Friuli 20 – Il contadino e il paesaggio agrario.

Oltre alle gesta di re, duchi e patriarchi, la maggioranza del popolo era composta dai miserabili “servi della gleba”. La letteratura ha sempre avuto un forte disprezzo per il contadino e non è casuale, perché chi scriveva è sempre appartenuto, salvo poche eccezioni, a coloro che erano la classe dominante. Il fatto che il sistema feudale fu un sistema socioeconomico agrario, avendo come caratteristica un basso livello di produzione e di commercializzazione, basato sull’esclusivo lavoro produttivo dei contadini, sfuggì a quegli occhi così attenti solo alle caratteristiche fisiche e morali del contadin0. Un disprezzo osservato attentamente dagli studiosi moderni.

Come fossero i contadini del periodo patriarcale non è facile descrivere e neppure intuire, ma con ogni probabilità, da cose osservate da vari studiosi (Montanari) per qualche secolo dovettero vivere (dalla fine delle incursioni ungare) meglio dei loro antenati del periodo barbarico, e sicuramente meglio dei loro nipoti dell’ultimo periodo patriarcale e del periodo veneto. L’immagine del contadino che proviene dall’epoca è sempre grottesca. Partendo dall’Yvain di Chrétien de Troyes e di come il cavaliere Calogrenant descrive un contadino (un gigante assai brutto) arrivando al XVI sec., senza che l’immagine fosse cambiata.

 

Basilica di Aquileia – Definito: “un animale che non dovrebbe esserci” è stato frutto di molte discussioni. Inizialmente si pensò a un asino, ora molti concordano si tratti di un okapi.

 

Si assiste a una doppia visione: dal basso verso l’alto il mondo è visto in chiave fiabesca con una distorsione della realtà, dovuta al fatto di essere inseriti a ogni costo (in tutte le favole c’è il viaggio verso la corte del re di un povero giovanotto o di una giovane guardiana di oche o altro, con un happy end di prammatica, come processo di rimozione). Al contrario dall’alto verso il basso viene caratterizzata l’immagine grottesca e caricaturale del contadino. (Ermes di Colloredo, signore di Waldsee, visconte di Mels e notevole poeta di lingua friulana, non nascose la sua insofferenza nei confronti dell’insolenza del contadino). Nella stessa epoca, il conte di Porcia disse: “…ed essendo anche uomini da poco, e che si affaticano mal volentieri, consumando assai tempo e denari all’osteria, e a litigare così colli padroni come con loro stessi”

Ancor oggi un insulto friulano è dare del contadino a un maleducato (lo stesso di villano). Si può comunque immaginare che mano a mano che i secoli passavano, la miseria tendesse ad aumentare: i bisognosi, i pitocchi, i mendicanti, gli affamati, gli storpi, invadevano le strade delle città e morivano nelle campagne. Coloro che visitavano il Friuli per necessità diplomatiche o altro, non ne riportavano una impressione positiva.

La complessità della vita medioevale, la sua coloratissima frammentazione, il disporsi di ogni colore su sfumature e tonalità diverse da luogo a luogo, da comune a comune, da castello a castello, renderebbe assai lungo qualunque testo che volesse approfondire l’economia e la vita. Ma qualunque cosa si legga, il contadino restò sempre fuori, sia per l’oggettiva difficoltà di descriverne la vita e la psicologia, sia per la lentezza e la timidezza con cui si affrontano quelle “avventure”, delle quali lo storico Marc Bloch è stato propulsore.

 

Scorcio di una delle tre rogge di Udine, realizzate nel XII sec.

 

Il suono delle campane è antico e segna chiaramente lo spazio del giorno, ma le prime fusioni ci furono nel 1290, in un Paese ancora rozzo che aveva tutto da imparare e imparò copiando, come è possibile vedere nei bassorilievi che, sopravvissuti ai secoli X – XII, adornano ancora le varie chiese sparse nel territorio. Del 1249 si ha notizie di una fabbrica di carta, presso Gemona e nel 1290 comparve per la prima volta una delle meraviglie dell’Europa medievale: il mulino, la cui diffusione fu uno dei segni di progresso.

Il paesaggio agrario del periodo era contrassegnato da campi aperti, inframezzati da boschi e pascoli. La resa dei cereali dell’epoca è incerta e soggetta a interpretazioni. Fino al XV sec. non fu possibile stabilire di preciso il rapporto superficie/prodotto. Montanari ritiene che la resa nel Medioevo, per il Nord Italia fosse fra 2,3 e 3,3/uno. Il Friuli aveva una situazione più complessa e non è facile fare medie. Tutte le terre comprese fra il mare e le foci dei fiumi Isonzo, Tagliamento e Livenza, erano paludosi o vi erano cresciuti fitti boschi; la pianura che da Spilimbergo va verso i monti, è ancora tutt’oggi così arida che vi cresce solo il mais, avendo una scorza di humus di pochi centimetri. Altre zone sono collinose, altre sassose. La coltivazione principale, sembra essere stata il frumento, con miglio e avena. In determinate zone sorgo e orzo. Sconosciuti i piselli, ma si parla di fave. Ortaggi come le verze o le rape (ancor oggi messe sotto aceto e lasciate fermentare per produrre la “brovada”, tipico piatto friulano). Il bosco offriva la pece, le castagne, il fogliame e il foraggio.

 

Castello di Arcano

 

Alla fine del potere patriarcale, lo stato di confusione e di guerra, di saccheggio, incendi di paesi e castelli, con forti, anche se poco studiati, moti di rivolta contadina, era al colmo. Ma qual’era lo stato sociale delle campagne? La struttura centrale del sistema feudale era la curtis, solitamente divisa in due parti, quella del padrone (pars dominica) e quella detta pars massaricia o colonica. La pars dominica era autonoma e solo più tardi dovette dipendere dalle città, mentre i contadini, sotto la giurisdizione del signore feudale erano costretti a fornire determinati servizi gratuiti, detti corvée in francese, in Friuli “piovego”. Solo dopo l’avvento di Venezia i contadini poterono far appello al tribunale ed essere liberati da ogni tipo di vessazione.

I terreni concessi dietro pagamento (in natura o in denaro) lasciarono vana la libertà di conduzione, ma diedero luogo a un’ampia serie di liti con il proprietari, nel momento in cui per l’aumento e la divisione delle famiglie, erano costrette a una divisione, non vista di buon occhio dal padrone, in quanto complicava la riscossione dei diritti. Altra fonte di liti erano le migliorìe da attuare al fondo. I proprietari erano chiamati massari e il loro terreno maso. Il maso era composto dal sedime, cioè l’abitato: casa, stalla, fienile, cortile e dai campi che erano, quasi sempre 24. Il campo friulano (ciamp) aveva una misura che cambiava di zona in zona, dai 3503,8348 m2 del ciamp a la pizule, ai 5217,0161 m2 del ciamp a la grande. In Carnia, vista la zona montana, si usava un sottomultiplo che misurava 2418,39 m2. Un sistema di origine germanica (attualmente attuato). Nella bassa Franconia era detto Hufe e comprendeva strisce di terreno di 80 metri di larghezza, che erano lunghe fra i due e i tre chilometri.

Un’antichissima consuetudine, resto interessante del possesso collettivo della terra, era quella dei beni comunali nei quali potevano pascolare gli animali di tutti, sotto la sorveglianza di un pastore pagato dalla collettività.

Anche il bosco aveva la sua importanza, da cui il contadino traeva parte della sua misera alimentazione, che flagelli, terremoti, invasioni trovavano il modo di ridurre. Le condizioni di vita dei contadini apparvero solo verso la fine del ‘400, scritte dalle relazioni dei Luogotenenti veneti che riuscirono a fornire, pur parzialmente, una somma per la comprensione.

 

Profili delle Alpi Giulie, riserva MaB (Man and Biosphėre) dell’Unesco

 

Riguardo alla rotazione agraria, il procedimento per far riposare la terra, visto la sterilità del terreno e la scarsa conoscenza della concimazione, da biennale diventò, dopo l’XI secolo, triennale con una maggior resa del prodotto (circa il 30%). Mentre in Friuli si continuò a lungo sulla rotazione biennale, con una notevole resistenza alle novità, che avrebbe caratterizzato tutta la storia dell’agricoltura friulana. Infine anche la rotazione triennale prevalse, ma con i limiti dovuti ai danneggiamenti delle campagne causate dalle frequenti battaglie, dalle discese e dalle risalite di eserciti, i quali avevano l’abitudine di non portarsi mai rifornimenti e vivere alle spalle dei Paesi che attraversavano. Se erano alleati, erano i signori o il patriarca stesso che si facevano rifornire, se erano nemici si servivano da soli, ma il risultato non cambiava.

Altri fattori essenziali erano il terreno e il clima. Dall’inizio si è illustrato che il suolo ha un sottofondo ghiaioso, e che le terre buone si trovavano nella bassa friulana, all’epoca coperta da boschi e acquitrini paludosi infestati dalla malaria. Nel Friuli centrale, l’abbondante acqua che cadeva si perdeva rapidamente e il terreno era secco. L’eccessivo frazionamento della proprietà e la mancanza di un serio interesse per le migliorie, impedì una razionale attività. Oltre a ciò, il diritto di pascolo, ovvero la facoltà di far pascolare il bestiame dopo il raccolto, andava da S. Martino (11 novembre) a S. Giorgio (24 aprile) per cui il lavoro dei campi veniva ostacolato e la semina e il raccolto avevano luogo in tempi strettissimi. Successivamente Venezia proibì questa pratica su tutti i territori adibiti a colture.

 

Castello di Buttrio

 

S’è scritto che la cultura triennale non fu subito accettata, come da documenti raccolti in vari paesi, e che il contadino friulano era conservatore, poco incline a guardare le novità. Prova ne fu l’introduzione della patata, arrivata con eccellenza nel ‘700 (in ritardo rispetto all’Europa) ma venne completamente accettata solo dopo la caduta di Napoleone. Nonostante ciò, inconsapevolmente, ebbe ugualmente luogo un aumento di sostanze nutritive: venne incrementata la semina dei legumi, che migliorò la fertilità del terreno, data la loro proprietà di fissare l’azoto. In tal modo (come documentò lo studioso inglese White) la semina autunnale contribuì alla dieta con i carboidrati, mentre quella primaverile con le proteine vegetali. Per cui, senza saperlo, il contadino supplì all’eccesso di carboidrati con le proteine. Altri Paesi, in tal modo andarono di fronte a un forte sviluppo della popolazione, con maggiore vitalità e minore passività. Il contadino friulano non morì e questo è quanto di meglio si possa scrivere.

 

Fonti:

Gian Carlo Menis: Storia del Friuli
Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria