Il castello di Ambras tra storia ed immaginazione

Durante il viaggetto fatto per festeggiare il ventesimo anniversario di matrimonio,  viaggetto che ci portò a visitare Brunico ed innsbruck, decidemmo di visitare il castello di Ambras, che si trova a poca distanza dalla città di Innsbruck.

Dopo un breve percorso in auto arriviamo all’ingresso di un bel parco a cui la neve dona poesia ma toglie la possibilità di farci un bel giro (eh, la mia idea di cercare di visitare per la prima volta i posti quand’è primavera non è sbagliata, dopotutto), e quindi davanti al castello.
Disgraziatamente, assieme a noi arriva anche una malaugurata comitiva di bercianti italiani, ma noi non ci si perde d’animo e si usa il nostro collaudato sistema: l’omo fa le sue fotine con calma e nel frattempo il mucchio selvaggio va avanti, così ci si libera di loro in modo rapido ed indolore.

A questo punto comincio a guardarmi attorno nell’armeria, dove son raccolte le armature, le armi ed i ritratti della collezione di Ferdinando II d’Austria, e non posso fare a meno di chiedermi come fosse possibile vedere attraverso degli elmi con fessure strettissime per gli occhi come quelli che si usavano nei tornei.
Certo che ci doveva volere una bella incoscienza per infilarsi (o meglio per farsi infilare) in una di quelle armature dentro le quali non si vedeva un accidente ed esporsi ad essere investiti da un altro tizio, pure lui inscatolato ed impossibilitato a vedere, mentre a propria volta si cercava d’andargli addosso… Mah, certe cose non le capirò mai…

Bon, proseguiamo colla visita e dopo l’armeria arriviamo alla “camera dell’arte e delle meraviglie”, una grande sala che contiene la collezione di opere d’arte, di curiosità e di bizzarrie di Ferdinando II, e qui mi scateno perchè la collezione m’ha entusiasmata, tutte quelle cose curiose, particolari ed interessanti, quegli oggetti fatti per stupire, per incutere timore e meraviglia.
A dire il vero alcune cose m’impressionano un po’: il ritratto di un infelice con le membra deformi (che in origine era stato provvidamente coperto in parte con un pezzo di carta che occorreva alzare se si voleva vedere la figura intera), il ritratto di un uomo con la faccia completamente ricoperta di peli, quello di sua moglie (una persona normale con l’aspetto di una che ha i nervi molto saldi) e quello della figliola, anche lei tutta pelosa come il padre; e soprattutto un terribile ritratto di un uomo con un corno infilato dentro un occhio, che m’ha così impressionata che son scappata senza neppure leggere la didascalia.
C’era poi il quadro con un uomo altissimo (2 metri e 40, che son tanti anche adesso, figuriamoci quella volta!) ritratto accanto ad un nano che le cronache dell’epoca riportano fosse alto solo 60 centimetri, lo stesso nano che a quanto pare uscì dalla torta durante il ricevimento per un matrimonio importante (i nani erano considerati portatori di fortuna e prosperità). Ovviamente non posso esimermi dal pensare che cotanto auspicio, ancorchè fausto, a me avrebbe fatto prendere un accidente, ma dopotutto erano altri tempi.
Rimango in ogni caso incantata a guardarmi le mille cose belle raccolte nel salone: oggetti in legno ed in avorio lavorati così finemente che sembravano dei merletti, oggetti di madreperla, di corallo, di bronzo dorato ed intarsiato, di tartaruga… c’era da perdere la testa; e poi le curiosità: carte da gioco giganti, giochi degli scacchi con pedine stranissime (c’erano cavalli alati ed elefanti, maghi e guerrieri), scarpe con la punta a becco d’anatra, scarpe femminili con rialzi altissimi in cuoio istoriato, disegni cinesi di rara bellezza, uova di misteriosi volatili decorate con materiali preziosi, ed una raccapricciante sedia con legacci metallici da cui ci si poteva liberare solo bevendo del vino (gioco assai in voga all’epoca).

Usciti dalla sala, una breve passeggiata attraverso un parterre disgraziatamente ammantato di pur coreografica neve ci porta nel castello vero e proprio e nel vivo di una vicenda storica di cui fino a quel momento ignoravo tutto.
Scopro infatti che il castello di Ambras, un’antica fortezza medievale, fu completamente restaurato in stile rinascimentale nel 1563 da Ferdinando II d’Austria:

per la moglie Philippine Welser che, pur essendo figlia di un patrizio, non era tuttavia nobile, e quindi non avrebbe potuto aspirare ad essere la consorte di un arciduca.
Ferdinando però era così innamorato di lei che la sposò segretamente nel 1557 (lui aveva 28 anni e lei 30) e fece restaurare per lei il castello di Ambras, dove fece portare anche le sue amate collezioni di armi e di oggetti artistici e curiosi. In pratica, Ambras era il suo buen retiro…
Il ritratto della giovane Philippine mostra una quieta bellezza nordica con gli occhi luminosi e la bocca decisa di chi sa ciò che vuole:

e l’amore che l’arciduca provava per lei è testimoniato dalla sibaritica stanza da bagno che le fece costruire (in un’epoca in cui lavarsi era poco meno che un peccato capitale, e comunque era ritenuta cosa portatrice di malattie assortite): un sontuoso locale rivestito da pannelli di legno lavorato, con una vasca a pavimento dalle dimensioni di una piccola piscina, una stufa in maiolica per riscaldare l’ambiente ed un sistema sofisticato per riscaldare l’acqua.
Disgraziatamente, Philippine aveva tutto quel che non era desiderabile nella moglie di un arciduca: oltre a non essere nobile, era anche esperta di medicina e di farmacia, cioè era qualcosa di pericolosamente simile ad una strega, e non eran tempi, quelli, per esporsi a certe accuse… Insomma, Ferdinando tenne segreto il suo matrimonio al padre finchè potè, ma poi dovette confessare.

A questo punto anche l’Ape deve confessare una sua passioncella: vado pazza per i pettegolezzi storici.
Scoprirne uno che ignoravo totalmente m’ha riempita di gioia, e mi son messa subito a leggere le didascalie dei quadri contenuti nel castello, e ovviamente ho subito cominciato a partire per la tangente immaginandomi le varie situazioni.

Il padre di Ferdinando II era Ferdinando I, imperatore del Sacro Romano Impero, il quale aveva sposato una nobile boema con un matrimonio che, anche se combinato, era riuscito particolarmente bene, visto che s’eran piaciuti al punto da fare 15 figli.
Ferdinando senior non perdeva occasione per esortare il figliolo a prender moglie, ma Ferdinando junior nicchiava, e mi sono immaginata il dialogo tra i due (ora, non ho idea del perchè mi figuro che i due parlassero in toscano, ma si sa che all’immaginazione non si comanda):

Senior: O figliolo, l’è l’ora che tu ti decida a pigliar moglie, che tu c’hai quasi trent’anni sonati! Potresti pigliar la tale, che l’è nobile e anche ricca!
Junior: O babbo, la tale ‘un la voglio pigliare, l’è brutta come una gerla di ranocchie, la c’ha l’occhi torti e l’orecchie a sventola!
Senior: E allora pigliati la talaltra, che l’è tanto caruccia, te tu ha visto la miniatura che c’ha fatto avere il su’ babbo?
Junior: O babbo, o che mi volete corbellare? La talaltra la sarebbe caruccia, se non avesse la faccia tutta rovinata da’ segni del vaiolo, che quel bischero del pittore l’ha fatto a meno di pingerli, perchè “l’è l’usanza”! Gliela do io l’usanza, maremma maiala!
Senior: E allora perchè ‘un ti pigli codesta, che l’è bellina, ‘un ha avuto il vaiolo ed è ricca?
Junior: O babbo, ma proprio codesta voi mi volete dare, che l’è bisbetica che non le si può stare accanto, e che oramai la c’ha vent’anni sonati e ancora nessuno se la piglia!
Senior: O insomma, figliolo, o che tu ‘un sarai mica contronatura?
(E qui chiedo venia per l’utilizzo di un termine senza dubbio improprio, ma la mia scarsa conoscenza del toscano m’impedisce di impiegare il corretto termine vernacolare. Certo che se la mia immaginazione li avesse fatti parlare in veneto tutto sarebbe stato più semplice…)

Insomma, a furia di discussioni la verità saltò fuori: Junior era già sposato ma il matrimonio era inaccettabile! Le didascalie dei quadri del castello riportano che il padre “fu molto contrariato”, immagino che abbia fatto delle gran scenate al figliolo e che gli sia pure venuto un bel travaso di bile, ma alla fine dovette arrendersi (d’altro canto la casa degli Asburgo sembra essere stata piuttosto portata ai matrimoni morganatici, come nel caso del povero Francesco Ferdinando, quello che han accoppato a Sarajevo procurando tutti quei guai).
Alla fine trovarono un accordo: il matrimonio doveva restar segreto e gli eventuali figlioli non dovevano esser riconosciuti.
La bella Philippine viveva nel tranquillo castello di Ambras, dove s’era fatta raggiungere dalla madre, e quando le nacquero a breve distanza l’uno dall’altro due figlioli (maschi entrambi, quando si dice la fatalità…) si dovette pensare ad uno stratagemma per permetterle di tenerseli accanto e di allevarli, e così furono deposti davanti al portone del castello fingendo che fossero trovatelli.
Anche qui m’immagino la scena…

Philippine: Mama, vago par funghi!
Madre: Eco, brava, ciò, che in ‘sti giorni te si stà ‘na s-cianta costipà, va’, benedeta, che te fa ben!
(La dama di compagnia, senza smettere di ricamare il copricuscino a piccolo punto, intanto pensa: Sì, costipà, propio! ‘Na costipasion che xe durà nove mesi, ostrega!)
Philippine (nel frattempo uscita dal castello): Ciò, varda cosa che ghe xè qua par tera, un putèo! Varda che beo chel xè, che teneressa! Mi quasi quasi meo tegno e meo slevo mi! *

Insomma, la povera Philippine dovette mandar giù un bel po’ di rospi per ‘sta faccenda di non esser nobile, e riuscì a vedersi riconoscere ufficialmente solo quando il suo primogenito diciottenne venne nominato cardinale ed il papa concesse graziosamente a Ferdinando II il perdono per aver tenuto segreto il matrimonio, dal momento che un cardinale non poteva essere illegittimo…
Il ritratto ufficiale di Philippine, fatto solo dopo che il matrimonio era stato reso pubblico, mostra una donna amareggiata da una vita di sotterfugi e minata dalla malattia che pochi anni dopo la condusse alla tomba:

Ferdinando II si risposò solo due anni dopo la sua morte, facendo un matrimonio per la ragion di stato con la figlia sedicenne di una sua sorella; il ritratto di Anna Caterina Gonzaga, la seconda moglie:

mostra una ragazzina obiettivamente bruttarella e con l’aria malmostosa che ci si può aspettare da una sedicenne che ha dovuto abbandonare la propria casa e la propria terra per andarsi a sposare uno zio cinquantenne che vive in un paese ricoperto di neve per sei mesi all’anno.
Da quel matrimonio nacquero 3 figli, e fatalità volle che fossero tutte e tre femmine. Immagino che Philippine nell’aldilà si sia fatta delle gran risate…

Bene, mentre mi dedico a cotesti voli pindarici, non manco di notare l’imponente struttura del castello e neppure la superba Sala Spagnola

spettacolare salone rinascimentale con le pareti ricoperte d’affreschi ed il soffitto di legno istoriato (nonchè un notevole pavimento in marmo a disegni geometrici), preceduta dalla Stanza degli Imperatori, in cui son raffigurati i regnanti del Tirolo inframmezzati da figure di Turchi dall’aria decisamente scontenta (era il periodo delle guerre contro l’impero Ottomano ed era quindi di rigore la rappresentazione del nemico sconfitto).
Non manco altresì di deprecare con vibrati accenti l’increscioso fatto che la Galleria di ritratti degli Asburgo sia aperta solamente d’estate, oltre tutto senza che questo comporti una riduzione del biglietto d’ingresso, che è pure salatuccio (costava 10 euro nel 2010).
A parte la Galleria, mi resta in ogni caso il ricordo di una visita davvero assai interessante che mi ha pure offerto l’occasione di un po’ di divagazioni storiche, che non manco di trasmettere all’omo, il quale, ormai abituato alle intemperanze Apesche, non solo non si scompone ma ci prende pure gusto, e come conseguenza passeremo poi parte del viaggio di ritorno a chiacchierare di matrimoni nobiliari d’epoca rinascimentale, dello scisma d’Inghilterra e di pettegolezzi su Enrico Ottavo d’Inghilterra (quello delle 6 mogli).

*Traduzione per i non veneti:
Philippine: Mamma, vado per funghi!
Madre: Ecco, brava, perbacco, che in questi giorni sei stata un po’ raffreddata, va’, benedetta, che ti fa bene!
(La dama di compagnia, senza smettere di ricamare il copricuscino a piccolo punto, intanto pensa: Sì, raffreddata, proprio! Un raffreddore che è durato nove mesi, ostrega!)
Philippine (nel frattempo uscita dal castello): Perbacco, guarda cosa c’è qui per terra, un bambino! Guarda che bello che è, che tenerezza! Io quasi quasi me lo tengo e lo allevo io!

Pubblicato da Bee

Ape per scelta e antigrillista per DNA, ama parlare di sé in terza persona, spargere serenità e buffezza e raccontare le meraviglie del mondo che ci circonda.