Friuli 13 – Gli albori del Patriarcato.

L’intesa fra il patriarca Paolino II e Carlo Magno giovò notevolmente al prestigio della chiesa aquileiese dell’VIII secolo e il titolo di patriarca divenne sempre più importante. Per merito della grande personalità di Paolino, furono conferiti da Carlo dignità e lustri mai prima raggiunti, estesi ben oltre i confini della diocesi. Al sinodo romano del 794, indetto da papa Adriano I, i convenuti contrapposero all’eresia adozianista, che agitava la Spagna e la Gallia, il Libellus sacrosyllabus, compilato dallo stesso Paolino, a nome di tutti i vescovi italiani. Gli atti del concilio provinciale svoltosi a Cividale nel 796, prospettarono una visione concreta e dettagliata sulla vitalità della chiesa friulana alla fine dell’VIII secolo. Poeta sensibile ed efficace, Paolino si mise al servizio del popolo “facendo cantare durante l’immolazione dei sacri misteri, inni composti da lui stesso” (Walafrido Strabone). Fu anche artefice di una illuminata attività missionaria fra gli Slavi della Carantania.

Nel frattempo, dopo l’annessione dell’Istria al ducato friulano (791) la giurisdizione patriarcale si estese al punto da comprendere quasi tutto il territorio dell’antico metropolita di Aquileia prima della scissione del 607. Al patriarca residente a Grado restò solo la sottile linea litoranea che dall’isola conduceva a Chioggia. Il titolo ambizioso di patriarca, assunto arbitrariamente durante lo scisma, ma poi riconosciuto dal papa, divenne sempre più adeguato ad esprimere la reale autorità, che superò di gran lunga quella dei vari duchi locali.

 

Giona rigurgitato dal mostro marino sulla spiaggia – dettaglio (Basilica di Aquileia)

 

L’autorità patriarcale continuò dopo Paolino con i successori Orso (802-811) e Massenzio (811-838). Le conversioni oltralpe generarono l’ambizione di estendere l’influenza patriarcale fin nelle zone di epoca antica, ma si scontrarono con Arnone, vescovo di Salisburgo. La lite venne risolta dallo stesso Carlo che designò il confine lungo il corso della Drava. Venne così definito il territorio diocesano di Aquileia, che fino all’epoca moderna (1751) avrebbe compreso, oltre il Friuli e il Cadore, la bassa Carinzia, la Stiria e tutta la Carniola (Slovenia). E avrebbe costituito per tutto il medioevo, la più vasta diocesi d’Europa, estesa su territori dove si parlava il romanzo, lo slavo e il tedesco.

Il patriarca Massenzio propose di riportare Aquileia agli antichi splendori, ottenendo alcuni fondi per la realizzazione della “chiesa dei pagani” ad Aquileia. A Massenzio si attribuisce anche il concilio di Mantova, dove, di fronte agli arcivescovi di Ravenna e Milano, ai legati papali, altri venti vescovi italiani, sostenne il diritto sui vescovadi istriani, ma soprattutto su quello di Grado che doveva essere ricongiunto con l’antica sede. Il concilio decise all’unanimità che Aquileia era sempre stata “domina Gradensium“, ma il patriarca gradese ricorse alla Santa Sede, che non riconobbe la decisione sinoidale, su pressione di Venezia. Il discorso di Massenzio si basò su un principio universalmente riconosciuto e lo stesso legato di Grado durante il concilio affermò: “non possiamo negare e tutti lo sanno che Aquileia è la prima città, che è metropoli e che è stata fondata nella fede cristiana dai beati Marco ed Ermacora”.

 

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Domini della casa di Sassonia nel 952-976

 

Il patriarca Andrea (838-850) regnò con il marchesato di Everardo, in un periodo di sfolgore della Marca franca del friuli. Poi nella seconda metà del IX secolo, con Berengario, e durante la decadenza carolingia, le notizie sul patriarcato si fecero sempre più oscure e lacunose. Ancor più fosche furono le vicende della chiesa di Aquileia, durante le invasioni ungare del X sec. Lo stesso Berengario nel 904 lasciò un diploma, dove ci informa come “la metropoli e le principali chiese del Friuli, sono spopolate a causa dei perfidi pagani”. I documenti risalenti all’epoca riguardano solamente donazioni e privilegi fatti da imperatori e re alla chiesa aquileiese, probabilmente per consentirgli potere, date le gravi necessità del periodo. Favori che avevano il duplice scopo di premiare il patriarca e la difesa dei territori cedutigli.

Se durante l’impero di Carlo Magno con i primi decenni di quello carolingio, si consolidò l’autorità ecclesiastica e il prestigio del patriarcato aquileiese, durante lo sfacelo dell’impero, si posero le basi di ciò che sarebbe diventata la successiva potenza politica, economica e militare del Friuli. Durante la seconda metà del X secolo, sulle rovine lasciate dalle invasioni ungare, i patriarchi di Aquileia si indirizzarono verso un’importante opera di ricostruzione, non solo indirizzati alla Chiesa locale, ma comprensive delle condizioni di tutta la regione. Rodoaldo e Giovanni, si dedicarono con uguale impegno alla rinascita morale e materiale del Friuli. Gli imperatori Sassoni contribuirono con donazioni, consoni che i loro rappresentanti, marchesi e conti, non sarebbero stati all’altezza. Allo stesso tempo i possessi patriarcali divennero sempre più vasti, vennero concesse esenzioni e immunità più elevate, stimolando i patriarchi a opere tempestive e continuate.

 

Castello di Gemona
Castello di Gemona (cartolina d’epoca) distrutto dal terremoto del 1976)

 

Sorvolando sul lungo elenco delle donazioni che i vari Ottoni fecero ai patriarchi, da queste, costruirono e ricostruirono un sistema di castelli fortificati, a difesa della regione, da Spilimbergo a Gemona. Nella “Bassa friulana”, per ovviare allo spopolamento, i patriarchi introdussero gruppi di contadini e pastori slavi. Nel 1001 l’imperatore Ottone II in un diploma scrive che: “al patriarca Giovanni da Ravenna, vengono concesse tutte le ville edificate dopo la nefanda invasione degli Ungari” Non vennero citate le località, ma con sicurezza le popolazioni slave vennero dislocate nella vastada Hungarorum, tra il Torre e il Tagliamento, dove tutt’oggi si trovano i toponimi più consistenti, come Gradisca, Gradiscutta, Gorizzo, Goricizza, Lestizza, Belgrado. In un documento del 1031, il paese di S Maria la Longa (presso Palmanova) venne chiamato “villa Sclavorum“. Altri gruppi di slavi furono fatti immigrare nelle valli del Natisone, organizzandoli militarmente per la difesa dei passi. Confeme provengono anche da altri villaggi, dove i corredi funerari con orecchini, coltelli ecc. si possono assegnare alla cultura slava di Köttlach, fra il IX e il X secolo.

Nell’opera di riorganizzazione sociale, i patriarchi ebbero la collaborazione dei benedettini. Sia ad Aquileia che in varie altre sedi ecclesiastiche, è rimasta documentazione di varia entità dei monaci. Per merito dei patriarchi, in questo periodo, approssimandosi all’anno 1000, si videro castelli riparati, città ricostruite e borghi di campagna risorti. Ma niente a che vedere con la fioritura ottoniana e romanica in aree più fortunate d’Italia. Anche in campo artistico i maggiori centri di Cividale e Aquileia, videro durante tutto il X secolo un vuoto assoluto. Solo all’alba del II Millennio, la rinascita friulana apparve avviata, riacquistando la sua fisionomia storica, tanto che il movimento unitario nel corso dell’XI secolo otterrà la sua maturazione con la futura fondazione dello Stato patriarcale.

 

L'Europa degli Ottoni nel 1031 (Sacro Romano Impero)
L’Europa degli Ottoni nel 1031 (Sacro Romano Impero)

 

I Franchi portarono a termine ciò che i Longobardi avevano iniziato, ma non ci fu uno sviluppo improvviso del sistema feudale. Arimannie e Fare erano già organizzate nel modo d’intendere i rapporti umani. La campagna fu centro catalizzatore di tale sviluppo, originato in tutto il territorio precedentemente colonizzato dai Romani. Il crollo dell’Impero, il declino dell’agricoltura, la decadenza della produzione di merci, il lento decadere del commercio, lo spopolamento, assieme all’organizzazione militare dei popoli germanici, sviluppò la proprietà feudale. La differenza dal passato fu che non potendo più contare sugli schiavi, fu costretta a basarsi su altri produttori di cose, ovvero i contadini. Il feudalesimo entrò in contrasto con le città, soprattutto nell’Italia centro-settentrionale e nell’Impero centrale, ma in Friuli, per le sue caratteristiche geografiche, non sarebbe stato così forte da far nascere un conflitto.

Il crescere di parlate in cui il latino si fondava alle parlate precedenti e quelle seguenti, avrebbe determinato il formarsi, assai lento, di ciò che ora sono le lingue nazionali, che in realtà non furono altro che le lingue dei gruppi dirigenti. (Per ciò che concerne l’italiano, che per retorica si dice ancora “lingua di Dante”, quando si formò lo Stato italiano, solo una minuta minoranza di persone, nella composita popolazione che formava l’Italia, parlava quella che oggi si chiama “italiano”).

I Carolingi furono i primi a organizzare un nuovo modo di combattere a cavallo, che fu uno degli elementi dello sviluppo feudale. Fra l’VIII e il IX secolo abbandonarono la scure da battaglia, il giavellotto e la spatha, la lunga spada del cavalliere. Fu l’adozione della staffa che permise un perfetto uso della lancia. Ciò determinò una serie di problemi, come l’incremento delle spese per i cavalli e le armature, che diventarono complesse e costose. L’armamento medio di un cavallo poteva valere circa 20 buoi da lavoro. Naturalmente ciò cominciò a differenziare il fante dal cavaliere. Nel X secolo, l’adozione del ferro allo zoccolo, aumentò la capacità di sfruttare la combinazione uomo-arma-cavallo. Così l’uomo a cavallo venne messo a capo di un territorio, perché nessuno avrebbe potuto armarsi, se un gran numero di persone non avesse lavorato per lui. E colui che lavorava era il contadino. Il ferro ridivenne importante e le miniere della Carinzia ricominciarono a lavorare.

 

Cavaliere medievale
Cavaliere medievale

 

La Chiesa divenne protagonista nel nuovo ordinamento feudale, in particolare la Chiesa di Aquileia ebbe molti privilegi per le imprese commerciali, che avevano Grado come porto di riferimento. Della Marca del Friuli c’è ancora molto da capire, ma è certo che l’organizzazione ecclesiastica, centralizzata attorno al patriarca, ebbe notevole importanza. Fu in grado di portare avanti una politica con un unico fine, da qui la sua capacità di essere collegata con tutte le pievi del Friuli (pievi che corrispondevano alle antiche divisioni amministrative romane dei pagi). Una capacità che andò ben oltre ogni organizzazione laica.

Al’alba del secondo millennio, la rinascita del Friuli pareva avviata, sotto la guida del sempre più potente patriarcato e la regione andò sempre più riacquistando la sua autonomia fisonomica storica. Il Friuli vide una maturazione del patriarcato che rappresentò uno degli esempi più significativi della compenetrazione fra Chiesa e società, tipico del medioevo, ma con caratteristiche molto differenziate in rapporto ai fenomeni storici contemporanei italiani. Un esempio è la mancanza di una rinascita comunale paragonabile alle altre italiane. Nessun centro mirò ad esprimere un governo cittadino autonomo e antagonista all’autorità centralizzata patriarcale. Lo stesso, in seguito, non si ebbe in Friuli il fenomeno della Signoria, mentre sotto il governo dei patriarchi tedeschi, si sarebbe affermato un potente principato ecclesiastico di impronta germanica.

 

Aquileia oggi
Aquileia oggi

 

La genesi del potere temporale del patriarca di Aquileia, si sarebbe svolta con ritmi lenti e graduali lungo il corso di tre secoli, dalla fine dell’VIII alla fine dell’XI, sotto la spinta del ruolo sociale e politico sempre più incisivi in concomitanza  alla sua crescente potenza patrimoniale. Della prima s’è già parlato, la seconda è più complessa. Anzitutto alle proprietà che la Chiesa aveva in possesso e aumentato durante il dominio longobardo, si aggiunsero i beni ottenuti da Carlo Magno e dai Carolingi nel IX secolo. Quest’ultime furono donazioni con una diversa posizione giuridica, esenti dal fisco e da atti giurisdizionali dei funzionari regi. (Un primo processo verso il feudo patriarcale). Poi le donazioni di Berengario, dei re d’Italia e degli Ottoni, che non solo aumentarono il patrimonio e le esenzioni, ma vennero concesse vere immunità (feudali) ovvero deleghe sovrane ai patriarchi (regalie) estese a interi territori, sottraendoli in parte o del tutto ai rappresentanti imperiali, conti e marchesi, affidandoli all’amministrazione della Chiesa. Soprattutto gli Ottoni accentuarono tale indirizzo, indicando il carattere militare delle loro concessioni.

Verso l’anno 1000, il patrimonium ecclesiae aquileienses, raggiunse proporzioni imponenti, come un un arcipelago immunitario, entro il territorio soggetto al conte, finché le singole concessioni si saldarono fra loro e l’aspetto di arcipelago rimase alle residue e isolate giurisdizioni dei conti (Marchetti). La natura giuridica, all’inizio dell’XI sec, fra il patriarca e l’imperatore non è ancora chiara: i possessi patriarcali non costituivano un feudo e il patriarca non era un vassallo dell’imperatore. Si trattava ancora di un grosso dominio territoriale immunitario che tendeva a feudalizzarsi (Mor)

 

Fonti:

Gian Carlo Menis: Storia del Friuli
Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria