Libertà di…?

Esprimere o opprimere? 

Quando, in nome della libertà, si sopprime il dialogo.

Nell’ormai quotidiano dibattito su “ libertà d’opinione e censura “ si discute il diritto di tutti a dare la nostra opinione su eventi in corso o storici. Inevitabilmente si offrono pensieri e interpretazioni differenti e differenti modi di comunicarli.

C’è chi sostiene l’unico modo di progredire verso un fruttuoso dialogo sia mediante un linguaggio comune di buona educazione.
C’è chi sostiene sia possibile inserire rutti e scorregge verbali nella conversazione in nome de “ la libertà “,  come se fosse diventato una specie di ‘diritto umano’ comportarsi in salotto così come ci si comporta nel cesso.
Se personalmente mi ritrovo a sostenere il primo metodo di comunicazione ( non solo per buona educazione e convivenza sociale ma proprio  l’uso dell’eleganza verbale come arma politica  ), capisco chi si sente intimidito o frustrato dall’imposizione di un linguaggio cosiddetto “ politicamente corretto ‘‘.
Nell’uso che tutti facciamo della lingua, sono le intenzioni che contano, non solo le parole.
Non critico chi per anzianità e abitudine usa l’ormai desueto “ negro “, ma chi ne ‘rivendica ‘ l’uso proprio perché offensivo, accompagnandolo a presunte dettagliate spiegazioni pseudo-filosofiche per inzuccherare puzzolenti velleità di superiorità di razza.
Acca’ nisciun è fesso.
 Non ho molta simpatia per shwa o asterischi, né reputo utili i continui cambiamenti nel definire disabili o altre categorie: cambiare termini è inutile se non cambiano le condizioni.
Credo un  disabile sarà  meno ferito dall’essere chiamato tale invece di
”diversamente abile “, che dal provare a parcheggiare o accedere un edificio quando il parcheggio a lui dedito è occupato da chi disabile non è o l’edificio non ha rampe.
Diverso è  però quello che non si può  più fare a meno di notare: tanti tra coloro che si lamentano di ‘censura’ occupano liberamente molteplici spazi in cui poi stabiliscono le proprie narrative effettivamente affogando quelle altrui.
Quelli che ruttano persistentemente nelle conversazioni dei blog e social con mantra razzisti e propagandistici, falsità  acclamate e revisioni storiche usano la “ libertà di parola “ con precise intenzioni di inquinare, svilire, negare le opinioni altrui. Con interventi diretti, con “ flooding “ o “ flame “, con l’allontanamento di altri utenti suscitando noia, o nausea o schifo, negano lo spazio a voci timide o dissenzienti o più sensibili al rumore.
Non è quell’intento una forma di oppressione? Di censura? Se in nome della propria libertà altri vengono soppressi, è il clima creato “ libero” a tutti?
Sia ben chiaro non parlo di coloro che genuinamente confusi e preoccupati esprimono la difficoltà a comunicare i propri pensieri nelle comunità reali o virtuali. O quelli che si sentono forzati a condividere linguaggio, bandierine e simboli altrui per sentire appartenenza.
Siamo animali sociali, di gruppo e questo normale istinto viene talvolta manipolato.
Vuoi la dopamina di un like, l’adrenalina di una risposta? A destra e a manca ci sarà il furbo a coltivarla. Dall’ influencer che studia il trend che fa più click nel momento e lo presenta come geniale verità, a l’estremista che carezza le pance vuote o la solitudine altrui aizzando all’odio e spostando altrove le vere colpe di problemi sociali, politici, economici.
Di questi manipolatori parlo e sono questi i primi a gridare contro la libertà d’espressione quando i loro motivi e metodi vengono messi in dubbio o questionati.
“ Flood the area with shit “.
Chi sono questi paladini della libertà? ( Notare la parola, da ieri a oggi, sia comune denominatore di tutti i partiti di destra e estrema destra. Dalle basi del Likud israeliano  a quello vittorioso in Olanda questa settimana ).
Non è strano abbiano tutti lo stesso linguaggio, temi, metodi, siano questi in inglese, italiano, mandarino, olandese, indù, brasiliano, francese…?
Li trovi poi negli stessi luoghi negli stessi momenti, facendo circolare le stesse fonti e abilmente conquistandosi le prime 10/20 posizioni su determinate notizie nel motore di ricerca Google.
Su 4Chan, Twitter, Facebook si aggiungono ai media leccaculo del potere già esistenti: Daily Mail, Libero, Verità…e se non hai tempo per setacciare la buccia dalla polpa la loro ‘versione’ è quello che rimane della notizia originale.
Riguardo eventi politici, sociali, crimini e misfatti, si lamentano del “pensiero unico “ affogando però tutte le altre voci con la loro indiscutibile versione dei ‘fatti’. Il loro diventa “pensiero unico “ per asfissia.
Avvoltoi che dopo tre minuti di eventi ancora non assodati offrono immediate conclusioni: Alla manifestazione per il cessate il fuoco di Londra ci sono scontri con la polizia: colpa degli arabi! A Dublino l’accoltellatore è sicuramente arabo e TUTTI gli irlandesi chiedono l’espulsione degli arabi nel territorio! Nel confine USA-Canada l’esplosione di una macchina è di marchio terrorista arabo! In un paesino francese la rissa e accoltellamenti tra giovani è evidente colpa di arabi!….
La lista è  lunga e continua. Nessuno sa ancora nomi, dinamiche dei fatti ma i nostri eroi della libertà sono già in azione a raccontarci quale davvero sia la verità. Mai spiegano come e perché in alcuni di questi eventi sia comune la presenza di elementi di estrema destra.( vedi Londra e Dublino nelle ultime settimane). Strano?
No, non è strano. È un metodo già usato e testato dai propagandisti di tutte le epoche e nazioni. Oggi è solo più veloce e sofisticato. Oggi è una precisa arma di una precisa ideologia politica. Dallo spin doctor di Putin in Russia a Steven Bannon in America ( e Italia e UK ), la vincente teoria messa in pratica: “Flood the area with shit “ (cit. Bannon).
Quella dinamica che vediamo in tutti i blog, nel nome della “ libertà di parola “, spesso non è altro che la ripetizione di slogan e idee scritte da manipolatori astuti altrove.
Entrano ovunque, lupi che si presentano con pellicce d’agnelli, col preciso fine di avvelenare i pozzi, di confondere la realtà dei fatti sostituendola con narrative atte a disumanizzare individui e popoli; a distruggere coesione sociale; a estremizzare fenomeni limitati e confinare quelli estremi.
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Complessità semplificate, semplicità complicate. 
Come si diffonde la propria narrativa.
Esistono alcune estremiste femministe? Presentiamo come estremo tutto il femminismo. E vai con esempi da pescati da una bolla Twitter.
Esistono alcune organizzazioni gay/trans con idee e programmi estremisti? presentiamo tutto il mondo gay come estremista. E vai con esempi da pescati da una bolla Facebook.
Esistono alcuni gruppi estremisti islamici? Presentiamo tutti i musulmani come terroristi. E vai con esempi pescati da Libero o simili.
Esistono alcuni gruppi o individui che vogliono riscrivere storia, letteratura, film e documentari con revisioni “ moderne “ di linguaggio, personaggi, eventi?
E vai con esempi pescati da Daily Mail o simili…
Importanti cambiamenti sociali trattati con superficialità. Occasionali e geograficamente  confinate aberrazioni trattate come permanenti e universali.
Personali paure, pregiudizi o ansie, affibbiate all’intera popolazione nazionale.
Il mondo, signora mia, è comandato da woke. Dove andremo a finire!
A chi è utile questa narrativa?
Da Trump a Bolsonaro a Modi a Netanyahu a Salvini a Meloni a Orban a Johnson/Farage/Truss/Sunak a Le Pen a …la lista è lunga di personaggi che hanno il potere o hanno detenuto il potere in intere nazioni, la cui narrativa ha spesso media servili e eserciti di utili idioti pronti a diffonderla.
Ma è del ‘woke” che usa asterischi che dobbiamo avere paura, eh.
Non di chi sputa sullo stato di diritto, chiude università e giornali, da anni censura libri e documenti, riscrive interi archivi storici, imprigiona dissidenti, firma “ visti speciali “ per l’entrata di centinaia di migliaia di immigrati da schiavizzare e allo stesso tempo grida slogan anti-immigrazionisti usando un pugno di poveracci su barconi…
E dire che di “ woke “ se ne potrebbe parlare a lungo e proficuamente; un esempio recente qui:
E pure di donne si può parlare, senza scadere il pregiudizi, luoghi comuni.  O di femminismo si può parlare senza perennemente invocare Murgia come unica rappresentante.
 Di tutto si può parlare e le precisazioni storiche, i pensieri più elaborati, le domande e i dubbi, i link a chi ne sa di più e l’invito a discutere di tutto lasciando spazio a tutti moderando toni linguaggio, non sono censura, sono buonsenso.
Ma no, fermiamoci a due lesbiche urlanti, un trans che spara cazzate, un manifestante che ha perso la testa, una ragazzina che usa solo asterischi, così vinca la semplificazione, il bianco o nero.
Notabile la dinamica che segue il richiamo all’automoderazione: il vittimismo, il “ ma non si può dire niente! “.
Eppure parliamo di individui che spesso occupano 5/6 blog, hanno profili social e accesso a molteplici udienze, ai quali non mancano i luoghi in cui dire tutto senza richiami o impedimenti.

Pure nella retorica usata per zittire altre opinioni o precisazioni c’è sempre un finale : ‘ Ma se non è A è per forza B! ‘ alla faccia di tutte le altre lettere dell’alfabeto, sfumature e possibilità. La sanno lunga queste povere vittime della censura. Eppure, pur partendo da A mai raggiungono Z.
“ Don’t feed the troll “
Perché talvolta è meglio chiudere le porte.
 Spacciandosi per ‘originali, liberi, senza peli sulla lingua che dicono quello che gli altri non vi dicono! ‘, questi individui mettono in atto una loro sottile e perniciosa censura. Gridano più forte e il resto è perso nel loro rumore.
Nel considerarli onesti interlocutori partecipiamo, a mio avviso, a legittimare un nutrito esercito di troll che di originale ha ben poco se non le ripetizioni del copione a loro dato. Soffochiamo altre voci. Rafforziamo i fili a marionette tenute su da burattinai che acquistano sempre più potere e offrono un assaggio a un futuro totalitario e promesse di nuovi pogrom.
Prima erano gli ebrei ad essere vittime di menzogne e falsità si’ che se ne giustificasse lo sterminio; ho paura ci saranno presto ( e già spesso ahimè ci sono, nel nostro silenzio, dalla Birmania all’India, dall’Israele alla Cina all’Europa ) delle nuove vittime.
Nell’accedere a blog, social e comunità reali o virtuali, ognuno deve essere padrone delle proprie scelte e consapevole delle proprie responsabilità.
Io mi prendo le mie: a questi troll non voglio dare ossigeno. Non li legittimo, non interagisco.
Se ho avuto momenti di sincero ottimismo ho finito le riserve. Chiudo le porte. Apro le finestre. Prendo aria.
“Con l’odio non si ragiona “ (cit).
*Immagini da: publicdomainreviw.org. da cui invito la visione di un vecchio film ( in inglese):