Lo Special Operations Executive, al servizio di Sua Maestà – Parte 3

Come già detto in precedenza, la RAF non vedeva di buon occhio il SOE e le sue operazioni clandestine. Il Bomber Command britannico era convinto che la strategia di bombardare a tappeto la Germania fosse quella giusta per assicurare la vittoria finale e che il sabotaggio a terra e le bande partigiane fossero, al massimo, un utile diversivo. Ancora nel 1943 la dotazione di aerei del SOE e del SIS era terribilmente inadeguata per le loro esigenze. Come speigò il successore di Hugh Dalton al Ministery of Economic Warfare, lord Selborne, a Winston Chuchill, il SOE aveva addestrato circa 1600 uomini, ma 350 erano ancora ‘a piedi’ in Gran Bretagna e non si sapeva come inviarli in Europa. Solo 58 aerei, divisi in due squadriglie, erano infatti disponibili per il lancio di agenti e materiali, la maggior parte (32) allocata ai Balcani, mentre Italia e Francia meridionale si spartivano la miseria di 4 apparecchi. E gli apparecchi stessi non erano certo un gioiello di tecnologia, nemmeno per l’epoca. Il SOE, infatti, non vedrà mai i modelli Lancaster e si dovette accontentare di aerei più vecchiotti come gli Halifax e gli Stirling. Per di più il campo di volo assegnato al SOE era il più scalcagnato che la RAF avesse a disposizione. A Tempsford, poco a nord di Londra, si dovettero adattare ad usare una pista di decollo già scartata dal bomber command per via delle frequenti nebbie che la avvolgevano e delle vicine colline che rendevano il decollo difficile e pericoloso. L’hangar che fungeva da base per le operazioni era costituito da un vecchio granaio rattoppato (per l’Italia e i Balcani la base principale fu poi spostata in Nordafrica dopo la cacciata delle truppe dell’Asse).

Un bombardiere Halifax modificato per il SOE (manca delle torrette frontali per le mitragliatrici) presso la base aerea di Brindisi. Al posto delle bombe, si possono vedere i lunghi contenitori C. (Imperial War Museum)

Solo nel marzo 1944 la politica di assegnazione dei velivoli verrà rivista, aumentandone il numero a 120, senza però aggiornarne i modelli. E tuttavia anche questa dotazione rimase penosamente inadeguata. Per equipaggiare un ipotetico numero di 5000 uomini al mese, sarebbero serviti 2400 contenitori di materiale (o 254 tonnellate), equivalenti a 300 sortite da spartirsi tra 24 apparecchi. Numero questo ritenuto acettabile dalla RAF. Mentre le 1500 tonnellate desiderate dagli americani del OSS (precursore della CIA) avrebbero richiesto 275 veivoli e l’idea fu subito cassata, nonostante le proteste di OSS e SOE. A peggiorare la situazione c’era anche il fatto che, mentre le risorse del SOE crescevano lentamente, le richieste delle varie resistenze invece si impennarono nel corso del tempo. La fame di risorse delle resistenze era, in fatti, inesauribile. E, come notò uno degli agenti del SOE in Italia, era anche una questione psicologica: i partigiani avevano, giustamente, paura delle forze armate tedesche (meno dei repubblichini, tranne forse la X Mas) e quindi i rifornimenti ne consolidavano il morale, anche quando non erano strettamente necessari. Tuttavia, non ci fu verso di far breccia nelle menti della RAF. Nel 1941 i voli per il SOE rappresentavano appena lo 0.13% delle missioni decollate dall’Inghilterra, nel 1942 fu lo 0.68%, nel 1943 il 2.48%, nel 1944 il 3.3% (pari a 5566 voli contro un totale di 166844). Italia e Francia meridionale, tuttavia, beneficiarono nel tempo del maggior coninvolgimento americano, che tra il 1941 e il 1945 fece decollare più di 21000 voli dalle basi del Nordafrica. Un altro miglioramento venne dall’ingegnarsi dei tecnici che riuscirono ad aumentare la capacità di trasporto dei bombardieri, in particolare gli Stirling che passarono da trasportare 11 contenitori di materiale a 24 (a patto che il volo non fosse più lungo di 770km, in quel caso si doveva rinunciare, proporzionalmente, ai cotenitori extra fino a ritornare a 11 per voli di 1100km). Come sempre, la necessità aguzza l’ingegno.

I contenitori C, pronti ad essere caricati per il lancio. Gli uomini stanno agganciando i paracadute impacchettati ai contenitori, fissandoli ai fori presenti sul retro.

Questi contenitori erano di due tipi: quello C, un cilindro lungo quasi due metri che a pieno carico arrivava a pesare 100kg, e quello H, costituito da cinque scomparti. Il carico tipico conteneva esplosivi, armi e munizioni, materiali vari per sabotaggi, medicinali e vestiti pesanti all’occorrenza. Il lavoro per riempire questi contenitori fu titanico. Durante la guerra furono consegnate alle resistenze più di 42000 tonnellate di materiali e la loro preparazione costituì una sfida a parte per l’intelligence britannica e americana. Furono create delle stazioni di preparazione, dove cinque squadre, ognuna da 14 uomini più un supervisore, dovevano preparare il materiale. Era una vera e propria catena di montaggio: dodici uomini imballavano, uno portava il materiale agli imballatori e uno portava via il materiale imballato. Nel 1944 il SOE arrivò ad impiegare 200 uomini per preparare mille contenitori al mese. Standardizzazione era la parola d’ordine. Da notare però come questa non si raggiunse mai tra britannici ed americani. I contenitori americani, infatti, non potevano essere trasportati da aerei britannici. Inoltre, sorse subito un altro problema: dove trovare tutti i paracadute necessari per i lanci? Nel 1943 il Regno Unito passò dal produrre diecimila paracadute al mese a quattordicimila. Di questi, però, le truppe aerotrasportate ne utilizzavano undicimila, mentre il SOE ne reclamava ottomila al mese, che crebbero a diecimila nel 1944. La Gran Bretagna stentava ad equipaggiare le sue stesse truppe, figurarsi sprecare paracadute per i lanci del SOE, fossero di uomini o di materiali. Furono gli Stati Uniti a togliere le castagne dal fuoco. All’inizio del 1944 iniziarono ad inviare prima cinquemila paracadute al mese al Regno Unito, passando poi a ventunomila a Maggio, in preparazione per lo sbarco in Normandia. La differenza di scala nella macchina industriale americana faceva sentire tutto il suo peso.

Un contenitore con una motocicletta Welbike stivata al suo interno. La Welbike fu ideata per l’uso da parte del SOE ma, in pratica, non fu mai utilizzata dai sabotatori. Fu poi assegnata in dotazione alle truppe areotrasportate che la misero a buon uso durante gli sbarchi di Anzio e in Normandia.

Dopo questa digressione, passiamo ai lanci veri e propri. Durante i plenilunii gli aerei, opportunamente dipinti di nero, con gli scarichi dei motori otturati da smorzatori di fiamma, e l’armamento rimosso per alleggerirli, decollavano trasportando agenti e materiali. L’obiettivo era un campo di ricezione precedentemente segnalato e preparato dai partigiani, o da agenti del SOE, in territorio nemico. Per avvisare i riceventi veniva usato un messaggio in codice trasmesso dalla BBC. Il tragitto inizialmente avveniva ad alta quota per evitare di destare sospetti ed essere fuori tiro per la contraerea, poi il pilota rallentava notevolmente e si abbassava ad una quota tra i 600 e i 150 metri. Più vicino era al terreno, più il lancio sarebbe stato preciso. Ovviamente, mille cose potevano andare storte: forte vento che mandava i contenitori a fracassarsi sulle montagne, imballaggi fatti male che facevano aprire i contenitori e perfino l’occasionale incidente come una granata che esplodeva per gli scossoni durante il lancio. Anche i paracadute potevano strapparsi o incepparsi, facendo perdere il lancio. E, per via della legge di Murhpy, più prezioso era il carico, più spesso avvenivano inidenti. Come notarono al SOE con una punta di sarcasmo, era sempre il pacco che conteneva i soldi destinati ai partigiani quello che veniva trascinato via da una raffica improvvisa di vento o finiva per impigliarsi sulla cima dell’albero più alto della zona.

Questi voli, nonostante le proteste della RAF, erano in realtà meno pericolosi delle sortite di combattimento. Le perdite si aggirarono tra il 1.5% e il 3% all’anno, percentuali modeste rispetto a quelle delle missioni di bombardamento (le operazioni su Kiel, ad esempio, registrarono perdite superiori all’8%). Il recupero del materiale e degli uomini paracadutati, invece, era ben altra faccenda. In media, durante la guerra, un terzo dei lanci fallì per motivi vari, con alcune aree particolarmente impervie, come l’Italia, dove la percentuale di fallimenti crebbe fino al 50%.
Il SOE si ingegnò quindi per rendere la ricezione dei lanci la più ordinata ed organizzata possibile, onde minimizzare gli sprechi di materiale e vite.
In base alle direttive del SOE, un buon campo di ricezione doveva presentare alcune caratteristiche. Innanzitutto, doveva essere uno spiazzo libero e pianeggiante di almeno 400mq, possibilmente 800mq. Il terreno doveva essere soffice, ma non paludoso, meglio se incolto per rendere più difficile il rinvenimento di tracce. Non doveva poi essere vicino a montagne o colline, perché l’aereo doveva avere il tempo di accelerare nuovamente per riportarsi in quota e iniziare il volo di ritorno. Idealmente, il campo doveva essere poi vicino a punti di riferimento ben precisi, per aiutare i piloti. Masse d’acqua erano i riferimenti privilegiati, perché ben visibili al chiaro di luna. Quindi aree costiere, in prossimità di laghi o di fiumi erano da preferirsi. Anche boschi dalla forma particolare erano ben indicati, così come strade di una certa impostanza e perfino binari ferroviari, ben visibili quando il terreno era coperto di neve.

Enzo Sereni, ebreo italiano e co-fondatore del kibbutz di Givat Brenner. Si arruolò nel SOE durante la guerra e fu paracadutato in Italia nel 1944. Catturato immediatamente dopo l’atterraggio, fu deportato a Dachau, dove morì.

I partigiani e gli agenti a terra dovevano poi organizzare la ricezione. Era imperativo avvicinarsi al campo di ricezione a coppie, arrivando da direzioni diverse per non dare nell’occhio. Dovevano essere poste sentinelle e preparate buche in cui seppellire i contenitori svuotati e i paracadute (anche se, spesso, questi venivano in realtà conservati per sfruttarne la stoffa). Dovevano poi esserci abbastanza uomini per tasportare i materiali. Un lancio tipico era di quattro o otto contenitori, portati poi a quindici nel 1944. Il peso da trasportare era quindi considerevole e le braccia necessarie molte. Qualcuno doveva avere anche il compito di far abbassare la voce agli agenti paracadutati che, assordati dalle eliche e dal vento nei momenti prima del lancio, tendevano a gridare a pieni polmoni. I riceventi dovevano poi preparare i segnali di riconoscimento. I più fortunati erano dotati di apparecchi Eureka e S-phones, tutti gli altri dovettero ricorrere al classico metodo dei segnali luminosi. Tre luci bianche in linea retta, distanziate di 100m tra di loro e una quarta, lampeggiante, posta a 10m dall’ultima luce, dovevano segnalare il luogo. In molte aree, sprovvisti di torce o altri equipaggiamenti luminosi, si usarono semplicemente dei falò. Ovviamente, il sistema non era sicuro al 100%, specie quando a terra c’era molta confusione. In Italia, ad esempio, ci volle un po’ perché si riuscissero a coordinare le varie bande partigiane e ad impedire che ogni banda accendesse i suoi fuochi ogni notte nella speranza di ricevere qualcosa, tanto che alcune aree sembravano “la notte di Guy Fawkes”. La situazione era peggiorata dal fatto che anche i civili e i tedeschi iniziarono ben presto ad accendere fuochi. I primi per rubare il materiale e rivenderlo, i secondi per sabotare le operazioni. Particolarmente divertente, per noi che leggiamo, fu il caso di due agenti americani dell’OSS che si ritrovarono paracadutati nel prato appartenente ad un prete di campagna, il quale confessò candidamente di aver acceso un fuoco nella speranza di accaparrarsi un lancio di sigarette.

Nonostante questi problemi, il SOE poté vantare un successo elevatissimo nelle operazioni. In Europa furono paracadutate dal SOE 42746 tonnellate di armi e materiali e 3352 persone. L’affidabilità dei paracadute migliorò continuamente e i guasti passarono da cinque su mille ad appena uno su centomila. Solo sei uomini furono persi nelle operazioni di lancio in Francia in tutta la durata della guerra. Purtroppo, questo dato non tiene conto di molti agenti che furono catturati all’atterraggio dalle forze tedesche e poi torturati e uccisi.

Nel prossimo articolo parleremo dell’attività dell’agente in territorio nemico, ora che il lancio a buon fine l’ha condotto lì, ben equipaggiato grazie ai contenitori lanciati insieme a lui, e pronto a dedicarsi all’azione.

Pubblicato da Alocin30590

Collezionista di aneddoti, attualmente soldato di ventura in terra scozzese.