Congo 18 – Cina

L’immagine del Congo all’inizio della Terza Repubblica, era quella di un Paese fertile dove tanti mangiavano una sola volta al giorno, molti avevano le emorroidi a causa di una dieta monotona, si curavano le ferite con l’olio dei freni e le bruciature con le secrezioni femminili, lucidavano le scarpe con i preservativi gratuiti (il lubrificante le faceva brillare). Un Paese che non era più uno Stato, ma contava più di mezzo milione di funzionari pubblici anziani, che si recavano al lavoro con un salario da fame, perché non esisteva una pensione. Un compito non facile per Joseph Kabila.

La nuova Costituzione prevedeva un complesso sistema di contrappesi, affinché nessuna istituzione potesse avere un potere eccessivo, nonostante il pericolo fosse assai limitato riguardo al Parlamento e al governo. I 500 membri del Parlamento rappresentavano settanta partiti, oltre ai sessantaquattro composti da una sola persona. I maggiori partiti di Kabila e di Bemba assieme avevano solo 175 seggi. Il governo era formato da sessanta ministri, perché si era dovuto accontentare molte persone.

A fine gennaio 2007 i consigli provinciali scelsero i governatori e il partito di Kabila vinse in otto delle nove province, dopo una generosa distribuzione di bustarelle. (Molti candidati che non ce l’avevano fatta le rivollero indietro). Quando i consiglieri lo ammisero, nel Basso Congo, dove pochi volevano un kabilista a capo della provincia, scoppiarono disordini. Dopo l’uccisione di dieci agenti, l’esercito aprì il fuoco facendo 134 morti.

 

Congolesi in fila per la distribuzione di cibo.

 

Durante il regime di transizione, Bemba, come vicepresidente, ebbe diritto a una milizia privata di cinquecento avventurieri e dopo che divenne solo senatore, non volle rinunciarvi temendo per la sua incolumità. Mentre Kabila, durante lo stesso periodo da presidente, aveva costituito un corpo scelto di 15.000 uomini, la Garde Républicaine. Di fronte al rifiuto delle truppe di Bemba di entrare nell’esercito regolare, il 21 marzo gli uomini di Kabila li affrontarono sul viale più animato di Kinshasa, paralizzando la città per tre giorni. Ci furono 300 morti e 125 persone vennero arrestate, torturate e decine poi vennero uccise.

Bemba fuggì in Portogallo, nonostante il mandato di cattura della Corte penale internazionale. Nel maggio 2008 fu arrestato a Bruxelles e trasferito all’Aja. Il 21 giugno 2016 venne condannato a 18 anni per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Quattro mesi dopo ebbe un’ulteriore condanna di un anno per aver corrotto 14 testimoni. Dopo essere ricorso in appello, L’8 giugno 2018 è stato prosciolto a maggioranza per l’accusa più grave. Tre dei cinque giudici ritennero che Bemba non fosse stato in grado di limitare gli abusi delle sue truppe e che certi abusi non erano di loro competenza, mentre due giudici ritennero che la colpevolezza e la condanna di Bemba erano giustificate. Tornò in Congo, volendo candidarsi alle elezioni, ma la condanna definitiva per corruzione non glielo permise.

 

Segnali di rinascita nel Kivu del Nord: la fattoria-caseificio Kasole, che produce gouda e camembert con mucche svizzere sulle montagne di Masisi, precedentemente occupate dai miliziani dell’M23.

 

Nonostante le apparenze, Kabila era una figura debole e politicamente prevalse l’immobilismo così la sua popolarità scese. Non si mostrava in pubblico, non rideva mai, solo occasionali apparizioni televisive per leggere una dichiarazione. Tuttavia il Parlamento inizialmente fu attivo, grazie al presidente Vital Kamerhe e suo uomo di fiducia, mentre in Katanga la dinamicità fu dovuta a un governatore brillante uomo d’affari, anch’esso legato a Kabila. Aveva bisogno di queste persone, ma allo stesso tempo vigilava perché non lo superassero in popolarità. Infatti nel 2009, dopo averlo criticato, il presidente del Parlamento Kamerhe fu costretto a dimettersi, perdendo una delle figure migliori.

Continuarono antiche consuetudini quali i parlamentari che nel 2007 si aumentarono lo stipendio a 4.500 dollari e nel 2008 a 6.000, gratificandosi con una Nissan Patrol nuova. I ministri non furono molto attivi, pensando che il dinamismo avrebbe potuto farli cadere in disgrazia, perdendo la lucrativa carica. La Terza Repubblica di Kabila non si fondò sulle istituzioni democratiche, ma su pochi intimi del suo entourage, tra cui sua madre, sua sorella gemella e pochi altri senza alcuna carica istituzionale. Nel 2009, in vista delle elezioni del 2011, Kabila istituì una commissione per verificare se c’erano i presupposti per estendere il mandato a sette anni e sopprimere i vincoli sul terzo mandato. Nello stesso anno fece arrestare diversi attivisti dei diritti umani.

 

Scorcio di Bukavu, capitale del Kivu del Sud sul lago omonimo.

 

Qualche timido barlume di luce fu rappresentato dalla moneta che fino alla crisi del 2008 resse, il PIL incrementò qualche punto l’anno grazie all’industria mineraria, ma sempre dipendente da capitali stranieri. Anche il bilancio salì lentamente, ma nel 2010 ammontava a soli 4,9 miliardi di dollari, pari a una città europea di media grandezza. Una somma insufficiente per finanziare la ricostruzione di un Paese gigantesco, completamente in rovina. Oltretutto la metà del bilancio proveniva da donazioni internazionali e un quarto usato per estinguere i debiti. Il PIL procapite nel 2009 era di 200 dollari, superiore agli 80 dollari del 2000, ma lontano dai 4.250 del vicino Congo Brazzaville. L’Human Development Index nel 2006 metteva la RDC dieci posti sopra l’ultimo, nel 2009 quattro posti più in basso. Aveva un tasso di mortalità infantile fra i più alti al mondo, 161 bambini su 1.000 non raggiungevano i cinque anni, un bambino su tre sotto i cinque anni era sottopeso, il 30% della popolazione anafabeta, il 50% dei bambini non frequentava la scuola e il 54% della popolazione non aveva accesso all’acqua potabile.

Una commissione d’inchiesta del governo nel 2007 concluse che 1,3 miliardi di dollari sparirono nelle tasche di tre istituzioni finanziarie nazionali e di sei imprese pubbliche. Il Parlamento di Kamerhe analizzò i sessanta contratti minerari firmati precedentemente con imprese internazionali, non trovandone nessuno in regola. La società mineraria di Stato Gécamines fruttava solo 92 milioni, invece dei possibili 450. Le miniere di diamanti di Bakwanga e quelle d’oro di Kilo-Moto non fruttavano niente. Ci furono sporadici scioperi di insegnanti e impiegati, ma per il congolese medio la rassegnazione prese il sopravvento sulla rabbia, come se le elezioni, sulle quali avevano riposto tanta speranza, fossero state inutili.

 

Miniera artigianale in Katanga

 

I cinesi arrivarono in Africa alla ricerca di materie prime verso gli anni novanta. Con l’espansione economica, nel 1993, la Cina per la prima volta importò più petrolio di quanto esportato, per cui stabilì le prime relazioni con Paesi petroliferi come Nigeria, Angola e Sudan. Successivamente con Zambia e Gabon per rame e ferro. Malgrado la guerra e il clima difficile, in Katanga arrivarono i primi avventurieri cinesi, dove si installarono sulle rovine dell’industria mineraria fiutando un’occasione d’oro.

Nel 2003, su richiesta del FMI e della Banca Mondiale, la Gécamines licenziò undicimila minatori in esubero, molti dei quali divennero cercatori. Come nel Kivu, scavarono a mano per riempire sacchi e poi rivenderli ad imprenditori privati cinesi. Lavoravano in maniera dura e pericolosa, senza alcuna protezione di sicurezza, scendendo in pozzi mal puntellati. Anche i bambini. I posti autorizzati a miniere artigianali erano limitati, così alcuni penetravano di notte dentro le grandi miniere, con il pericolo, al buio, di annegare o soffocare durante il lavoro o venir uccisi dalla security.

 

Giovani trasportano al mercato carbone di legna. Indispensabile per le famiglie, mortale per parchi e foreste.

 

Alcuni cinesi avviarono fonderie improvvisate per esportare semilavorati e i loro congolesi giornalieri lavorarono in condizioni estreme. Mal pagati, respirando esalazioni dannose, senza abiti di protezione con il calore dei forni insopportabile. L’orario era di dodici-tredici ore con una piccola pausa pomeridiana, sette giorni su sette. Per qualunque errore o ritardo potevano essere licenziati, di lavoratori in attesa ce n’erano tanti. Alcune aziende lavoravano materiali radioattivi, senza provvedere né guanti, né maschere. Il Katanga fu immerso in un nuovo capitalismo selvaggio, simile agli anni venti. Ma la crisi del 2008 lo fece ripiombare agli anni trenta. Il prezzo del rame crollò, molti avventurieri cinesi partirono e la provincia impose regole più rigide, così decine di migliaia di cercatori si ritrovarono senza lavoro.

Poi arrivarono le aziende di stato cinesi, con mezzi illimitati. Venne ricostruita la strada Matadi-Kinshasa e fra Lubumbashi e la frontiera con lo Zambia, percorse da camion carichi di minerali. La CCT, una Telecom cinese, diventò il più grande operatore di telefonia mobile del Paese e un’altra azienda iniziò la posa di 5.600 chilometri di fibra ottica. Il Congo diventò un nuovo partner commerciale della Cina.

 

Summit sino-africano, 2006

 

Nel 2006 il presidente HU Jintao organizzò un vertice sino-africano dove furono siglati contratti per due miliardi di dollari, promise prestiti per cinque miliardi e il raddoppio degli aiuti. Annullò i debiti e ridusse le tasse di importazione dall’Africa. Successivamente alti dignitari cinesi visitarono tutti i Paesi africani. Pechino, con la sua politica di non ingerenza negli affari interni, non si pose problemi a collaborare anche con i criminali Mugabe e Al-Bashir. La nuova Cina efficace e pragmatica, concentrata solo sugli affari, chiedeva ai partner commerciali solo di riconoscere Taiwan come cinese, durante l’Assemblea generale dell’ONU.

Nel settembre 2007, il Congo annunciò di aver concluso un mega-accordo con la Cina. Una joint venture con tre aziende statali cinesi (una banca, un’impresa di costruzioni ferroviarie e una di costruzioni generali) con la partecipazione del Congo, attraverso la Gécamines, del 32% e quella cinese del 68%. I cinesi in Katanga avrebbero estratto dieci milioni di tonnellate di rame e seicentomila di cobalto. In cambio si impegnarono a investire tre miliardi per ripristinare le strutture minerarie e sei miliardi per strade, ferrovie, case, policlinici, ospedali, centrali idroelettriche, aeroporti e università. Inoltre avrebbero anticipato i soldi per gli investimenti. E mentre nell’occidente furibondo l’accordo fu presentato come un “prestito”, in realtà si trattava di un baratto. Un’abile mossa per aggirare la corruzione: non è facile mettersi in tasca un ospedale.

 

Traghetto affollato sul fiume Congo.

 

Un baratto con una clausola cruciale. Se i giacimenti non avessero fornito la quantità designata, il Congo avrebbe dovuto onorare il contratto in altro modo. La clausola di garanzia mandò su tutte le furie l’FMI e la Banca Mondiale, sostenendo che il Congo si sarebbe indebitato ulteriormente, oltre al debito che aveva raggiunto i tredici miliardi di dollari. Non era del tutto vero, ma ciò permise agli occidentali di avere ancora influenza in Congo, così si resero disponibili a cancellare nove dei tredici miliardi, esigendo, fra altre cose, la revisione di quella clausola.

All’inizio del 2009 la Tesoreria disponeva solo di di trenta milioni con un’autonomia di due soli mesi, così Kabila, pur recalcitrante accettò. Immediatamente FMI e Banca Mondiale intervennero con trecento milioni. e le autorità di Kinshasa compresero che non era saggio dipendere solo dalla Cina. Nel dicembre 2009 trovarono un compromesso con i cinesi senza la clausola di garanzia e la Cina avrebbe ridotto gli investimenti a sei miliardi. Immediatamente l’FMI sbloccò altri 500 milioni.

 

Fonti:

Congo” di David Van Reybrouck – Feltrinelli Editore

Storia del Congo” di Fortunato Taddei

“Wikipedia