Confini – In Italia

Nel mio precedente articolo vi avevo lasciato con la promessa di tornare sull’argomento confini ma con un’accezione più locale, ed eccoci qua!

Il forte si mesce col vinto nemico;
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.

La premessa che ci suggerisce l’ultima strofa del terzo atto dell’Adelchi di Manzoni è quasi d’obbligo: il nostro paese è stato negli ultimi secoli attraversato da eserciti e popoli, è stato smembrato e riunificato. Quando Manzoni lo scrisse, si era ancora lontani dall’unità nazionale, ma poi fece in tempo ad assaporare il Risorgimento. Non vide però la conseguente iscrizione dell’Italia nel novero delle potenze coloniali, fatto che, ovviamente, è anch’esso influente quando si parla di confini.

Per la cronaca il primo possedimento italiano (Baia di Assab, Africa Orientale), allora lontano dall’essere considerabile come colonia, risale al 1869 e per di più fu una acquisizione dapprima intesa come un’iniziativa privata. Presto però (1882) il territorio fu ceduto al Regno d’Italia, divenendo l’embrione delle successive espansioni coloniali in Africa.

I primi Italiani in Africa: cominciò tutto con un contratto privato della Compagnia Rubattino

Tracce di vecchi confini

Come noto, la penisola italiana ante 1861 era politicamente frammentata, che, per gli scopi di questo articolo significa “un sacco di confini”. Yeeee.

Ahimè, ben poco è rimasto di tali confini, con qualche eccezione.

Ad esempio, è possibile trovare ancora i cippi che delimitavano il confine meridionale dello Stato Pontifico, quello con il Regno delle Due Sicilie.

Foto del cippo n° 135, tra San Giovanni Incarico e Falvaterra (Frosinone)

Come si vede, i cippi sono stati piazzati nel 1847, e recano sia le chiavi incrociate che il giglio borbonico, oltre che un numero identificativo (ce ne sono circa 650).

Esistono sparuti cippi di confine di altri stati, ad esempio quelli tra Ducato di Parma e Regno di Sardegna:

Cippo sul Monte Gottero

Un famoso confine conteso

A proposito di monti, ditemi, qual è la più alta vetta italiana? Monte Bianco, direte voi.

Ah, poveri illusi.

O meglio, avete tutti ragione…ma lo sappiamo solo noi italiani. Per il resto del mondo la cima del Monte Bianco è francese. Volete le prove? Ecco un link su Google Maps che vi farà inorridire.

Eh si, questa è una storia che va avanti da parecchi anni, esattamente dal 1865. In tale data, incaricato di redigere la mappa del massiccio del Monte Bianco, un cartografo militare francese, tal Jean-Joseph Mieulet, probabilmente in vena di farla grossa, decise che non fosse il caso di tirare una banale linea attraverso la vetta, come invece le due nazioni avevano stipulato 5 anni prima nel Trattato di Torino, ma di girarci intorno, ovviamente a vantaggio francese.

La grandeur francese si manifesta pure sulle mappe

Da noi ovviamente le cose non cambiarono: a partire dall’Atlante Sardo del 1869 fino alle cartine del Touring Club, il confine è sempre passato esattamente sulla cresta spartiacque.

La cosa interessante è che, a parte qualche interrogazione parlamentare, non abbiamo mai fatto valere con particolare decisione le nostre rimostranze, probabilmente per evitare inutili contrasti tra due paesi in seno all’Unione Europea. Recentemente la disputa si è rinfocolata, dopo che il sindaco di Chamonix ha deciso di transennare per ragioni di sicurezza l’accesso al ghiacciaio: decisione probabilmente giusta, ma presa su quello che per noi è territorio italiano.

OpenStreetMaps.org è più salomonica: mostra entrambi i tracciati

L’Italia si spinge lontano!

Meglio tornare a parlare dei fasti delle nostre colonie e dei loro confini. Ma in questo caso, non parlerò dei soliti possedimenti in Africa Orientale, in Albania o in Dalmazia.
Per esempio, che mi dite della foto seguente?

Architetture italianeggianti: si, ma dove?

In questo posto le strade si chiamavano Via Roma, Piazza Dante, Corso Vittorio Emanuele. O Piazza Maria Elena, quella nella foto.

Ebbene, stiamo parlando della Concessione Italiana a Tientsin (anche chiamata Tianjin – Repubblica Popolare Cinese – 15 Milioni di abitanti), ovvero di un lembo di territorio (46 ettari) che l’Italia ebbe in concessione grazie all’aiuto dato per sedare (1900-1901) la rivolta dei Boxer. No, non stiamo parlando di ribellioni di biancheria intima, ma di contadini ed artigiani cinesi, stanchi delle sopraffazioni degli imperi occidentali e dell’inquinamento delle proprie tradizioni (ricorda qualcosa, vero?). Ad ogni modo, l’Italia fornì uomini e supporto militare, e, sedata la ribellione, ebbe in premio (al pari di altre nazioni) un lembo di terreno a Tientsin. Tale città fu la prima che venne appunto occupata dalle forze imperiali di diverse nazioni europee ma anche giapponesi, che in seguito liberarono le legazioni occidentali assediate dai rivoltosi a Pechino.

Mappa con i confini delle varie concessioni di Tientsin. Quella italiana è piccola, ma almeno è in centro!

In seguito l’Italia, dopo la vittoria contro l’Austria-Ungheria nella prima guerra mondiale, ebbe in gestione anche la relativa concessione. Il tutto fino al 1943, anno di occupazione di Tientsin da parte dell’esercito nipponico.

Prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale l’Italia ebbe altri territori amministrati sul suolo cinese, tra cui il Forte di Shan Hai Kuan, dove la Muraglia Cinese si tuffava nel mare e un territorio a Shanghai nel 1937, nell’ambito di contrastare l’esercito Giapponese.

Curiosità: il governo cinese ha restaurato le costruzioni della concessione Italiana a fini turistici. E quei comunistacci si sono guardati bene dal toccare i fasci littori in bell’evidenza sul Palazzo della Cultura Italiana:

Fulgida architettura del ventennio!

Confini orientali

Ritorniamo a lidi più vicini e facciamo ancora un saltino in avanti nel tempo. La seconda guerra mondiale è finita, l’Italia è tra le nazioni sconfitte, ci sono da regolare un po’ di conti, tra cui ovviamente sistemare le frontiere.

Il Trattato di Parigi, nel 1947, decreta cose bene o male “semplici” (abbandono delle colonie, Briga e Tenda ai Francesi, Isole del Dodecanneso ai Greci, e via dicendo). Ma affronta anche una parte spinosa, quella del confine tra Italia e la Jugoslavia di Tito, in particolare sul territorio di Venezia Giulia, Trieste e l’Istria. Questi erano territori che erano Italiani prima che il fascismo prendesse piede in Italia. Eppure le potenze vincitrici, malgrado un meraviglioso discorso di Alcide De Gasperi, optarono per un umiliante ripiego, quello del “Territorio Libero di Trieste”, un’entità territoriale in teoria autonoma, ma che rappresentò uno dei primi fallimenti della neonata ONU.

Il confine Italia-FTT (Free Territory of Trieste)

Solo pochi anni dopo (memorandum di Londra – 1954) il territorio fu diviso in due zone, una a gestione Italiana, l’altra Jugoslava, quest’ultima comprendente Capodistria e Umago (il resto dell’Istria era già stato assegnato a Tito a Parigi). L’ufficialità fu definitivamente sancita con il Trattato di Osimo del 1975.

La suddivisione del Territorio Libero di Trieste nelle due zone, a rispettiva gestione Italiana e Jugoslava

Non è una delle pagine più belle sui confini: quello che i fascisti fecero alle minoranze slave fu restituito con gli interessi, con la slavizzazione della regione, le foibe, gli esodi e tutto di quanto vorremmo dimenticare. Ma che non dobbiamo.

Il consolidamento del confine Italo-Jugoslavo portò all’attenzione un altro potenziale punto caldo, rappresentato dal fatto che buona parte della città di Gorizia si situava entro i confini jugoslavi. Poiché questa però escludeva centri amministrativi, gli Jugoslavi edificarono quindi Nova Gorica, sancendo perciò una situazione simile a quella presente a Berlino. Tuttavia i rapporti tra le due città, escludendo un episodio nel 1953 quando Tito radunò migliaia di partigiani e minacciò di “annettere il retroterra sloveno”, non furono scenario di particolari momenti di tensione (c’era comunque una comunità slovena a Gorizia), e le due città rimasero sostanzialmente in buoni rapporti. Questo nonostante l’inquietante muro di confine che, in Piazza della Transalpina divenne un simbolo di separazione ideologica.

Gorizia, Piazza della Transalpina ai tempi di Tito: l’edificio con la stella rossa è la Stazione di Nova Gorica, appena al di là del confine in primo piano.
La Piazza oggi

Austria e Svizzera

Discusso di Francia e Jugoslavia/Slovenia, rimangono altri due (grossi) paesi di confine con l’Italia, Svizzera e Austria.
Il primo è il confine internazionale più lungo che l’Italia ha con un altra Nazione, e tuttora l’unico che, quando viene attraversato, mantiene un posto di controllo, sebbene il paese elvetico abbia aderito allo spazio di Schengen (al pari egli altri paesi extra-UE quali Islanda, Norvegia e Liechtenstein). Tutti abbiamo presto o tardi sentito alla radio “code alla dogana di Brogeda”.
Da un punto di vista storico la frontiera è naturalmente nota per la sua permeabilità al contrabbando (gli “spalloni”) e al traffico di capitali. E’ però una frontiera che ha visto pochissimi cambiamenti dopo l’Unità d’Italia, sebbene il Movimento Irredentista avrebbe voluto annettere i territori di lingua italiana (Canton Ticino, Grigioni).

Valico autostradale di Brogeda, Dogana Italia Svizzera

Per quanto riguarda l’Austria, da un punto di vista storico chiaramente le evoluzioni di confine sono state invece sostanziali. Prima della Grande Guerra l’odierno Trentino Alto Adige era parte dell’Impero Austro-Ungarico. A ostilità terminate il Trattato di Saint-Germain-en-Laye nel 1919 definì i confini che sono ancora quelli odierni. L’eredità è una regione bilingue che ogni tanto ha vissuto episodi di tensione, specie nel periodo del fascismo/nazismo e che vede anche oggi rigurgiti di indipendentismo. A dire il vero molti politici italiani dell’epoca non erano particolarmente convinti di tenersi un territorio dove allora la lingua germanofona era parlata dalla schiacciante maggioranza della popolazione. D’altra parte il Brennero rappresentava da un punto di vista militare una zona meglio difendibile, e l’Austria era “il nemico” per eccellenza: meglio essere prudenti.

Poc’altro da segnalare, se non le recenti brillanti idee, per fortuna rimaste tali, di mettere delle barriere al Brennero per evitare il travaso di pericolosi migranti dall’Italia.

Il confine al Brennero con l’Austria: niente più sbarre o controlli.

Enclave/exclave

E veniamo quindi allo status odierno e alle curiosità. L’Italia include 2 delle 3 enclave a livello di stato sovrano nel mondo, San Marino e Città del Vaticano (la terza è il Lesotho, in Sudafrica). A sua volta possiede un’unica enclave, Campione d’Italia in Svizzera.

A livello di assetto amministrativo, giova ricordare che le brutte e cattive province furono inventate ben prima delle regioni (in Costituzione dal 1970). Anzi, anche prima dell’Unità d’Italia, quando il modello provinciale sabaudo venne esteso anche alla vicina Lombardia grazie al Decreto Rattazzi (1859), che divenne il modello ispiratore quando si aggiunsero in seguito le altre zone della penisola.

Per quanto riguardo exclave regionali, ne esiste solo una degna di nota, il comune di Badia Tedalda (Arezzo) che ha una frazione, Ca’ Raffaello, interamente circondata dal territorio di un’altra regione (l’Emilia-Romagna, in provincia di Rimini). Poca roba comunque.

Ca’ Raffaello è in provincia di Arezzo, ma tutto intorno sono Riminesi.

Più interessanti le exclave provinciali, ad esempio Resuttano, exclave nissena in provincia di Palermo e soprattutto San Colombano al Lambro (MI), che ha una certa dimensione (più di 7000 abitanti). Il paese, quando fu creata la provincia di Lodi nel 1992 scorporandosi da Milano, rifiutò sdegnosamente di farvi parte, divenendo quindi una exclave della Provincia (oggi Città Metropolitana) di Milano. Qualcuno sostiene che la ragione stia nel fatto che in tal modo Milano possa continuare a fregiarsi di avere il proprio vino, prodotto di punta dell’agricoltura locale (e unico posto con vigne nella vecchia Provincia di Milano).

Stiamo entrando nella Città Metropolitana di Milano, ma Piazza del Duomo è distante più di 40 km.

A livello comunale ci sono tantissimi casi di Enclave/Exclave, ma riguardano per lo più piccole località (eccezione: il comune di Surbo, 15mila abitanti, è interamente circondato da Lecce).
Storicamente ci sono stati altri casi interessanti, ad esempio, il territorio del Cremasco è stato sostanzialmente una exclave della Serenissima Repubblica di Venezia (confinava con la Bergamasca, allora parte della Repubblica, tramite una strada fortificata).

Finiamo con news recentissime: il comune di Sappada il 22 Novembre 2017 esce dal territorio del Veneto (provincia di Belluno), per entrare in Friuli-Venezia Giulia (provincia di Udine). Ah, la potenza delle Regioni a Statuto Speciale! A tale proposito, anche Cortina d’Ampezzo ha la volontà di lasciare il Veneto per entrare in Trentino-Alto Adige, ma pare che Bolzano non sia troppo d’accordo (sbilancerebbe il rapporto germanofoni-italofoni a suo sfavore).

Tutto bello, ma…il Molise esiste??

Stiamo ancora verificando. Non escludiamo di trovarne tracce prima o poi.