Tina 6 – Berlino

Un giorno di luglio del 1928 un giovane bussò alla porta di Tina. Lei fu lusingata dall’emozione che questo giovane dall’aria modesta, esprimeva con voce sommessa e timida. Lui le sottopose la sua ammirazione per le sue fotografie che aveva visto in una mostra con Weston. Anche lui era un fotografo e con estrema timidezza mostrò a Tina alcune sue composizioni. In seguito bussò ancora alla sua porta portandole delle bozze da vedere e disse a Tina di chiamarsi Manuel Alvarez Bravo.

Due anni dopo, nel 1930, mentre Tina stava raccogliendo le poche cose che avrebbe potuto portare con sé, e una mezza dozzina di agenti l’attendeva per accompagnarla all’imbarco per l’espulsione, il giovane Manuel Alvarez Bravo fu l’unico che si recò presso la sua abitazione. E mentre Tina gettava nervosamente al centro della stanza tutto ciò che non poteva stare nei bagagli, comprese le fotografie, Alvarez ne raccolse alcune e le chiese timidamente di poterle conservare. Tina annuì distratta. Fu grazie a lui che si salvarono molte sue foto inedite, i cui negativi andarono perduti. Il giovane Manuel Alvarez Bravo fu l’unico che la salutò dalla banchina del treno Jarocho, destinazione Veracruz.

 

In the Prison Cell (Mexico City 1929, Tina Modotti)

 

La nave in cui si imbarcò era un cargo olandese che si chiamava Edam. Tina venne imbarcata come detenuta perché i suoi tentativi per un visto verso gli Sati Uniti furono inutili. L’ambasciatore Dwight Morrow le riconobbe il diritto di cittadinanza come vedova di Roubaix de l’Abrie Richey, ma non avendo un passaporto statunitense, condizionò il visto a una sua dichiarazione scritta, nella quale si sarebbe dovuta impegnare a ripudiare l’ideologia comunista e a non svolgere attività politica. Al rifiuto di Tina, l’ambasciatore incaricò le autorità messicane al divieto di sbarco, obbligandola a proseguire verso Rotterdam.

Durante la sosta nel porto di Tampico, Tina sul ponte vide salire altri passeggeri e notò l’uomo della prima fila con cui l’agente dell’imigrazione si stava rallegrando. Non credette ai suoi occhi, l’audacia di Vidali non aveva limiti. Si era imbarcato con un passaporto peruviano intestato a Jacobo Hurwitz Zender. Gli assegnarono una cabina e godette ampia libertà di movimento, mentre per la polizia messicana era un latitante, con un mandato di cattura spiccato a nome di Carlos J. Contreras. E nell’infinità di mezzi per allontanarsi dal Messico, scelse proprio l’Edam dove viaggiava Tina. Il secondo scalo fu Cuba, Vidali scese e per due giorni controllò le attività del Partito comunista cubano, in qualità di funzionario del Comintern. Mentre Tina venne sorvegliata e rinchiusa in cabina durante lo scalo, scrivendo una lunga lettera a Weston. Quindici giorni dopo l’Edam attraccò a New Orleans. La fama di pericolosa sovversiva l’aveva preceduta e venne rinchiusa in una stanza del commissariato portuale da dove, anche qui, scrisse a Weston. In ogni porto inviò lettere a Weston dalle quali trasparì il progressivo rafforzarsi delle sue convinzioni politiche. Respinse con forza ogni tentazione di cedere al rimpianto per i continui sradicamenti sofferti e manifestò la sicurezza di potersi realizzare come rivoluzionaria. Non fece mai accenno a Vidali.

 

Ritratto di Vittorio Vidali sull’Edam (1930, Tina Modotti)

 

Tina a trentaquattro anni, aveva perso tutte le relazioni con il suo ambiente fotografico e si ritrovò ancora una volta sola. La militanza era l’unico rifugio che le rimaneva. Contare sull’appoggio dell’Internazionale Comunista era ormai una scelta obbligata. L’arrivo in Olanda non mise fine al suo interminabile viaggio in Europa. L’Ovra aveva incaricato l’ambasciata italiana di presentare una richiesta di estradizione immediata. Quando l’Edam approdò a Rotterdam, la sua scheda nel Bollettino delle ricerche – supplemento dei sovversivi, firmato dal questore di Udine, riportava l’annotazione: “Comunista da fermare“.

La sua estradizione fu bloccata dalla sinistra olandese, tramite famosi avvocati. Il governo olandese si trovò di fronte a una fragorosa protesta, durante la quale prese tempo, vietando lo sbarco di Tina a Rotterdam. L’asilo politico avrebbe causato un incidente diplomatico con il governo Mussolini, per cui le fu accordato il permesso di scendere, a patto che entro 24 ore uscisse dal Paese. Il partito comunista olandese ottenne l’aiuto di quello tedesco che intercedette per un permesso di entrata in Germania. Il 14 aprile 1930, Tina arrivò a Berlino. Nel frattempo Vittorio Vidali ricevette l’ordine di rientrare a Mosca. Le propose di seguirlo in Unione Sovietica, ma Tina rifiutò. Aveva bisogno di tempo e solitudine, prima di compiere una scelta senza ritorno.

 

Temi e soggetti della fotografia di Tina Modotti.

 

Se in Messico Tina aveva sfruttato uno dei momenti più vivi e intensi della storia di quel Paese, in Germania era giunta troppo tardi. La vita intellettuale e artistica nel 1927 aveva espresso il momento più alto di un popolo rivolto al superamento di un impero sconfitto, e nel 1929 la crisi di Wall Street trascinò nel disastro l’economia tedesca. In un anno la creatività della Berlino letteraria, dell’architettura Bauhaus e delle innovazioni teatrali e musicali, naufragò in milioni di disoccupati, di mendicanti, di fantasmi alla ricerca di cibo e di un riparo per la notte. La politica ottusa delle nazioni vincitrici si accanirono a imporre umiliazioni e inutili restrizioni che favorirono un’escalation di rivincita. Il nazionalsocialismo trovò terreno fertile, dimostrando l’impotenza dei quattro milioni di voti comunisti e i settantasette seggi che occupavano nel Reichstag. Tina provò ammirazione per la capacità di sacrificio dei berlinesi, ma li descrisse tristi, senza sorrisi, che camminavano sempre in fretta, come riflettessero su una tragedia imminente.

A Berlino avrebbe potuto avere ospitalità, avendo conosciuto in Messico una coppia di tedeschi, i Witte, che nella loro ammirazione per lei e Weston, gli avevano garantito in qualunque momento una stanza nella loro casa di Berlino. Ma scelse l’indipendenza, anche se se la passava male. La diffusione della fotografia in Germania era superiore a qualsiasi altro Paese e trovare un impiego non era facile. Decise di chiedere a Weston di aiutarla tramite le sue conoscenze fra i fotografi tedeschi, venendo meno a una sua prassi molto radicata, tanto era nei guai. Alla lettera aggiunse un post scriptum di non divulgare la sua presenza in Germania, sottolineando il suo stato di semi-clandestina. In seguito concesse alla sua creatività un permesso temporaneo dagli impegni politici. Sarebbe stato l’ultimo.

 

Hannes Meyer, direttore del Bauhaus

 

L’incontro con Hannes Meyer segnò l’inizio di una profonda amicizia che sarebbe sopravvissuta a tutte le future tragedie. Meyer era architetto, caduto in disgrazia e destituito dall’incarico, nonostante avesse chiuso la cellula comunista del Bauhaus, del quale era stato direttore. Meyer era svizzero, nel 1930 si trasferì in Unione Sovietica, nel 1936 tornò in Svizzera e nel 1939 partì per Città del Messico, dove in seguito rincontrò Tina. A Berlino Tina fu sorpresa dalle opere fotografiche degli artisti che avevano aderito al Bauhaus. Conobbe diversi fotografi che sperimentavano collage fotografici e ricerche pittoriche-fotografiche. Ma non la interessarono, lei cercava una sua personale espressione.

Le immagini che scattò a Berlino trasmettono una imprevedibile ironia, in contrasto con la cupezza del luogo. Nella dozzina di lavori scampati, sembrò riaffiorare la Tina luminosa, spregiudicata, incline a giocare con la vita propria e altrui senza ferire. Vendette la sua amata Graflex ed ebbe difficoltà ad usare una Leica 35. Il 14 maggio 1930 entrò a far parte della Unionfoto Gmbh, un’associazione di fotografi professionisti, che le rilasciò credenziali da reporter. Lo scrisse a Weston e aggiunse di non scrivere il suo nome nella risposta, che veniva recapitata ai Witte. La situazione stava precipitando in una spirale di persecuzioni. Le difficoltà di Tina aumentarono e la mancanza del calore messicano pesavano molto sui suoi stati d’animo. La fotografa Lotte Jakobi esibì i lavori di Tina in un’esposizione privata, che suscitò profonda emozione nel critico Egon Erwin Kisch il quale elogiò in particolar modo una sua fotografia, citando i verdi paesaggi svizzeri, titolata più tardi “Deutsche Landschaft” (Paesaggio tedesco). Non c’erano paesaggi simili attorno a Berlino, per cui si presume un viaggio di Tina in Svizzera per conto di Soccorso Rosso. A riprova c’è una lettera spedita a un amico messicano.

 

In the Zoological Garden (Berlin Germany 1930, Tina Modotti)

 

Durante il viaggio in Svizzera eluse i controlli dell’Ovra italiano che continuava a cercarla. Infatti l’incaricato dell’ambasciata a Berlino che si occupava delle attività sovversive, comunicò in un rapporto la probabile presenza di Tina Modotti a Berlino. Tina non partecipò mai a esposizioni pubbliche e non frequentò italiani, e fu la sua fortuna in quanto la sua residenza nella pensione Schulz, venne scoperta solo molti mesi dopo che aveva lasciato la Germania. Il successo che stava riscuotendo in quei pochi mesi a Berlino, non furono sufficienti a trattenerla in Germania. Per quel breve periodo la fotografia le aveva ancora invaso la vita, risvegliando una passione ormai diventata secondaria. Ma viveva in un Paese dove non poteva manifestare le sue idee apertamente, sempre costretta a limitare le discussioni nel chiuso di case di amici. La militanza comunista per i tedeschi si traduceva ormai solo nel lavoro clandestino. Avvertì sempre più la mancanza di un ambiente che in Europa non avrebbe mai trovato. Vidali si faceva sentire ogni tanto, insistendo di raggiungerlo a Mosca. Si stava avvicinando la scadenza del suo permesso di soggiorno e non ebbe altra scelta. Tina lasciò Berlino e con lei la fotografia, nell’ottobre 1930. Gli si chiuse un’epoca, ma sfuggendo agli echi di un’Europa impazzita, il futuro gli stava riservando la tragedia dei suoi ideali soffocati e traditi.

Cinque mesi prima che Tina arrivasse a Mosca, Vladimir Majakovskij prese il suo ultimo foglio per scrivere: […] “Come si dice, l’incidente è chiuso. La zattera dell’amore si è infranta contro la vita circostante. E con la vita, ora sono pari” […] Poi si sparò un colpo di pistola al cuore. Ma per Tina, che arrivava da una situazione di sradicamento e solitudine, Mosca rappresentò la sicurezza protettiva di un ambiente che la accolse e le offrì il primo punto fermo della sua esistenza.

 

Fonti:

Pino Cacucci: Tina
Elena Poniatowska: Tinissima