We do not write about history. We write about remembering “ Hannah Krall, “ Shielding the Flame “.
Introduzione.
Note sulla prima lettera.
“Testimonies From the Censored Deir Yassin Massacre: ‘They Piled Bodies and Burned Them’
“ A young fellow tied to a tree and set on fire. A woman and an old man shot in back. Girls lined up against a wall and shot with a submachine gun. The testimonies collected by filmmaker Neta Shoshani about the massacre in Deir Yassin are difficult to process even 70 years after the fact.”
L’intero documentario di Neta Shoshani qui:
https://www.youtube.com/watch?v=ExkOxmMMwSM
La prima lettera.
Dicembre 1948. Estratti dalla lettera al New York Times in protesta alla visita di Menachem Begin capo del partito Herut.
“…Diversi americani di rilievo hanno prestato i loro nomi per accogliere la sua visita. È inconcepibile che coloro che si oppongono al fascismo in tutto il mondo, se correttamente informati sulle prospettive e il record politico del signor Begin, possano aggiungere i loro nomi e il loro sostegno al movimento che egli rappresenta.
Prima che si faccia un danno irreparabile sotto forma di contributi finanziari, manifestazioni pubbliche a favore di Begin e la creazione in Palestina dell’impressione che una grande parte dell’America sostenga elementi fascisti in Israele, il pubblico americano deve essere informato sulle azioni e gli obiettivi del signor Begin e del suo movimento.
Le dichiarazioni pubbliche del partito di Begin non sono affatto una guida al suo vero carattere.
Oggi parlano di libertà, democrazia e anti-imperialismo, mentre fino a poco tempo fa predicavano apertamente la dottrina dello stato fascista.
È nelle sue azioni che il partito terroristico tradisce il suo vero carattere; dalle sue azioni passate possiamo giudicare cosa ci si può aspettare in futuro.
Attacco al villaggio arabo
Un esempio scioccante fu il loro comportamento nel villaggio arabo di Deir Yassin.
Questo villaggio, lontano dalle strade principali e circondato da terre ebraiche, non aveva preso parte alla guerra e aveva addirittura respinto bande arabe che volevano usare il villaggio come loro base.
Il 9 aprile, bande terroristiche attaccarono questo pacifico villaggio, che non era un obiettivo militare nella lotta, uccisero la maggior parte dei suoi abitanti (240 uomini, donne e bambini) e ne tennero alcuni in vita per esibirli come prigionieri per le strade di Gerusalemme…
…Ma i terroristi, lontani dal vergognarsi del loro atto, erano orgogliosi di questo massacro, lo pubblicizzarono ampiamente e invitarono tutti i corrispondenti stranieri presenti nel paese a vedere i cadaveri ammassati e il generale caos a Deir Yassin.
L’incidente di Deir Yassin illustra il carattere e le azioni del Partito della Libertà.
All’interno della comunità ebraica, hanno predicato un’accozzaglia di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale.
Come altri partiti fascisti, sono stati usati per rompere gli scioperi e hanno stessi pressato per la distruzione dei sindacati liberi. In loro vece hanno proposto sindacati corporativi sul modello fascista italiano.
Durante gli ultimi anni di violenza anti-britannica sporadica, i gruppi IZL e Stern inauguravano un regno del terrore nella comunità ebraica della Palestina. Gli insegnanti venivano picchiati se parlavano contro di loro, adulti venivano sparati per non lasciare che i loro figli si unissero a loro.
Con metodi da gangster, pestaggi, sfondamenti di vetrate e rapine diffuse, i terroristi intimidivano la popolazione ed estorcevano un pesante tributo…
Discrepanze notate
Le discrepanze tra le audaci affermazioni ora fatte da Begin e dal suo partito e il loro registro di performance passata in Palestina portano l’impronta di un partito politico fuori dall’ordinario.
Questo è il marchio inequivocabile di un partito fascista per cui il terrorismo (contro ebrei, arabi e britannici allo stesso modo) e la rappresentazione distorta sono mezzi, e uno “Stato Leader” è l’obiettivo.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, è imperativo che la verità sul signor Begin e sul suo movimento sia resa nota in questo paese.
È tanto più tragico che la leadership di spicco del sionismo americano abbia rifiutato di fare campagna contro gli sforzi di Begin o addirittura di esporre ai propri costituenti i pericoli per Israele derivanti dal sostegno a Begin.
I sottoscritti prendono quindi questo mezzo per presentare pubblicamente alcune informazioni salienti su Begin e il suo partito e per esortare tutti coloro che sono interessati a non sostenere questa ultima manifestazione del fascismo.
Isidore Abramowitz, Hannah Arendt, Abraham Brick, Rabbino Jessurun Cardozo, Albert Einstein, Herman Eisen, M.D., Hayim Fineman,M. Gallen, M.D., H.H. Harris, Zelig S. Harris, Sidney Hook, Fred Karush, Bruria Kaufman, Irma L. Lindheim, Nachman Maisel, Seymour Melman, Myer D. Mendelson, M.D., Harry M. Oslinsky, Samuel Pitlick, Fritz Rohrlich, Louis P. Rocker, Ruth Sagis, Itzhak Sankowsky, I.J. Shoenberg, Samuel Shuman, M. Singer, Irma Wolfe, Stefan Wolfe.”
Ps: Menachem Begin, ex leader di Herut, poi Likud, diventerà Primo Ministro israeliano 1977. Yizhak Shamir ex leader della banda Stern diventerà Primo Ministro israeliano 1986.
Testo integrale originale qui:
https://archive.org/details/AlbertEinsteinLetterToTheNewYorkTimes.December41948
Intera versione in italiano qui : https://contropiano.org/interventi/2024/01/05/einstein-e-arendt-sulle-radici-fasciste-del-likud-0168116
A)Herut: https://it.wikipedia.org/wiki/Lohamei_Herut_Israel
B) Un interessante dettaglio sulla Stern.Nel tentativo di sconfiggere il mandato britannico in Palestina la Stern chiese la collaborazione dei nazisti:
C) Herut diventerà Likud. Le bande Stern e Hasanah verranno incorporate nel Israel Defence Forces ( IDF).
D) Wikipedia inglese:https://en.wikipedia.org/wiki/Deir_Yassin_massacre
C)Wikipedia italiano:https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Deir_Yassin
E) Sono documentati a più di 500 i villaggi sfollati e distrutti dall’avanzata sionista. Sotto quello che oggi è un parcheggio il villaggio di Tantura, scena di un altro massacro documentato dal regista israeliano Alon Sholtz:https://www.middleeasteye.net/discover/israel-palestine-tantura-massacre-documentary-premiere-london
MEE spoke with Israeli film director Alon Schwarz about his film Tantura, based on the Tantura massacre of 1948, when the Israeli army carried out a massacre against Palestinians in the small fishing village of Tantura. pic.twitter.com/tttTj15iOA
— Middle East Eye (@MiddleEastEye) December 6, 2022
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Note sulla seconda lettera.
Marek Edelman eroe della resistenza ai nazisti nel ghetto di Varsavia, non è commemorato tra i “ Giusti “ in Israele. Come Primo Levi che si considerava “ piemontese, italiano ebreo “*, Edelman era un fiero polacco ebreo, socialista, internazionalista.
” Di quale popolo ebraico stiamo parlando?”, ha detto una volta al quotidiano israeliano Yediot Aharonot. “Israele è stato creato sulla distruzione della vasta e secolare cultura ebraica che fioriva tra la Vistola e il Don. La cultura israeliana non è cultura ebraica. Se si vuole vivere tra milioni di arabi, bisogna mescolarsi con loro, lasciare che l’assimilazione e i matrimoni misti facciano il loro lavoro.”
Ma non fu solo l’avversione al sionismo a rendere il capo della resistenza ai nazisti a Varsavia ‘dimenticato’ in Israele. A fare sì che le rappresentanze israeliane si rifiutassero a commemorare in sua presenza il ricordo del ghetto da cui migliaia finirono nei campi di concentramento. A non presentarsi al suo funerale. Fu una lettera.
Giudicatela voi.
La seconda lettera.
“ A tutti i leader delle organizzazioni militari, paramilitari e guerrigliere palestinesi.
A tutti i combattenti dei gruppi militanti palestinesi.
Il mio nome è Marek Edelman, sono l’ex vice comandante dell’organizzazione militare ebraica in Polonia, uno dei leader dell’insurrezione nel ghetto di Varsavia.
Nel memorabile anno dell’insurrezione – il 1943 – noi combattevamo per la sopravvivenza della comunità ebraica a Varsavia. Noi combattevamo semplicemente per la vita, non per un territorio, non per un’ identità nazionale.
Noi combattevamo con disperata determinazione, ma le nostre armi non sono mai state puntate contro civili indifesi…
Noi eravamo isolati nella nostra lotta e tuttavia il potente esercito nemico non era capace di distruggere questi ragazzi e ragazze male armati…
Tuttavia in nessuna parte del mondo una forza di guerriglia può riportare una vittoria decisiva, né in nessuna parte del mondo la guerriglia può essere sconfitta da un esercito ben armato. Perciò la vostra guerra non può giungere a nessuna soluzione. Il sangue continuerà a scorrere invano e vite saranno perdute da entrambe le parti.
Noi non siamo mai stati incuranti della vita umana. Non abbiamo mai mandato i nostri combattenti incontro a morte certa. La vita è solo una per tutta l’eternità. Nessuno ha diritto di gettarla via senza riflettere. È giunto il momento per tutti di capire proprio questo…
…Sia voi che lo Stato d’Israele dovete radicalmente cambiare il vostro atteggiamento. Dovete volere la pace, al fine di salvare la vita di centinaia e forse migliaia di persone, e per creare un futuro migliore per i vostri cari, per i vostri figli.
So per esperienza personale che l’attuale svolgersi degli eventi dipende da voi, i capi militari. L’influenza dei politici e degli attori civili è molto più piccola…
…Siete saggi e abbastanza intelligenti da capire che senza la pace non c’è futuro per la Palestina, e la pace può essere ottenuta solo al costo di alcune concessioni accettate da entrambe le parti.
Marek Edelman, 10 Agosto 2002.”
Testo completo qui:https://avanguardiedellastoria.wordpress.com/2015/01/26/de-normalizzare-la-memoria-con-il-comandante-edelman/comment-page-1/
1) https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003154262
2)Biografia: (italiano)
https://it.wikipedia.org/wiki/Marek_Edelman
Una vita: ( inglese )
https://jewishcurrents.org/marek-edelman-the-heroic-anti-hero
3) La storia della resistenza nel ghetto di Varsavia:
https://nardellimartina.wordpress.com/storia-contemporanea/varsavia/
4)Letture su sionismo, antisionismo e dissidenti ebrei:
*https://literaryreview.co.uk/germaine-greer-talks-to-primo-levi
https://www.labottegadelbarbieri.org/essere-antisionisti/
https://contropiano.org/news/cultura-news/2019/03/22/a-proposito-di-semiti-e-antisemiti-sionisti-e-antisionisti-0113671———————————————————————————————
Note sulla terza lettera.
Pochi giorni dopo la risposta israeliana all’attacco di Hamas, Anto ha commentato riportando questa lettera, scritta da Ghassan Kanafani nel 1956. Nelle fughe dai bombardamenti arrivavano sui giornali le voci da Gaza: “ Questa è la mia casa, qui è la mia storia, la mia terra: dove altro dovrei andare? “.
Ecco, il racconto di Kanafani, ormai così vecchio ma così contemporaneo, mi è tornato spesso in mente e lo ripubblico. Anche se oggi non c’è casa, non ci sono ospedali, non c’è che terra martoriata e macerie; anche se oggi sono mille e mille e mille ancora le piccole nipoti prima ferite e poi morte che gli zii non vedranno più, rileggiamo all’indietro di una Gaza sotto le bombe già da un lontano ieri.
19482024
La terza Lettera.
1956 ”Perché non abbandoniamo questa Gaza e fuggiamo? Ghassan Kanafani .“ Caro Mustafa,
ho ricevuto la tua lettera, nella quale mi dici di aver fatto tutto il necessario per consentirmi di stare con te a Sacramento. Mi hanno comunicato di essere stato accettato al dipartimento di Ingegneria civile nell’Università della California. Devo ringraziarti per ogni cosa, amico mio. Ma quello che
sto per rivelarti ti sorprenderà piuttosto inaspettatamente: non ho dubbi in proposito; non mi sento di esitare affatto; ne sono così convinto che non ho mai visto chiaramente le cose come le vedo adesso. No, amico mio, ho cambiato idea. Non ti seguirò “nella terra dove c’è vegetazione, acqua e
facce attraenti”, come hai scritto. No, sto qui, non partirò più…
…La tua faccia non era cambiata, era la solita di quando crescevi a Shajia, nel quartiere di Gaza, a parte quelle lievi rughe. Siamo cresciuti insieme, in piena sintonia, e insieme ci siamo promessi di andare avanti sino alla fine. Ma…
… Ma per qualche oscura ragione, sentivo che non eri completamente felice di andartene. Non riuscivi a fartene una ragione. Anche io ho sofferto questo strazio, ma la cosa sicura era: perché non abbandoniamo questa Gaza e fuggiamo? Perché non fuggiamo?…
…A metà anno, di quell’anno, gli ebrei bombardarono il distretto centrale di Sabha e attaccarono Gaza, la nostra Gaza, con bombe e lancia fiamme. Quell’avvenimento avrebbe potuto produrre dei cambiamenti nella mia vita abitudinaria, ma non c’era niente per me di così interessante; stavo
lasciando dietro di me questa Gaza per andare in California, dove avrei vissuto la mia vita, tutta la vita per me stesso, la vita che avevo sofferto così tanto. Odiavo Gaza e i suoi abitanti. Ogni cosa nella città mutilata mi ricordava quadri grigi abbandonati, dipinti da un pittore malato.
Sì, avrei mandato a mia madre, alla vedova di mio fratello e ai suoi figli un po’ di denari per aiutarli a vivere, ma avrei anche liberato me stesso da questo ultimo legame, lì, nella verde California, lontano dal fetore di sconfitta che per sette anni ha riempito le mie narici. L’affetto che mi legava ai bambini di mio fratello, alla loro madre e a mia madre, non sarebbe mai stato abbastanza da giustificare la mia tragedia, il mio salto all’ingiù. E questo non doveva trascinarmi più a fondo più di quello che aveva già fatto. Dovevo fuggire!
Conosci questi sentimenti, Mustafa, perché ci sei passato anche tu. Che cosa è questo maldefinito legame che noi abbiamo con Gaza, che smorza il nostro entusiasmo per volare? Perché non abbiamo analizzato la faccenda in modo da darle un chiaro significato? Perché non abbiamo lasciato
questa sconfitta con i suoi feriti dietro di noi e ci siamo mossi verso un futuro più luminoso che ci avrebbe dato una più profonda consolazione? Perché? Non lo sapevamo esattamente.
Quando andai in vacanza a giugno, e misi insieme i miei averi, avevo voglia di una dolce partenza, l’inizio verso quelle piccole cose che danno alla vita un piacevole, luminoso significato. Trovai Gaza proprio come la conoscevo: chiusa come fosse un involucro interno, attorcigliato su se stesso,
del guscio corroso di una lumaca scaraventata dalle onde sulla collosa, sabbiosa spiaggia vicino al mattatoio.
Questa Gaza, più stretta del respiro di uno che sogna un incubo terribile, con l’odore particolare dei suoi stretti vicoli, l’odore della povertà e della sconfitta, e le case con i protuberanti balconi… questa Gaza!
Ma quali sono gli oscuri motivi che attirano un uomo verso la sua famiglia,
la sua casa, le sue memorie, come una sorgente attira un piccolo gregge di capre montanare? Non lo so. Tutto quello che so è che andai da mia madre, a casa nostra, quella mattina. Quando arrivai, incontrai la moglie del mio defunto fratello che mi chiese, piangendo, di far visita a Nadia quella
sera, la figlia ferita ricoverata in ospedale, secondo il suo desiderio. Conosci Nadia, la bella figlia tredicenne di mio fratello?
Quella sera comprai un po’ di mele e mi preparai a fare visita a Nadia in ospedale. Sapevo che c’era qualcosa che mia madre e mia cognata mi stavano nascondendo, qualcosa che le loro labbra non potevano pronunciare, qualcosa di strano che non potevo cogliere. Volevo bene a Nadia con naturalezza, la stessa naturalezza che mi faceva voler bene a tutta quella generazione che era stata allevata sulle sconfitte e sulla rimozione, pensando che una vita felice fosse un genere di devianza sociale.
Cosa successe al momento? Non lo so. Entrai con calma nella stanza bianca. I bambini malati avevano qualcosa della santità; la malattia del bambino sembrava il risultato di ferite dolorose, crudeli. Nadia era sdraiata sul letto, con la schiena appoggiata su un grande cuscino, sul quale si
spargevano i suoi capelli come una folta chioma. C’era un profondo silenzio che veniva dai suoi occhi spalancati, e una lacrima brillava nell’intensità delle sue pupille nere. Il suo viso era imperturbabile ma eloquente, come può essere la faccia di un profeta torturato. Nadia era ancora
una bambina, ma sembrava più che una bambina, molto di più, e più grande di una bambina, molto più grande.
“Nadia!”
Non avevo idea se fossi stato io a parlare, o se ci fosse qualcun altro dietro di me. Ma lei sollevò gli occhi verso di me e sentii che questi si dissolvevano come una zolletta di zucchero caduta dentro
una tazza di tè caldo.
Assieme al delicato sorriso sentii la sua voce. “Zio! Vieni dal Kuwait?”
La voce le si ruppe in gola; si alzò da sola con l’aiuto delle mani tendendo il collo verso di me. Le accarezzai le spalle e le sedei vicino.
“Nadia! Ti ho portato dei regali dal Kuwait, diversi regali. Aspetto che lasci il letto, completamente guarita, verrai a casa e te li darò. Ti ho comprato i pantaloni rossi che mi hai chiesto nella lettera. Sì, li ho comprati.”
Era una bugia, generata dalla tensione della situazione, ma come la pronunciai sentii che stavo dicendo per la prima volta la verità. Nadia tremò come se le avessero fatto l’elettro shock, e abbassò la testa in un terribile silenzio. Sentivo le sue lacrime bagnare il dorso della mia mano.
“Dimmi qualcosa, Nadia! Non vuoi i pantaloni rossi?” Sollevò lo sguardo verso di me e fece come parlare, ma poi si fermò, strinse i denti e sentii ancora la sua voce, come se venisse da lontano.
“Zio!”
Tese le mani, sollevò il bianco copriletto con le sue dita e indicò la sua gamba, amputata dalla coscia.
Amico mio… Non potrò mai dimenticare la gamba di Nadia, amputata dalla coscia. No! Non dimenticherò mai il dolore che modellò il suo viso e si fuse per sempre nei suoi tratti. Quel giorno uscii dall’ospedale di Gaza con la mano che stringeva, in silenzioso scherno, le monete che avevo
portato per Nadia. Il sole cocente riempiva le strade con il colore del sangue.
E Gaza era come marchiata a nuovo, Mustafa! Non abbiamo mai visto niente di simile, io e te. Le pietre accatastate all’ingresso del quartiere di Shajia, dove vivevamo, avevano assunto un significato, e sembrava che
fossero state messe lì per spiegare qualcosa e non già per altre ragioni. Questa Gaza dove abbiamo vissuto e la gente con la quale abbiamo passato sette anni di disfatte, era qualcosa di nuovo. Mi sembrava giusto un inizio. Non so perché ho pensato che fosse proprio un inizio. Ho immaginato che la strada principale che ho percorso rientrando a casa, fosse solo l’inizio di una lunga, lunga strada che porta a Safad. Ogni cosa in questa Gaza emanava tristezza, non confinata al pianto.
Era una sfida: di più, era qualcosa come la restituzione di una gamba amputata.
Andai fuori per le strade di Gaza, strade piene di luce accecante. Mi dissero che Nadia aveva perso la sua gamba mentre si lanciava sui fratellini e sorelline per proteggerli dalle bombe e dalle fiamme
che avevano avviluppato la casa. Nadia poteva salvarsi, poteva scappare, salvare la sua gamba. Ma non lo fece.
Perché?
No, amico mio, non andrò a Sacramento, e non me ne rammarico. No, e neppure finirò quello che abbiamo iniziato insieme nella nostra infanzia. Questo oscuro sentimento che hai avuto come hai lasciato Gaza, questo piccolo sentimento deve crescere dentro di te come un gigante. Deve
espandersi, e devi cercarlo per trovare te stesso, qui tra le brutte macerie della sconfitta.
Non verrò da te. Ma tu, tu torna da noi! Rientra, per imparare dalla gamba amputata di Nadia, amputata dalla coscia, che cosa è la vita e cosa il valore dell’esistenza.
Rientra, amico mio! Siamo tutti quanti qui ad aspettarti.
Kuwait, 1956 “.
La patria e la terra, ricordando scrittori e poeti palestinesi:
-Una recensione della Piccola Lanterna, scritto da Kanafani per sua nipote qui:https://editoriaraba.com/2013/05/14/la-piccola-lanterna-di-ghassan-kanafani/
-https://rebstein.wordpress.com/2009/10/11/coltivare-la-speranza-in-memoria-di-mahmud-darwish/