Furtwaengler 3: Una Nona per la civiltà occidentale

Al termine della guerra Furtwaengler tornò subito in patria, inseguito dagli attacchi della stampa svizzera, che lo accusava di essere stato un collaborazionista del nazismo, non avendo preferito prendere la via dell’esilio come molti artisti avevano fatto. In Germania era in atto un generale processo di denazificazione: il comportamento, i discorsi, gli scritti, le azioni di tutti coloro che avevano avuto un qualche ruolo durante il regime nazista venivano sottoposti ad un severo vaglio per valutare la loro effettiva adesione alle idee e ai principi del nazionalsocialismo e, in caso affermativo, venivano irrogate pene più o meno severe a seconda dei casi. Furtwaengler subì il processo di denazificazione come un’offesa alla sua dignità. correttezza e dirittura morale e personale. Fu tuttavia assolto, ma subì, come molti altri, un periodo di epurazione di circa due anni. Fra l’altro, ci si era messa di mezzo anche la incipiente guerra fredda e i Russi pur di averlo nella parte di Germania da loro occupata, avrebbero fattto carte false e lo avrebbero accettato anche se si fossse presentato in divsa da SS. Passò questo periodo in sdegnoso silenzio, ritirato nella sua residenza. I Berliner nel frattempo, trovandosi senza direttore, conclusero un contratto settennale col maestro romeno Sergiu Celibidache. Quando Furtwaengler riprese a dirigere i Berliner nel 1947, venne quindi a trovarsi nella condizione di direttore ospite.

Durante la sua carriera Furtwaengler aveva diretto più volte il Ring di Wagner, ma esistevano registrazioni su disco delle singole opere che compongono il ciclo, effettuate in tempi diversi. Non esisteva insomma una sua integrale del Ring des Nibelungen. Per una stramba ironia della sorte, il paese meno wagneriano di tutti, l’Italia, gli fornì l’occasione di effettuare la registrazione integrale del Ring, e non solo una volta, ma addirittura due volte. Nel 1950 la Scala di Milano lo invitò ad eseguire tutte le serate del Ring. Lui portò con sé i suoi cantanti di sempre e ne uscirono quattro serate memorabili, anche se l’usura dell’età si fa sentire su alcune voci (la grandissima Kirsten Flagstadt ad esempio aveva superato i 50) e l’orchestra della Scala, pur magnifica sotto la bacchetta di Furtwaengler, fa sentire che all’epoca non aveva ancora conseguito la mano per Wagner. La registrazone dal vivo che ne fu tratta, pur con i limiti tecnici dell’epoca, è una tappa fondamentale nella storia dell’interpretazione di Wagner, un punto ineliminabile di riferimento e di partenza per chi voglia iniziare ad accostarsi alle complessità di Wagner e del Ring in particolare. Nel 1953 fu la RAI ad invitare il maestro per una integrale del Ring con l’orchestra Rai di Roma. Anche di questa esecuzione esiste la registrazione, stavolta con cantanti più giovani, alcuni dei quali diventeranno negli anni successivi grandi wagneriani o già lo erano, ma è l’orchestra che lascia veramente a desiderare.

Bayreuth durante la guerra fu bombardata più volte dagli Alleati e fu distrutta per i due terzi. Wahnfried, la casa dei Wagner, fu ridotta in macerie, mentre rimase in piedi il teatro. Durante l’occupazione, gli Americani per sfregio lo trasformarono in una sorta di Arcade, sala da gioco e music hall per il passatempo delle truppe, in particolare di colore. Fu solo nel 1951 che gli Alleati accettarono di restituire la Festspielhaus alla sua destinazione e concedettero il permesso di riprendere i Festival wagneriani, nonostante le fortissime polemiche tra gli stessi tedeschi, tanto e tale era stato il legame tra i miti, i riti, e le ideologie del nazismo e la interpretazione di Wagner data da Winifred Wlliams. Ad esempio il Presidente della Repubblica Federale Heuss si rifiutò di partecipare alla riapertura. Comunque la direzione del Festival sarebbe stata affidata ai nipoti di Wagner, e la Neue Bayreuth avrebbe cercato di liberare le opere di Wagner da tutti gli orpelli, le incrostazioni e le simbologie, che erano state loro appicciccate addosso in parte da Wagner stesso, ma soprattutto dalla moglie Cosima e dalla nuora inglese Winifred Williams, che ancora nel 1980 si dichiarava nazista convinta, imperterrita innamorata di Hitler. L’opera prevista per la riapertura fu il Parsifal, affidato alla bacchetta di Hans Knappertbusch, antinazista da sempre, che diede dell’opera una interpretazione memorabile che è rimasta storica. A seguire Der Ring des Nibelungen diretto da Karajan. Ma prima di tutto ci fu la serata celebrativa di apertura il 29 luglio 1951, che ripeté la sera del 1873, quando Wagner inaugurò il teatro dirigendo la Nona Sinfonia in re minore Op. 125 di Beethoven. Questa volta la direzione fu affidata a Wilhelm Furtwaengler. Anche se si trattava della ripetizione di una cerimonia avvenuta 78 anni prima, l’esecuzione della Nona di Beethoven da parte di Furtwaengler acquistò un significato particolare perché si inserì in un clima del tutto nuovo, di rinascita e di rinnovamento e di ripresa di ideali ancora vivi e operanti nononstante i disastri prodotti dai nazionalismi e dai totalitarismi.

Facciamo un passo indietro. Nel clima di generale fioritura degli studi scientifici e umanistici che si ebbe in Germania alla fine del XIX secolo, soprattutto in ambito linguistico, filologico e di critica stilistica venne ripresa e sviluppata l’idea che, al di là del diverso sviluppo storico e delle divisioni imposte dai nazionalismi imperanti (si pensi all’imperialismo della Germania guglielmina e al revanscismo francese post querra franco-prussiana) esistessero dei valori e degli ideali comuni, che definivano l’esistenza di una comune civiltà europea. Questi valori si fondavano sul mito universalistico di Roma, così come rivisto e reinterpretato dai grandi intellettuali del Medioevo cristiano. Grazie ad essi il mito di Roma, ed i valori che esso rappresentava, avevano travalicato il limes e si erano estesi dall’Irlanda, alla Germania, ai paesi baltici e scandinavi. Nonostante il colpo rappresentato dalla prima guerra mondiale, questi intellettuali tedeschi avevano  riaffermato la loro fede nell’esistenza di una civiltà europea e nella necessità di un ritorno ai valori dell’umanesimo e mantenuto saldi rapporti, magari anche solo epistolari, coi loro colleghi di nazioni ex-nemiche, approfittando anche del clima particolarmente vivace e stimolante della Repubblica di Weimar, in cui la crisi economica imponeva una libertà di costumi che attirava scrittori e poeti, soprattutto inglesi, che venivano da una società estremamente ingessata. Ad esempio, Ernst Robert Curtius, l’indagatore dei  topoi, dei luoghi comuni, in letteratura e autore di opere fondamentali, in particolare  “Letteratura europea e Medioevo latino”, intratteneva rapporti, fra gli altri, con Gide, Joyce, Eliot. Proprio Curtius decise di venire a morire a Roma (1956), “per tornare là dove tutto era cominciato”. Ora, dopo gli orrori provocati dalle dittature nazifasciste e di fronte alla minaccia rappresentata dal totalitarismo sovietico (non dimentichiamo che siamo in piena guerra fredda), anche tra i politici europei aveva cominciato a farsi strada l’idea di un recupero dei comuni valori dell’umanesimo europeo e di un superamento delle divisioni nazionalistiche. Proprio nella primavera di quel 1951, a Parigi, erano stati firmati i trattati che istituivano la CECA, prima tappa verso la costruzione di un’Europa unita. E’ in questa atmosfera di ricostruzione e di ripresa ottimistica di valori e ideali comuni che si colloca questa Nona diretta da Furtwaengler, che a me fa venire i brividi ad ogni ascolto, a partire dalle quinte vuote dell’inizio (la – mi, la – mi) che imprimono la scintilla di avvio allo scatenarsi di forze cosmiche in movimento, fino alla parossistica stretta finale, esaltazione di quell’amore universale che muove il sole e l’altre stelle.

Nel 1952, scaduto il contratto con Celibidache, i Berliner lo nominarono ancora una volta loro direttore stabile a vita. Furtwaengler morì a Ebersteinburg nel Baden il 30 novembre 1954. Per un inghippo, che non è stato chiarito, Celibidache, che avrebbe dovuto riprendere la direzione dei Berliner, fu invece soppiantato da Herr K..

Nota a margine personale: è veramente deplorevole che l’Italia,  fin dall’unità, abbia fatto poco o  nulla per valorizzare quei concetti e quei valori che sono legati all’idea di Roma, lasciando il monopolio del suo universalismo ad una confessione religiosa, e omettendo la conservazione, lo sviluppo e la manutenzione concreta della città che di quei valori è il simbolo. Come si vede soprattutto al giorno d’oggi.