Friuli 16 – Organizzazione della Patria

Il Comune friulano non naque in opposizione al principe, ma dall’attivismo della borghesia e nella solidarietà con il patriarca nell’ottenere l’ordine pubblico, per cui questa classe ebbe garanzie, privilegi e autonomia nei confronti della nobiltà. La formazione del Comune in Friuli fu ovunque uniforme e si basò su tre organismi: l’arengo, che era l’assemblea di tutti i capifamiglia liberi, il consiglio maggiore costituito da un certo numero di persone elette fra nobili, cittadini e popolani e il consiglio minore, formato da una quindicina di persone che sbrigava le pratiche ordinarie, tutti inseriti in una burocrazia abbastanza complessa. La legislazione dei comuni, le competenze dei magistrati e le norme dei mercati erano registrati negli Statuta Comunitatis. Gli statuti più antichi ritrovati risalgono al 1288.

I Comuni cittadini furono i primi a sorgere, ma accanto a questi sorsero le comunità rustiche, dove la cosidetta contadinanza riuscì a consolidare un regime di diritti e doveri con i feudatari, che trovò espressione giuridica negli statuti rurali, modellati a quelli cittadini. Le assemblee dei capofamiglia, dette vicinìe, si radunavano, sotto la presidenza del decano, nella piazza del paese, all’ombra di un albero o sotto una loggia. Furono Comuni dalla fisionomia diversa da quelli italiani dell’epoca, per la presenza nello stato patriarcale di quel “singolare” organo legislativo ed esecutivo che fu il Parlamento della Patria (1231-1805), che fondeva in unità di indirizzo molte delle prerogative dove altrove erano proprie dei singoli Comuni (Marchetti).

 

Basilica di Aquileia – montone

 

Il Parlamento aveva un’organizzazione burocratica accurata e capillare. Prese origine dalle assemblee consultive dei rappresentanti dei nobili e del clero, che il patriarca radunò fin dal sec XII, al fine di stabilire le contribuzioni in denaro e le milizie che ciascun feudatario doveva mettere a disposizione. Tale diritto divenne consuetudine e comune ai più grossi principati d’Europa, venendo ratificato ufficialmente con la Dieta di Worms nel 1232. Nello stesso secolo l’assemblea friulana ebbe poteri più estesi associando i Comuni, tanto da divenire elemento di coesione nella vita politica friulana. Il Parlamento divenne nel secolo XIV la massima assemblea legislativa, il maggior tribunale di appello ed il supremo tribunale amministrativo (Leicht) giungendo a condizionare lo stesso patriarca, in una sorta di stato “costituzionale”. Al Parlamento partecipavano le tre classi del clero, dei nobili e dei Comuni, “senza far mai una politica di classe, ma provvedendo ai maggiori interessi della Patria” (Paschini).

Del clero partecipavano di diritto i superiori dei capitoli, dei monasteri, compreso il vescovo di Concordia. Inoltre membri di diritto erano tutti i nobili, liberi, ministeriali e i deputati liberi di Aquileia, Cividale, Udine, Gemona, Sacile, Tolmezzo, Portogruaro, Marano, Monfalcone, Venzone, S. Vito e S. Daniele. I lavori del Parlamento e delle commissioni, tra le quali venivano divise le varie incombenze, venivano disciplinati da un preciso regolamento interno. Organo esecutivo era il consiglio che rappresentava tutte le classi: eletto dall’assemblea, con diritto di ricusazione da parte del patriarca, trattava gli affari correnti e assisteva il patriarca nel governo. Secondo Pier Silverio Leicht, storico veneziano (1874-1956) l’istituzione parlamentare fu una delle manifestazioni più significative della maturità politica friulana medievale e formò un autentico “vanto nella storia”.

L’intensa attività legislativa che sviluppò costituì, negli anni, un cospiquo corpo di leggi che ben presto parve opportuno raccogliere e coordinare. Nacquero di conseguenza nel XIV sec. le “Costituzioni della Patria del Friuli”, monumento del diritto friulano. Per quanto in queste “costituzioni” ci fossero ancora molte tracce del diritto longobardo, è innegabile il progredire del diritto romano. La parte meno evoluta fu quella che riguardava i rustici, la servitù di masnada che li poneva servi alla mercé dei loro signori (Leicht)

 

Cividale – casa medievale, XIV sec. (Laboratorio orafo dell’epoca).

 

Ma Tito Maniacco (1932 – 2010) sottolinea che se gli storici del Parlamento del Friuli, generalmente sempre convinti con molta documentazione, che tale istituzione lavorò sempre in base a un concetto superiore a quello di un principe o delle classi dominanti, e che i provvedimenti presi erano al di sopra delle parti, per l’utilità della Chiesa e della Patria del Friuli (e i loro componenti se lo dicevano da soli: bona et utilia ecclesie et patrie Fori Julii), serve notare con chiarezza che l’esistenza stessa di una classe dominante e di una classe dominata o subalterna, indica da sé l’astrazione di queste affermazioni non corrispondenti con la realtà storica. Le classi dirigenti potevano essere in buona fede quando sostenevano di operare per il bene della Chiesa e della Patria, resta da vedere se il bene e il meglio coincidessero con quello dei feudatari. Era certamente una lotta politica, ma all’interno dello stesso sistema sociale: vincessero feudatari anarchici, arroganti e insolenti, spesso incolti e dediti ai loro particolarismi, o vincesse il patriarca con una politica più razionale e tesa ad unificare più che smembrare, i rapporti sociali basati sullo sfruttamento dei contadini e dei ceti bassi, non sarebbero cambiati di una virgola. Del resto il rapporto numerico mostra la preponderanza nobile con 75 castellani, gli ecclesiastici (naturalmente nobili) legati al patriarca e canonici dei vari capitoli erano 15, più i 14 delle varie comunità. Ci potevano essere spaccature politiche, ma non divisioni che incrinassero l’ordine sociale.

La sede del parlamento veniva fissata di volta in volta, più frequente fu Cividale, altre volte San Daniele, Gemona e Aquileia. Durante il XIV secolo, Udine divenne la sede preferita. Nell’Alto Medioevo il baricentro si spostò da Aquileia a Cividale. Nel Basso Medioevo si spostò da Cividale a Udine. Da Aquileia la natura influì sulle decisioni umane, come s’è già scritto riguardo la fuga dalla malaria, una natura che condizionò le scelte umane anche in seguito, dopo il terremoto del Natale 1222, quando lesionò inesorabilmente la residenza patriarcale di Cividale, e Il patriarca di allora, Bertoldo de Andechs dei Duchi di Merania (1218-1251) si spostò a Udine, installandosi nel castello, dove si trovò bene, soprattutto per la centralità della città, rispetto alle terre del Patriarcato. Udine allora era un modesto villaggio, tuttavia protetto da una fortificazione, un castello sul colle e difeso da un fossato riempito dalle rogge alimentate dal fiume Torre. I patriarchi tedeschi capirono che avrebbe potuto essere il baricentro del loro stato feudale. Così Bertoldo di Andechs impresse una forte accelerazione economica e urbanistica alla città. Fondò il mercato, stabilendo in questo modo che sorgessero botteghe stabili e non solo nei giorni di fiera. (Secondo gli storici nel medioevo veniva considerata città solo quella che aveva una cinta muraria e un mercato) quindi Udine, nella prima metà del 1200 ne aveva tutti i presupposti, fra l’ostilità di Cividale.

 

Udine – Porta Manin (ex torre di san Bartolomeo), 1273 – 1299. Appartenente alla 3a cerchia di mura, tradizionale ingresso est al centro storico.

 

Ma le motivazioni furono anche politiche. La forza delle città italiane che esprimevano il potere economico della crescente borghesia, ridussero l’influenza del feudalesimo, anche senza distruggerlo completamente. In Friuli, al contrario, la campagna dominava la città, il potere feudale rimase forte e il peso delle città, nonostante l’influenza, restò sempre debole. L’appoggio di Udine al Patriarcato, città borghese per eccellenza, fu indizio che la città era troppo debole per affrontare un disegno politico di vasta portata e si rifugiò dietro il potere centrale, feudale, per avere una garanzia di crescita burocratica ed emporiale. Per crescere eccezionalmente una città del periodo doveva diventare un forte centro manifatturiero e commerciale. Secondo lo storico medievalista Pirenne, una città del medioevo, per alimentare un decisivo sviluppo urbano, avrebbe dovuto avere una cospiqua eccedenza agricola, con commerci a grande distanza e scambi locali di merci e servizi. A Udine ci fu una certa espansione del commercio, ma tale solo da accontentare le esigenze della campagna e le sempre aumentate richieste di merci della nobiltà locale.

Bertoldo diede alla città un ulteriore impulso concedendo il privilegio di borghesia, cioè l’esenzione fiscale agli uomini liberi abitanti nel borgo situato fra il vecchio fossato e il mercato. In cambio dovevano accorrere con armi e cavalli ovunque il patriarca li avesse chiamati. La trasformazione da “burgenses” in cittadini attirò persone di elevata cultura e specializzazione, immigrate dalle regioni italiane, ma anche da quelle ultramontane. Le mura in espansione si riempirono di chiese, monasteri, scuole, ospedali, palazzi e magazzini. logge e mercati che accoglievano fiere. Come Santa Caterina, che si svolgeva per cinque giorni a cavallo del 25 novembre, prima sui prati del fiume Cormor, poi dal 1485 fino a oggi (si svolge attualmente ogni anno) in quella che era il Giardin Grande, ora chiamata Piazza I maggio, in centro città (la grande depressione ai piedi del colle). Per volere patriarcale, nel 1236 si iniziò ad edificare l’attuale cattedrale. Fu così che Udine divenne la capitale naturale del Friuli, intesa non solo fisicamente, ma anche socialmente e culturalmente.

 

Udine – duomo (1236 – 1256)

 

Purtroppo rimagono poche riproduzioni dell’antico castrum di Udine, sede dei patriarchi in cima al colle, prima del 1511, anno in cui un terribile terremoto distrusse la città (L’attuale castello fu opera dei veneziani).

Nell’ambito degli ordinamenti dello Stato, si evolse anche l’economia friulana che da dominanza agricola, divenne sempre più complessa a preponderanza commerciale con espansione europea, data la sua posizione geografica, che si rifletté positivamente sull’economia locale, così che le città divennero luoghi di scambio per i mercanti. Accorsero banchieri fiorentini e senesi, che aprirono filiali delle loro banche a Cividale, Aquileia, Udine e Gemona. La nobiltà friulana abbandonò in parte la spada, e si associò ai banchieri toscani e lombardi in ardite speculazioni commerciali. Anche se nessuna comunità friulana raggiunse mai la floridezza di Venezia o dei lombardi, pur dissipando ricchezze fra guerriglie e flagelli, nel contesto, in questo periodo, lo Stato Patriarcale godette di una certa agiatezza economica.

 

Udine – Ex chiesa di san Francesco (1266) con evidenti influenze umbre. Attualmente sconsacrata e adibita a mostre.

 

La struttura portante del commercio era la strada Udine-Pontebba (Pontebbana), Tragitto obbligatorio per le comunicazioni tra l’Italia e il centro Europa. Lungo il percorso erano stanziate le mute, cioè i dazi delle merci, soprattutto a Venzone e Gemona dove sussisteva l’obbligo del niderlech, ovvero sosta, scarico e carico per tutti i carri in transito. Udine divenne il centro più importante di raccolta delle derrate dovute al Patriarca. Oltre la Pontebbana, da Udine si irradiavano le strade verso Cividale a est, Sacile con la pianura Padana a ovest e le diramazioni verso i porti dell’Alto Adriatico: Trieste, Aquileia, Marano e Latisana sulle quali gravitava un discreto volume d’affari e di traffici.

Allo stesso tempo, quelle strade, fiancheggiate da cappelle e ospedali, guardate da castelli e monasteri, non furono solo rotte commerciali. Ci circolavano cavalieri e pellegrini in viaggio per Roma o Gerusalemme, convogli di crociati, corti imperiali, frati mendicanti, banditi, menestrelli, profughi e soldati in fuga. Una vita, or grama, or splendente del Medioevo friulano.

 

Fonti:

Gian Carlo Menis: Storia del Friuli
Gianfranco Ellero: Storia dei friulani
Tito Maniacco: Storia del Friuli
Tito Maniacco: I senzastoria