finto ritiro delle truppe d’occupazione, per intavolare trattative al fine di mettere fine alla sanguinosa guerra civile. Così cadde in un’imboscata da parte della Guardia nazionale di Anastasio Somoza Garcia, presidente e dittatore del Nicaragua.

 

Demonstration by International Red Aid, with a photograph of Julio Antonio Mella, Tizuyuca (Hidalgo), 4th April, 1929 (Tina Modotti)

 

Il 5 febbraio 1930 ci fu un attentato contro il nuovo presidente messicano Pascual Ortiz Rubio, la mancanza di mira e la distanza da cui gli spararono, lo ferirono solo leggermente alla bocca. Ma l’occasione fu irripetibile: iniziò una campagna stampa contro i rifugiati rossi, colpevolizzandoli per il complotto. Poco importò che l’attentatore venisse catturato e che non emersero alcune prove di legami con la sinistra. Si avviò la macchina repressiva, Vidali si volatilizzò, mentre Tina fu accusata della pianificazione dell’attentato e di esserne uno dei mandanti “intellettuali”. Venne incarcerata, dove protestò con lo sciopero della fame. Tredici giorni dopo le comunicarono l’espulsione dal Messico. Aveva quarantacinque ore per lasciare il Paese.

 

Fonti:

Pino Cacucci: Tina
Elena Poniatowska: Tinissima