Congo 3 – Red rubber

Il 1° giugno 1885 re Leopoldo II divenne sovrano dello Stato Libero del Congo con capitale Boma. A differenza delle altre potenze le cui colonie erano amministrate dal parlamento, lo Stato Libero fu gestito direttamente dal re come sua proprietà. In Europa era visto come un filantropo con grandi mezzi e molti ideali, ma sul posto i suoi ideali si rivelarono presto di natura esclusivamente pecuniaria.

Alla fine del secolo XIX Leopoldo disponeva solo una cinquantina di stazioni in Congo, ognuna delle quali controllava territori enormi, in teoria. Ma nella pratica Tippo Tip dominava su tutto l’est e il Katanga era in mano a Msiri. Il numero dei rappresentanti dello Stato rimase limitato fino alla sua fine: nel 1906 su 3000 bianchi, c’erano solo millecinquecento funzionari, gli altri erano mercanti e missionari. Non creò mai un apparato statale burocratico, investì solo in nuove stazioni per rafforzare la sua influenza. Voleva il massimo guadagno con il minimo investimento.

Nessuno conosceva l’ubiquazione esatta dei confini del regno, che erano stati tracciati arbitrariamente a matita su una mappa approssimativa da Stanley e Leopoldo, in un pomeriggio estivo sulla costa del Mare del Nord. Nonostante ciò cercò di penetrare sul lago Malawi, sul lago Vittoria, e nel corso superiore del Nilo volendo impadronirsi del Sudan, con una voracità insaziabile, ma senza successo. Tuttavia la sua avventura africana non fu ricordata per questo, ma per essere stato il periodo più sanguinoso nella storia del Congo.

 

Base commerciale con decine di zanne di avorio Foto: Uig / BRidgeman / Aci
Base commerciale con decine di zanne di avorio (1900) Foto: Uig / BRidgeman / Aci

 

Leopoldo cominciò con l’inviare nel Paese un numero crescente di suoi sudditi per sostituire poco a poco i britannici assunti da Stanley, si liberò anche di lui perché era visto come il diavolo dai francesi e trasformò l’Association Internationale du Congo in un’impresa univoca con personale belga. L’inglese come lingua amministrativa cedette il posto al francese. Il commercio sul fiume, che era stato per quattro secoli in mano ai locali, fu integralmente rilevato dagli europei.

Il libero commercio in breve tempo si mangiò tutta la vecchia rete mercantile: sorsero magazzini e stabilimenti europei e sulla costa cominciarono ad attraccare transatlantici per trasportare l’avorio. Nel 1897 furono esportate 245 tonnellate di avorio (quasi la metà della produzione mondiale) per riempire i magazzini di Anversa, facendo diventare la città il principale centro mondiale dell’avorio. In occidente tasti di pianoforti e organi, palle da biliardo, tessere di domino, statuette, bastoni, ombrelli, erano tutti realizzati con l’avorio congolese.

Con la sua creazione, lo Stato Libero vide la nascita della Force Publique, un esercito guidato da ufficiali bianchi, la maggior parte belgi, ma anche italiani, svizzeri e svedesi. Fra le truppe si distinguevano i zanzibaresi con mercenari nigeriani e liberiani. Solo più tardi vennero reclutati i primi congolesi. Prima con volontari, poi il reclutamento divenne coatto attraverso le missioni e i capovillaggio che, ricevendo doni furono ben contenti di liberarsi dei soggetti più irrequieti. Leopoldo ci investì la metà del suo budget: nel 1889 contava millecinquecento reclute, nel 1904 erano diciassettemila. Alla fine lo Stato Libero del Congo disponeva di oltre venticinquemila fucili Albini con baionetta, quattro milioni di pallottole, centocinquanta cannoni e diciannove mitragliatrici Maxim, diventando la maggiore potenza militare dell’Africa Centrale.

 

Fotografia del 1907 che mostra alcuni membri della force publique con un ufficiale. I soldati erano chiamati
Fotografia del 1907 che mostra alcuni membri della force publique con un ufficiale. I soldati erano chiamati “albini” perché portavano fucili Albini – Foto: Ullstein Bild / Getty Images

 

Nel frattempo i congolesi cominciarono ad avere sempre più contatti con lo stile di vita dei bianchi entrando nelle loro case assunti come boy, soprattutto bambini e adolescenti. Un buon boy era apprezzato, a volte picchiato, raramente lasciato libero di decidere. Leopoldo combatteva la tratta degli schiavi araba, ma c’era poca differenza fra uno schiavo domestico in un paese arabo da un boy nella casa di un funzionario bianco. Alcuni si portarono il boy in Europa e quando questi tornavano raccontavano ciò che avevano visto e vissuto almeno cento volte, attirando gente da altri villaggi per ascoltare le meraviglie europee. Da parte dei bianchi presentava vantaggi pratici viaggiare con il boy, ma bisognava restare vigili perché “erano capaci di imparare troppo”.

Anche le ragazze entrarono nelle case dei bianchi come ménagéres, ma queste si occuparono di altro, più che della casa. Dato che le donne europee erano considerate inadatte a vivere nei tropici e che una prolungata astinenza sessuale non avrebbe giovato alla forza vitale dei bianchi, ci fu tolleranza nel concubinaggio con le locali. Nel 1900 si contavano ottantadue donne bianche in tutto il Congo, di cui 66 suore, mentre gli uomini bianchi più di mille. Alcuni avevano relazioni di lunga durata, altri uno stile di vita libertino; spesso sceglievano ragazze molto giovani di dodici/tredici anni e il confine fra affetto e prostituzione era labile.

Ciò suscitò grande tristezza nei missionari, che tuttavia continuarono ostinatamente la loro azione contro i sacrifici umani, la poligamia e la schiavitù. Gli schiavi liberati con l’aiuto dei soldati venivano affidati alle missioni, così che poco a poco anche diversi congolesi convertiti parteciparono al processo di evangelizzazione come intermediari fra i bianchi e i neri.

Leopoldo diede la sua preferenza ai missionari belgi, per cui si intensificò l’opera missionaria cattolica con la benedizione di papa Leone XIII, il quale fin dal 1886 aveva annunciato che lo Stato Libero del Congo doveva essere evangelizzato dai belgi. E i missionari belgi erano tutti cattolici, così partirono gesuiti, scheutisti, trappisti, francescani, padri e suore del Sacro Cuore, che si spartirono meticolosamente l’entroterra, mentre i protestanti persero influenza.

Ci fu sempre una forte interazione fra Stato e Chiesa, tanto che lo Stato, provvedendo alla manutenzione delle scuole, pretendeva in cambio che quattro allievi su cinque al termine degli studi entrasse nella Force Publique. Ciò trasformò la gestione delle scuole missionarie in scuole militari per cadetti. I gesuiti si battevano non solo per Gesù, ma anche per il sovrano.

 

Portantini al porto fluviale di Matadi, intorno al 1890, prima di riprendere il cammino verso l’interno del Congo Foto: Adoc - Photos / Album
Portantini al porto fluviale di Matadi, intorno al 1890, prima di riprendere il cammino verso l’interno del Congo. Foto: Adoc – Photos / Album

 

Leopoldo aveva ottenuto il Congo con tre promesse: alla Conferenza di Berlino di garantire il libero scambio e combattere la tratta araba degli schiavi, mentre allo stato belga di non chiedere soldi e fino al 1890 le rispettò, ma da quell’anno le cose cambiarono. Dal 1876 al 1885 aveva investito 10 milioni di franchi belgi con entrate che ammontavano a soli 75.000 franchi. Nel 1890 aveva speso diciannove milioni, mandando in fumo tutto il patrimonio ereditato dal padre, per cui implorò il Belgio di accordargli dei fondi e ostacolò senza scrupoli il libero commercio. Il Parlamento belga, pur ricalcitrante, non poteva permettere di veder fallire il proprio sovrano, così gli accordò un cospiquo finanziamento.

Nel frattempo in Congo prese alcune decisioni spietate, considerando tutti i terreni non coltivati o non abitati, incluse le materie prime, come proprietà dello Stato. Nazionalizzare il 99% del territorio fu un disastro per la popolazione locale che veniva derubata della terra, il loro bene più prezioso.

Concesse in usufrutto grandi aree a società commerciali: L’Anversoise ebbe una concessione di 160.000 km2 (più di metà Italia) a nord del Congo, altrettanto ottenne l’Abir (Anglo-Belgian Indian Rubber Company) a sud, mentre la Compagnie du Katanga e la Compagnie des Grands Lacs furono appositamente create. Personalmente si gratificò con il Dominio della Corona, una regione di 250.000 km2. Lo sfruttamento economico del territorio del Congo passò nelle mani di Leopoldo e di alcune società private di cui era il maggior azionista o aveva diritto ad una parte sostanziale dei profitti.

Nel 1888 un veterinario scozzese, John Boyd Dunlop, fu autore di un’invenzione che avrebbe reso più comodi i trasporti via terra, ma ebbe un impatto devastante su milioni di congolesi: lo pneumatico in gomma. La domanda mondiale di caucciù schizzò alle stelle e fornì una salvezza miracolosa per Leopoldo che era sull’orlo della bancarotta: c’erano sempre meno elefanti, ma il Congo era pieno di alberi della gomma. Nel 1891 lo Stato Libero produceva solo un centinaio di tonnellate di gomma, nel 1896 milletrecento tonnellate e nel 1901 seimila tonnellate. Con la gomma entrò una fortuna nelle tasche di Leopoldo che, rifiutandosi di reinvestire in loco, mise in atto una grande campagna di abbellimento del Belgio, trasformando il Congo in un inferno.

 

Caricatura dell’epoca mostra il re dei belgi circondato da crani, in una pesante allusione all’origine insanguinata della sua fortuna Foto: Photo 12 / Getty Images
Caricatura dell’epoca mostra il re dei belgi circondato da crani, in una pesante allusione all’origine insanguinata della sua fortuna – Foto: Photo 12 / Getty Images

 

La gomma proveniva da alberi selvatici, la raccolta era lunga, faticosa e richiedeva molta manodopera. Gli indigeni dovevano entrare nella foresta, incidere liane di caucciù, recuperare la linfa trasformandola in blocchi appiccicosi. Mentre prima si riscuotevano le imposte in manioca, avorio o si requisivano persone come portatori, ora la popolazione in tempi stabiliti doveva consegnare la gomma con una quota che variava da regione a regione. Nel Dominio della Corona la riscossione veniva fatta dai militari della Force Publique, mentre nelle regioni delle società concessionarie da milizie armate, entrambi pagati in base alla quantità riscossa. No rubber, no pay.

Disposti a tutto per massimizzare la raccolta, ciò si tradusse in un regime di terrore generalizzato. Essendo armati poterono infierire sulla popolazione, coloro che non portavavano la quantità richiesta venivano puniti. Tennero in ostaggio le donne dei villaggi finché non gli fosse stata consegnata la quantità richiesta di gomma, spaventarono la gente con stupri, torture e uccisioni barbare, la raccolta si trasformò in saccheggio. Divenne uso tagliare la mano e/o il piede a chi non riusciva a far fronte alla quantità di gomma richiesta.

L’orrore non restò confinato a neri che uccidevano altri neri, c’erano anche molti razzisti e sadici fra i bianchi, così il clima di terrore si espanse con abusi di potere, torture e massacri. I domestici che commettevano qualche errore venivano ammazzati. Si uccideva per futili motivi tanto che la vita di un nero non valeva niente. Leon Fiévez, un vallone commissario di distretto nella regione dell’Equatore, dopo quattro mesi di servizio aveva ammazzato 572 persone e in una sua spedizione fece bruciare 162 villaggi, distruggere i campi uccidendo 1.346 congolesi, per contro realizzò la più grande raccolta di gomma dello Stato Libero.

 

Un rampicante da cui si ricavava il caucciù del Congo. Fotografia pubblicata dal Congo Belga nel 1909 Foto: Age Fotostock
Un rampicante da cui si ricavava il caucciù del Congo (1909) Foto: Age Fotostock

 

Ufficialmente un indigeno non doveva lavorare più di quaranta ore al mese per lo Stato, ma più scarseggiava la gomma, più erano costretti ad entrare nella foresta per raccoglierne la quantità imposta. Non ebbero più tempo da dedicare ad altri lavori e la popolazione divenne serva dello Stato. Le conseguenze furono drammatiche: i campi rimasero incolti, il commercio locale si paralizzò, le attività artigianali andarono perse e la popolazione indolente, indebolita, denutrita più esposta a malattie.

A cavallo del secolo esplose la malattia del sonno che fece tantissime vittime. Lungo i mille km di fiume fra Léopoldville e Stanleyville, la zona più abitata dell’entroterra, scomparve fra il 60% e il 90% della popolazione. Non si sa quanti morirono per causa diretta o indiretta della politica della gomma di Leopoldo (red rubber, gomma rossa venne chiamata). Molti fuggirono nascondendosi dentro la foresta vergine o valicando la frontiera. Si ritiene che nel decennio 1891-1901 siano morti un milione di congolesi, la metà della popolazione stimata, un’ecatombe.

Dal 1900 arrivarono chiari segnali in Europa, ma non vi si prestò ascolto fino al 1904 quando il console britannico scrisse un rapporto devastante che suscitò indignazione nella Camera dei Comuni. L’anno successivo Leopoldo fu costretto a inviare in Congo una commissione d’inchiesta internazionale formata da tre magistrati, un belga, un italiano e uno svizzero, convinto di essere scagionato.

 

Un uomo di nome Nsala contempla la mano e il piede della figlia Boali che aveva cinque anni, mozzati perché non aveva raggiunto la quota giornaliera del raccolto di gomma.
Questa è un’immagine forte che rappresenta tutto l’orrore di quegli anni: un uomo di nome Nsala contempla la mano e il piede della figlia Boali di cinque anni, che le erano stati tagliati perché lui non aveva potuto raggiungere la quota giornaliera del raccolto di gomma.

 

Ma le cose andarono diversamente, il rapporto finale fu sobrio, ma fatale. Furono riconosciute tutte le atrocità e gli abusi, e che il Libero Stato non venne amministrato nell’interesse degli indigeni, neppure nell’interesse economico del Belgio, era solo un’impresa finanziaria per procurare al re sovrano il massimo profitto. La pressione internazionale si accentuò notevolmente su Leopoldo, vedendo come unica soluzione la rinuncia a tutti i suoi territori facendo subentrare il Belgio. La decisione fu presa nel 1906, ma il re tergiversò ancora due anni (fece anche bruciare tutti gli archivi dello Stato Libero) finché il 15 novembre 1908 passò al Belgio con il nome di Congo Belga, diventando ufficialmente una colonia. Leopoldo in tutta la sua vita non si recò mai in Congo.

 

Fonti:

Congo” di David Van Reybrouck – Feltrinelli Editore

“Storia del Congo” di Fortunato Taddei